Un altro dramma colpisce lo Yemen, uno dei paesi più poveri del mondo. Le magnifiche case di mattoni di fango essiccato — quelle che fanno del centro storico di Sana'a un unicum — sono collassate e stanno ancora collassando in seguito alle piogge torrenziali che hanno colpito il paese, provocando morte e devastazione in una terra già duramente colpita dal perenne stato di guerra e dalle sue inesorabili conseguenze, su tutte carenza di cibo e malattia.
Il complesso dei peculiari edifici, molti dei quali risalenti all'xi secolo, è nella Lista Unesco World Heritage, dal 1986. Un sito che comprende, si legge nel portale dell'Agenzia delle Nazioni Unite, 103 moschee, 14 hammam e oltre 6 mila case.
Dal 2015, l'Unesco ha posizionato Sana'a tra i “siti in pericolo” per evidenti ragioni legate all'insicurezza politica. Il tutto, nonostante le frequenti distruzioni dovute a scontri a fuoco ed esplosioni trovino una sorprendente capacità di reazione nella popolazione allo stremo, che, aiutata dalla tipologia stessa delle costruzioni e del suo ingrediente base — il mattone di fango essiccato — è capace di ricostruire in modo fedele all'originale.
Una delle ragioni che sinora hanno favorito la ricostruzione — dicono gli esperti — è sicuramente legata all'autonomia e all'autarchia culturale di un paese non ancora globalizzato, dove tradizioni antiche come la lavorazione del mattone di fango si sono tramandate per generazioni.
Il disastro è ingente. Il primo censimento parla di 107 tetti crollati, ma di almeno 5mila edifici dove entra acqua. «Tutto quello che avevamo è sepolto qua sotto» racconta alla Reuters Muhammad Ali al-Talhìs, la cui abitazione è collassata venerdì scorso, lasciando l'uomo, con le sue sei mogli e altrettanti figli senza un tetto. Aqeel Saleh Nassar, responsabile dell'Autorità per la conservazione del centro storico di Sana'a ha raccontato che sta collaborando con l'Unesco e altre istituzioni per cercare di salvare il salvabile. La stagione delle piogge investe normalmente lo Yemen tra aprile e inizio settembre.
Il paese arabo è marginalmente interessato dal monsone estivo. Gli effetti sono più marcati proprio nell'altopiano nord-occidentale del territorio, dove la storica capitale è collocata: in quell'area, d'estate le piogge sono tutt'altro che infrequenti. Quest'anno, però, le precipitazioni sono state particolarmente intense, andando a peggiorare quella che le Nazioni Unite additano come la più grave crisi umanitaria del pianeta. Il tutto in simultanea con il coronavirus — che si pensa si stia diffondendo abbondantemente e in larga misura non rilevato — e con la pioggia che per definizione favorisce la diffusione dei contagi endemici delle aree più povere del pianeta.