In un tweet il direttore dell’agenzia Onu ringrazia Papa Francesco e ne rilancia il messaggio

Oms: la salute è un diritto universale che va tutelato

TOPSHOT - A Peruvian Health Ministry worker examines and carries out a test to discard COVID-19 in ...
21 agosto 2020

La salute è un diritto universale. Non può essere un privilegio per pochi. Questo il punto sottolineato dal direttore dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, in un tweet, ieri, nel quale ha detto di «non poter essere più che d’accordo» con Papa Francesco sulla risposta alla pandemia.

Due giorni fa, in un tweet, il Papa aveva sottolineato che «la risposta alla pandemia è duplice: dobbiamo trovare la cura per un virus piccolo che ha messo in ginocchio il mondo intero, e dobbiamo curare un virus più grande, quello dell’ingiustizia sociale». Adhanom Ghebreyesus ha ripreso le parole del Pontefice commentando: «Dobbiamo rendere la salute un diritto umano per tutti e impedire che sia un privilegio per pochi». La pandemia — ha aggiunto — «ci dà un’opportunità per ricostruire un mondo migliore, più sicuro e più giusto, insieme!».

Le parole di Adhanom Ghebreyesus arrivano mentre la pandemia non accenna a fermarsi. Come ha ricordato ieri in conferenza stampa Hans Kluge, direttore dell’Oms per l’Europa, «l'epicentro della pandemia è nelle Americhe, ma anche altre regioni stanno assistendo a un forte aumento dei casi». Con una media di 26 mila nuovi contagi al giorno, l’Europa conta il 17 per cento dei casi mondiali. Nel vecchio continente, il coronavirus «ha colpito presto e duramente. I Paesi hanno compiuto sforzi fenomenali per fermare la diffusione, bloccando scuole e attività non essenziali come parte di una serie completa di misure. E ha funzionato: tra maggio e luglio molti sono riusciti a sopprimere la trasmissione. Laddove le decisioni politiche sono state rapide e reattive, la risposta è stata efficace. Ma il virus è stato spietato dove c’è stata partigianeria, disinformazione e negazione». La buona notizia, ha continuato Kluge, è che «ora sappiamo molto di più sulle trasmissioni di questo virus, e in particolare su come si diffonde all’interno di ambienti scarsamente ventilati, e soprattutto dove un gran numero di persone si riunisce, parla ad alta voce o canta». Adesso la sfida, ha concluso, «è che abbiamo focolai localizzati e cluster che si verificano con maggiore frequenza in contesti come luoghi di lavoro e case di cura, in corrispondenza di eventi specifici, in ambiti come la produzione alimentare e altre strutture industriali e nei viaggi».

La situazione, al momento, è molto critica in Francia con un boom di 4.771 nuovi casi in 24 ore. Cifre che tornano a spaventare, soprattutto in vista del rientro a scuola. La Germania, ad esempio, tra i Paesi che hanno gestito meglio la pandemia durante i primi mesi, ha registrato oggi 1.707 nuovi casi di infezione, il livello più alto da aprile, complici i rientri dalle vacanze e le riunioni familiari o tra amici, ha ammonito il Robert Koch Institute. Stesso trend in Italia: 845 casi in un giorno, ai livelli del lockdown. E l’età media dei positivi scende a 30 anni. In Spagna, oltre 3.300 nuovi contagi e altri 16 morti: famiglie e opposizione criticano il governo socialista perché a poco più di due settimane dall’inizio delle lezioni non esiste ancora un piano per l’istruzione in sicurezza. Una riunione con le comunità locali e gli operatori del settore è prevista solo per il 27 agosto.

Come accennato, il Centro e il Sud America sono il vero epicentro della pandemia in questo momento. L’America Latina e i Caraibi hanno superato ieri la soglia di 250.000 morti per coronavirus, secondo un conteggio basato sulle statistiche nazionali ufficiali. Quasi 6,5 milioni i contagi totali nella regione. Il Brasile è il Paese più colpito, con 3,5 milioni di casi e oltre 112.000 morti. Il gigante sudamericano è secondo solo agli Stati Uniti nella classifica mondiale. Il Perú, dove i dati pubblicati ieri hanno mostrato un calo del 30 per cento del Pil nel secondo trimestre, ha registrato oltre 26.000 morti. Il Messico conta 59.106 decessi.

L’allerta è alta anche negli Usa e in Asia. Sono 173.193 i morti negli Stati Uniti e oltre cinque milioni i casi di contagio secondo l’università John Hopkins. La Corea del Sud ha registrato ieri altri 297 nuovi contagi di coronavirus, saliti ai massimi dall’8 marzo quando i contagi furono 367 in base ai dati diffusi dalle autorità locali.