Nel centenario della nascita di don Egidio Viganò

Cuore salesiano

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07 agosto 2020

È stato un grande dono per la congregazione salesiana avere avuto come guida don Egidio Viganò, settimo successore di don Bosco negli anni dopo il concilio Vaticano II dal 1972 al 1995, per sei anni come consigliere per la formazione e poi per diciassette come rettor maggiore. Avendo partecipato al concilio come teologo-esperto, ebbe una ricca esperienza che gli servì per indirizzare la congregazione sulla strada dell’autentico rinnovamento conciliare.

Il maggior contributo di Viganò — il 26 luglio è stato il centenario della nascita — fu la rilettura del carisma di don Bosco alla luce del concilio e delle condizioni odierne. Infatti attraverso il discernimento spirituale e pastorale egli fece sì che ciò che don Bosco aveva personalmente fatto divenisse comunitariamente ripensato e rielaborato, in rapporto con le esigenze del cambio epocale e in piena fedeltà alle origini. A questo compito Viganò si dedicò interamente, rifacendosi allo spirito del fondatore, chiarificando il suo carisma, superando il dualismo tra “consacrazione” e “missione” in una sintesi dinamica. Approfondì la ricchezza delle due figure vocazionali del salesiano prete e del salesiano laico, la rilevanza profetica dei tre consigli evangelici, la dimensione comunitaria, la disciplina religiosa. Le sue lettere trimestrali offrirono alla congregazione un ricco e aggiornato compendio di spiritualità salesiana, puntando su Gesù Cristo, sulla carità pastorale, sulla mistica del da mihi animas e l’ascesi del coetera tolle, sull’estasi nell’azione, sulla grazia di unità, sull’affidamento a Maria Ausiliatrice, Madre della Chiesa. Favorì la formazione permanente, chiedendo a ogni comunità salesiana di diventarne centro; volle che la formazione iniziale fosse rivolta a quella permanente per preparare i formandi a essere soggetti capaci e impegnati nell’affrontare le svariate sfide del divenire culturale ed ecclesiale. Convinto della necessità di incarnare l’identità comune nelle diverse culture, orientò e accompagnò i primi passi del processo di decentramento della formazione ma allo stesso tempo ne conservò la sostanziale unità nello spirito e nei criteri formativi mediante una Ratio fundamentalis institutionis et studiorum come testo non puramente legislativo ma soprattutto pedagogico. Parimenti, pose attenzione al rinnovamento del servizio dell’autorità, preparando due manuali, uno per gli ispettori e l’altro per i direttori. Don Egidio Viganò fu protagonista nella rielaborazione delle nuove costituzioni e dei regolamenti nel 1971; nei dodici anni che seguirono, accompagnò i confratelli nell’impegno di viverle con una rinnovata mentalità; finalmente portò a conclusione il tempo della sperimentazione con il testo rinnovato e definitivo nel capitolo generale del 1984. Per assicurare una giusta interpretazione delle costituzioni e favorire il suo approfondimento, ne promosse un ampio commento. E fu in occasione di questo capitolo generale che egli fece un solenne atto di affidamento di tutta la congregazione a Maria Ausiliatrice, Madre della Chiesa.

Viganò vide nella reinterpretazione dell’identità salesiana, ormai concretizzata nelle nuove costituzioni, il fondamento del dinamismo della missione della congregazione nel mondo. La missione era al centro delle sue preoccupazioni e delle sue scelte di governo, date le sfide che venivano dai tempi e dal mondo giovanile. La considerò il perno del rinnovamento del carisma salesiano e la proposta vocazionale più convincente. Non la identificò con “l’azione apostolica” ma come l’iniziativa di Dio che la precede e la guida: Dio consacra e invia. Così “consacrazione” e “missione” sono inseparabili, essendo due aspetti costitutivi di una stessa azione di Dio. Per lui, lo svuotamento e la debolezza pastorale erano un segno della caduta di tensione spirituale. Aveva una costante attenzione a conservare l’identità della missione salesiana, il cui campo preferenziale è costituito dalla gioventù e dal mondo popolare, il cui metodo è il sistema preventivo di don Bosco come esperienza spirituale e pedagogica, le cui finalità sono pastorali e la cui via privilegiata è l’educazione. Metteva i salesiani in guardia contro la separazione tra educazione ed evangelizzazione, ripetendo la frase: «Educare evangelizzando, evangelizzare educando». Scrisse e parlò di “nuova educazione”, “nuova evangelizzazione”, “nuovo sistema preventivo”, cercando sempre di cogliere gli elementi di novità della situazione attuale e individuando la risposta carismatica adeguata ai tempi. Sviluppava proposte di impegno pastorale ispirate all’audacia apostolica: nuovi orizzonti di lavoro educativo, nuove frontiere geografiche, nuove prospettive culturali. Allo stesso tempo ricordava a tutti che l’oratorio di don Bosco a Valdocco doveva essere il criterio permanente di discernimento e rinnovamento per ogni loro attività. Voleva che ogni opera avesse la capacità di coinvolgere collaboratori tra i laici e gli stessi giovani. Per questo diede una forte spinta alla condivisione dello spirito e della missione di don Bosco con i laici. Oltre a rinnovare le costituzioni salesiane, fece un lavoro simile per i salesiani cooperatori, promulgando la loro “magna carta”, il Regolamento di vita apostolica.

L’entusiasmo di don Viganò per la missione salesiana si rendeva vibrante quando guardava le nuove frontiere dell’evangelizzazione. Per lui lo slancio missionario era il culmine della spiritualità salesiana e il segno della vitalità di un’ispettoria. La storia della congregazione salesiana gli renderà merito per aver dato un impulso vigoroso al Progetto Africa che oggi abbraccia 40 Paesi con quasi 1.500 confratelli in 186 presenze ed è benedetta con una media di 100 novizi all’anno. «Il Progetto Africa — affermò — è oggi, per noi salesiani, una grazia di Dio». Viganò seppe creare una sensibilità in tutte le ispettorie della congregazione tale che, nonostante il calo delle vocazioni in Europa e in America, divennero missionarie; anche oggi continua anno dopo anno il flusso di nuovi missionari in Africa. Come se l’Africa non bastasse per il grande cuore di don Viganò, nel 1988 egli fece una visita in Cina e, nella solennità dell’Assunta, nella cattedrale di Pechino dedicata all’Immacolata, recitò un atto di affidamento di tutta la gioventù cinese a Maria. E poi scrisse ai salesiani: «Non abbiamo paura di aggiungere al Progetto Africa, quando scocchi l’ora della provvidenza, un altro fronte ancora più impegnativo: la Cina». Infine, negli anni Novanta, con i grandi cambiamenti nell’est Europa e l’apertura di nuove prospettive, Viganò consentì di estendere la presenza salesiana in quella regione, aprendo presenze in Russia, Siberia e Albania, e costituendo nel 1994 la circoscrizione dell’Europa Est.

Per far fronte alle nuove sfide culturali, per fondare il rinnovamento della congregazione su basi solide, per sostenere la vasta missione della Chiesa con una profondità pedagogica e pastorale, Egidio Viganò vide la necessità di assicurare nella congregazione un centro di cultura e di formazione che fosse all’altezza dei suoi compiti. Si diede quindi a rinnovare l’Università pontificia salesiana, tanto da venir chiamato “il rifondatore dell’Università”. Volle una collaborazione interdisciplinare tra le diverse facoltà in modo che l’ateneo avesse una caratterizzazione pastorale, indirizzata ad analizzare e a illuminare la realtà giovanile. Fondò il Dipartimento di pastorale giovanile e catechetica; promosse la creazione di un Istituto di spiritualità con l’impegno particolare di dare impulso alla spiritualità salesiana e a quella giovanile; volendo che l’Università pontificia salesiana operasse in modo più incisivo nel mondo della comunicazione, diede inizio all’Istituto di scienze della comunicazione sociale, oggi divenuto facoltà. Mirava insomma alla costruzione di un ateneo che avesse come aspetto caratteristico il servizio ai giovani nella Chiesa e nel mondo.

di Francesco Cereda