Il martirio di Giovanni Battista nella «Salomè» di Oscar Wilde

Iokanaan e la luna

Una scena dello spettacolo «Salomè» di Luca De Fusco
28 agosto 2020

Lo scandalo che provocò la rappresentazione di Salomè di Oscar Wilde l’11 febbraio 1896 al Théâtre de l'Œuvre di Parigi, è ben noto. Nel Regno Unito fu vietata fino al 1931. La sala del teatro francese rimase muta davanti alla macabra scena del bacio di Salomè alla testa recisa di Giovanni Battista. Lo scrive bene il fine letterato Mario Praz: «Ottenuta la testa, vi incolla le labbra nel suo amore di vampiro». Poi, con il passare degli anni, l’opera - scritta nel 1891, originariamente in francese per l’attrice Sarah Bernhardt, si diffuse in tutti i teatri del mondo, fino ad arrivare ai giorni nostri. In Salomè, decadentismo e romanticismo si fondono in un dramma neo-gotico, in cui però non manca lo spazio ad alcuni lazzi ironici e sfrontati che ricordano le battute dei giullari di corte.

Il crepuscolo è presente, sempre. E lo è, fin dalle prime battute dell’opera, quando il paggio di Erodiade declama: «Guarda la luna. La luna ha un aspetto assai strano. Somiglia a una donna che sgorga da un sepolcro». Versi, che sembrano quasi copiati dall’ultimo atto dell’Otello di Shakespeare, «è colpa della luna, quando più si avvicina alla terra, rende gli uomini folli».

In questo scenario lunare, i personaggi sembrano divenire delle pedine nella drammaturgia di Wilde: ognuno ricopre un ruolo ben definito. Una macchina teatrale perfetta che nella forma della poeticità dei versi, diviene quasi un melodramma. Non a caso Richard Strauss, nel 1905, ne trarrà un'opera in un atto e un balletto sulla traduzione tedesca di Hedwig Lachmann. Molteplici sono le fonti bibliche, storiche o letterarie a cui Wilde si è ispirato: dal Vangelo alle Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio, da Atta Troll di Heine a Hérodias di Flaubert. Certamente, la vicenda narrata dallo scrittore irlandese è ben altra cosa rispetto alla storia biblica: a lui non interessa - naturalmente - di essere fedele al Vangelo. Ma, a onor del vero, bisogna dare atto a Wilde che le frasi pronunciate da Iokanaan (per nominarlo, Wilde, riprende la lingua ebraica) sono più che fedeli ai Vangeli. Basterebbe solo la sua battuta d’esordio per comprendere ciò: «Dopo di me verrà un altro, ancor più potente di me». Ed è assai emblematico che per tutta la parte iniziale di Salomè, Giovanni Battista si presenti al pubblico solamente come “una voce”: nel testo teatrale, troviamo più volte la dicitura “La voce di Iokanaan”. In questo, Wilde riesce a dare alle parole del Giovanni Battista anche una giusta collocazione biblica: vox clamantis in deserto, così dice la Vulgata del Vangelo secondo Marco, al capitolo primo. Con lo scorrere della vicenda, comprendiamo che Iokanaan svolge un ruolo cardine: il fulcro dell’opera è lui. Sono le sue parole martellanti a far procedere l’azione scenica. La presenza di Iokanaan è una sorta di leitmotiv wagneriano: le sue parole profetiche ricorrono come dei semafori di una strada, «è venuto, il Signore, è venuto, il figlio dell’Uomo!» così grida alla protagonista (o co-protagonista, se vogliamo) dell’opera. E quelle parole non possono che sembrare, addirittura “mostruose”. L’aggettivo è della stessa Salomè. Le sventure predette, l’ossessiva richiesta di redimersi, l’atteggiamento puro di fronte agli sguardi ostili o sensuali che lo circondano, mettono in moto l’intera opera, fino al suo oscuro epilogo.

La purezza di Iokanaan è ben descritta da Salomè in una poetica e appassionata dichiarazione: «Il tuo corpo è bianco, come i gigli d’un campo non mai lambito dal falciatore». Che il testo teatrale si distanzi dal testo biblico è fuor dubbio, ma, in tutto questo, la forza del personaggio di Iokanaan non è intaccata. Le figure del Giovanni Battista della Sacra Scrittura e quello di Wilde sono abbastanza simili. Certamente, lo scrittore irlandese — in piena libertà letteraria — decide di percorrere vie differenti, rispetto agli episodi biblici. Nel Vangelo di Marco (capitolo 6, 17-19) Erode fa arrestare Giovanni a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, che aveva sposata. Nella pièce sembra quasi che l’arresto di Iokanaan sia dettato più da una sorta di scaramanzia, per via delle funeste profezie. Altro punto in cui il testo teatrale differisce dalla Scrittura è il luogo della prigionia di Giovanni: nell’opera drammaturgica, sappiamo che Iokanaan è rinchiuso dentro una cisterna, vicinissima alla reggia di Erode Antipa, mentre per il testo biblico si trova prigioniero nella fortezza di Macheronte, ben distante dal palazzo del tetrarca della Giudea. Nella testo teatrale, è Salomè stessa a volere la morte di Iokanaan: per vendetta, perché è stata da lui rifiutata. Ma, allo stesso tempo, grazie proprio a questa mistificazione, Wilde ci fornisce la possibilità di riflettere sul concetto cristiano di Amore (con la A maiuscola): «tu non volevi concedermi ch’io baciassi la tua bocca, Iokanaan. Ebbene, io ora la bacerò — dice Salomè davanti alla testa del Battista — il mistero dell’Amore è più grande che il mistero di Morte», dice Salomè davanti alla testa del Battista. Unico veritiero verso, è quell’ultimo. Ed è tutto cristiano.

di Antonio Tarallo