«Privi di meraviglia, restiamo sordi al sublime» è il tema proposto quest’anno dal Meeting di Rimini

La necessità dello stupore

La copertina di «Alice nel Paese delle meraviglie» illustrato da Salvador Dalí
18 agosto 2020

È difficile per un ricercatore non sentirsi provocato dal titolo del Meeting di Rimini 2020 che quest’anno propone «Privi di meraviglia, restiamo sordi al sublime». Infatti, questa frase di Abraham Joshua Heschel descrive bene anche il cammino che molti ricercatori (i cosiddetti scienziati) hanno percorso. Va sottolineato altresì che per la cultura ebraica il termine sublime completa e supera il concetto estetico di bellezza cogliendo ed esprimendo la percezione di trascendenza di tutto il reale.

Lo stesso Henry Poincarè, l’ultimo grande scienziato filosofo, ha potuto scrivere che «il genio scientifico è la capacità di restare sorpresi» e, da non credente, ha fatto un monumento all’esperienza: «L’esperienza è la sorgente unica della verità: essa sola può insegnare qualcosa di nuovo, essa sola può darci la certezza». Va notato che, pur da scienziato, Poincarè non parla di “esperimenti” ma di esperienza, volendo sottolineare qualcosa la cui connotazione fondamentale è data dal diretto rapporto della “persona” con la realtà. Come scrive Giovanni Paolo II nella Fides et ratio «le conoscenze fondamentali scaturiscono dalla meraviglia suscitata nell'uomo dalla contemplazione del creato (…) Senza meraviglia l’uomo cadrebbe nella ripetitività e, poco alla volta, diventerebbe incapace di un’esistenza veramente personale». In questo senso la sorpresa, lo stupore, la meraviglia rappresentano l’esperienza umana, e non solo in scienza, capace di dare consistenza alla persona.

Come anche evidenziato dalla presentazione del Meeting di Rimini, paradossalmente il tema della meraviglia può rappresentare un importante punto di partenza perfino per capire il tempo che stiamo vivendo con il coronavirus. Mentre alcuni credevano chiusa la partita e altri aspettano e sperano che la bufera passi per tornare alla vita di prima, dobbiamo essere grati a Papa Francesco che non perde occasione per ricordarci che dobbiamo, invece, cambiare tante cose della nostra vita personale e sociale. Parlando con alcune persone ho potuto registrare interessanti esperienze, tra queste la percezione di vivere un film o un sogno caratterizzato da un mix di incredulità, timore e stupore per la presenza di un nemico invisibile ma tenace. Una presenza della quale ci si dimenticherebbe in fretta se, a ricordarcelo fino alla noia e, gli allarmanti e ripetitivi richiami dei notiziari.

Ciò che Heschel scrive, proprio a riguardo di stupore e timore, è così vero e radicato nella coscienza umana da far capolino anche di fronte ai drammatici eventi vissuti circa la salute, la vita di relazione e la crisi economia. Se la meraviglia, di cui parla Heschel, è una potente molla per la scienza, il filosofo ci tiene a chiarire che il livello di stupore cui si riferisce non è una banale curiosità ma una sensazione profonda di fronte al mistero della vita tutta, uno “stupore radicale” che così descrive nel suo capolavoro (L’uomo non è solo): «Quel che ci colpisce con incessante stupore non è il comprensibile e il comunicabile ma ciò che, pur trovandosi alla nostra portata, è al di là della nostra comprensione; non è l'aspetto quantitativo della natura ma qualcosa di qualitativo; non ciò che si estende al di là del nostro tempo e del nostro spazio, bensì il significato vero, la sorgente e il termine dell’essere: in altre parole, l’ineffabile». Per Heschel anche il timore è una forma di rapporto con quanto di misterioso sperimentiamo ma esso è superato dalla «meraviglia» che (diversamente dal timore) permette di instaurare una relazione con ciò che costituisce la trascendenza stessa: «Lo stupore radicale possiede un raggio d’azione più vasto di ogni altro atto umano. Mentre ogni atto di percezione o cognizione ha per oggetto un segmento determinato della realtà, lo stupore radicale si riferisce alla realtà nel suo insieme». Bisogna dunque imparare a fidarsi di più delle esperienze che facciamo anche quando siamo disorientati e non è chiaro quale sia la strada da percorrere perché suggerisce il grande C. S. Lewis «quello che mi piace dell’esperienza è che si tratta di una cosa così onesta. Potete fare un mucchio di svolte sbagliate, ma tenete gli occhi aperti e non vi sarà permesso di spingervi troppo lontano prima che appaia il cartello giusto. Potete avere ingannato voi stessi ma l’esperienza non sta cercando di ingannarvi: l’universo risponde il vero, quando lo interrogate onestamente».Forse è necessario recuperare una posizione umana capace di scavare nella profondità della esperienza e in questo ci aiuta il richiamo di Eugenio Borgna il grande psichiatra. Lui che ha passato tutta la vita prima in manicomi e poi nei reparti di psichiatria dove l’abisso dell’umano ha potuto vederlo da vicino così scrive nel suo ultimo libro (Il fiume della vita): «Mai rinunciare a convertire le esperienze esteriori in esperienze interiori... non perdere mai l’abitudine a scendere negli abissi delle nostre interiorità». Forse in questa discesa, mai priva di dolore, potremmo scoprire anche la gioia della meraviglia.

di Augusto Pessina