L'Avventura della fede

Il missionario del Nilo Azzurro

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20 agosto 2020

Padre Giovanni Beltrame da Valeggio sul Mincio a Khartoum


Quando vi nacque, nel 1824, l’Europa stava curando le ferite lasciate dalle guerre napoleoniche e l’Italia iniziava a prepararsi alla carboneria. A Valeggio sul Mincio, tranquilla cittadina della provincia veronese, nessuno avrebbe immaginato un futuro prossimo intriso di sangue, con battaglie combattute nella prima, nella seconda e nella terza guerra d’indipendenza, però in molti si incuriosivano dei tanti racconti di scoperte ed esplorazione di nuove terre e popolazioni. Da Bergamo, nel 1821, era partito l’esploratore Giacomo Beltrami (scopritore delle sorgenti del Mississippi) e anche in casa di Giorgio Beltrame e Rosa Marchesini si parlava di questa nuova avventura ai confini dell’ignoto, quando furono allietati dalla nascita di Giovanni. Figlio di di un falegname, il piccolo Giovanni dimostrò subito di avere la vocazione religiosa e intraprese gli studi che lo portarono a entrare nell’Istituto Mazza di Verona nel 1839 per esservi ordinato sacerdote dieci anni dopo. Negli anni di studio, Giovanni Beltrame mostrò però di avere altrettanta propensione alle esplorazioni e accettò la scommessa di una missione in Africa centrale.

Papa Gregorio XVI aveva istituito infatti, con decreto del 3 aprile 1846, un vicariato apostolico in Africa centro-orientale, aprendo di fatto la strada alle missioni esplorative. Don Massimiliano Ryllo, missionario polacco, l’11 febbraio del 1848 era arrivao a Khartoum, all’epoca un piccolo paese abitato da quindici persone, quasi tutti schiavi. A Verona soggiornò invece per qualche tempo il missionario Angelo Vinco, che infervorò gli studenti dell’Istituto Mazza con racconti affascinanti di esplorazione africana. Fu proprio don Nicola Mazza (soprannominato don Congo) a volere una missione per il suo collegio e a chiedere volontari per i suoi progetti africani. All’appello risposero Giovanni Beltrame e Antonio Castagnaro. Dopo aver studiato per due anni la lingua araba e aver appreso le tecniche infermieristiche, i due partirono nel 1853 alla volta del Sudan, con l’idea di trovare una località idonea alla fondazione di una stazione missionaria italiana.

Arrivati a Korosko, città del regno della Nubia e punto di sosta nella risalita del Nilo, i due religiosi si incontrarono con il responsabile della locale missione, il provicario padre Ignazio Knoblecher, uno sloveno della Congregazione di Propaganda Fide che da diversi anni, insieme a padre Ryllo e ad altri missionari, aveva costruito a Khartoum una scuola per i giovani che avevano riscattato al mercato degli schiavi e che successivamente li aiutarono nelle loro missioni. Giovanni Beltrame e Antonio Castagnaro gli sottoposero il piano di evangelizzazione di padre Mazza e ottennero l’approvazione per proseguire nella loro avventura apostolica.

Durante l’anno trascorso a Khartoum padre Castagnaro però si ammalò gravemente e poi morì lasciando tutto nelle mani del missionario di Valeggio sul Mincio. Padre Beltrame iniziò a raccogliere alacremente informazioni sugli usi e i costumi delle popolazioni del Nilo Azzurro, zona che padre Knoblecher aveva deciso di affidare all’apostolato degli italiani.

Il 4 dicembre 1854 il missionario veneto partì da Khartoum per intraprendere il suo primo viaggio nel Sennâr e, lungo il Nilo Azzurro, per Karkoj, Roseires e Famaka. L’itinerario si rivelò irto di ostacoli e lo portò ai confini con l’Etiopia, nei territori abitati dalle popolazioni Sciangala e Beni Sciangûl. Questi ultimi avevano conosciuto i primi due europei pochi anni prima, grazie agli esploratori Joseph Ritter von Russegger e Pierre Trémaux. Beltrame si fermò nei loro villaggi per raccogliere con pazienza tutte le informazioni possibili sulla geografia, l’etnografia e le lingue della zona (tali informazioni furono poi pubblicate in due volumi) per poi rientrare a Khartoum scoprendo suo malgrado di essere stato considerato morto. Esclusa la possibilità di fondare un presidio missionario tra gli Sciangala e i Beni Sciangûl — dovuta alla mancanza di comode e veloci comunicazioni con la capitale del Sudan — Giovanni Beltrame rientrò temporaneamente in Italia ma prima di partire riuscì ad avere da padre Knoblecher il permesso di realizzare una missione sulla riva destra del Nilo Bianco, tra la popolazione dei Denka.

Tornato a Verona a metà novembre del 1855, padre Beltrame si recò con il missionario Angelo Melotto a Vienna per chiedere finanziamenti alla Società Maria e nel settembre dello stesso anno ripartì alla volta del Sudan con un gruppo di altri religiosi mazziani composto dallo stesso Angelo Melotto, da Francesco Oliboni, Alessandro Dal Bosco, Daniele Comboni (destinato a essere futuro vescovo e santo) e dal falegname Isidoro Zilli. Nel novembre del 1857, ad Assuan, il Knoblecher, stremato a sua volta dalle febbri e dalle privazioni, sulla via del definitivo ritorno in Europa incontrò il gruppetto di padre Beltrame e degli altri quattro missionari italiani, intenti a raggiungere la stazione di Santa Croce - Angweng, nelle regioni del Nilo Bianco, tra la popolazione dei Denka Kic. La piccola spedizione vi arrivò il 14 febbraio 1858 ma dopo appena un mese perse padre Oliboni, preceduto, nella morte, dal fondatore della stazione, Bart Mozgan. Il 15 gennaio 1859 Giovanni Beltrame, Angelo Melotto e Daniele Comboni lasciarono Santa Croce per esplorare il Sobat e il territorio dei Denka Abialang; il 4 aprile erano di ritorno a Khartoum dove, a distanza di poco più di un mese, morì anche padre Melotto, mentre Daniele Comboni fu costretto a rientrare per riprendersi dalle fatiche e dalle malattie.

Della spedizione originaria diretta a Santa Croce rimasero pertanto soltanto Giovanni Beltrame e Alessandro Dal Bosco. Il nuovo pro-vicario, il tedesco Mattia Kirchner, decise di radunare tutti missionari superstiti in una località meno insalubre, Shellâl, appena oltre il confine nel sud dell’Egitto, ai quali fu consentito di raggiungere le varie stazioni soltanto durante la stagione asciutta, da novembre a marzo. Anche Beltrame dovette evacuare Santa Croce e, più a sud, Gondokoro, tra l’unanime rimpianto delle popolazioni che si vedevano private della protezione dei missionari.

In una regione dove aumentava lo schiavismo (mentre in Egitto la tratta degli schiavi era stata abolita nel 1854) i missionari erano infatti stati percepiti inizialmente come pericolosi e nessuno voleva mandare i bambini nelle missioni, per paura che venissero tratti in schiavitù. Il paziente lavoro dei missionari servì pertanto a cambiare questa percezione e l’abbandono delle missioni fece di nuovo salire la paura tra la popolazione locale.

Per circa due anni, fino al febbraio 1862, Giovanni Beltrame rimase a Shellâl, spostandosi durante la stagione asciutta nei villaggi a sud e trascrivendo i suoi appunti di studi linguistici ed etnografici sui Begia e sui Denka, del cui linguaggio curò una grammatica e un vocabolario. Il 7 febbraio 1862 il missionario veneto lasciò per sempre l’Africa e tornò a Verona nel 1863 per dedicarsi al risanamento finanziario degli istituti creati da don Mazza, morto nel 1865.

Dal 1869 al 1896 vi insegnò nelle scuole e nel 1900 divenne superiore degli istituti. Scrittore forbito e fecondo, buon conoscitore delle principali lingue straniere e dell’arabo che aveva studiato a Venezia, oltre a essere insignito della commenda dell’Ordine della Corona d’Italia, fu membro effettivo dell’Istituto veneto di scienze, lettere e arti e dell’Accademia di agricoltura, scienze e arti di Verona; nel 1880 la Società geografica italiana lo proclamò socio d’onore.

Giovanni Beltrame pubblicò le sue osservazioni di viaggio su vari periodici prima di morire a Verona l’8 aprile del 1906. Dietro di sé lasciò il ricordo di una vita all’insegna dell’avventura e diversi libri di grande interesse geografico, linguistico ed etnografico: Grammatica della lingua denka (1870), Studio sulla lingua degli Akkà: grammatica e dizionario (1877), Il Sènnaar e lo Sciangàllah (1879), Grammatica e vocabolario della lingua denka (1880), Il fiume Bianco e i Denka (1881), In Nubia presso File, Siène, Elefantina (1884), In Palestina. L’ultimo mio viaggio (1895).

di Generoso D’Agnese