La Chimica della Fede

Il colibrì e il trionfo effimero della specializzazione

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01 agosto 2020

Il cardinale Ravasi, nel Breviario de «Il Sole 24 Ore» del 5 gennaio 2020, riporta una bellissima parabola africana, “Il leone e il colibrì”: Scoppia un incendio nella foresta. Tutti gli animali fuggono terrorizzati. Il leone vede un colibrì che vola in direzione opposta: «Dove vai? C’è un incendio!». Il colibrì: «Vado al lago a raccogliere acqua nel becco da gettare sul fuoco». Il leone: «Ma è assurdo: non lo spegnerai con quattro gocce!». Il colibrì: «Io faccio la mia parte!».

Un colibrì vive in genere solamente 3 anni, pesa 3 grammi, può battere le ali 80 volte al secondo e raggiungere in picchiata la velocità di 80 km all’ora. Per fare questo brucia molta, moltissima energia; infatti, nel mondo animale, ha il metabolismo basale più alto che si conosca. E per poter sostenere questo metabolismo deve succhiare zucchero puro direttamente dal nettare dei fiori, al punto che alcune specie di colibrì hanno sviluppato la capacità di indursi in letargo per sopravvivere quando la disponibilità di cibo scarseggia. Per riuscire a nutrirsi, il colibrì è dunque diventato un maestro del volo stazionario. Il volo stazionario è molto diverso dal volo normale: si pensi alla differenza tra un elicottero e un jumbo jet. Il volo stazionario è aerodinamicamente così complesso che, rispetto agli altri uccelli, il colibrì ha dovuto modificare le sue articolazioni per poter muovere le ali in una maniera quasi unica. Solo alcune farfalle, infatti, possono battere le ali come lui.

C’è, dunque, un’altra cosa che il colibrì potrebbe insegnare al leone: il trionfo effimero della specializzazione. E questo è, in un certo senso, il riscatto di coloro che sono diventati così bravi a fare qualcosa che la devono fare in maniera rapidissima, senza un ieri, senza un oggi, senza un domani.

di Carlo Maria Polvani