Con la campagna «Thursdays in Black» il Wcc a fianco delle native nordamericane

Abbattere i muri del silenzio

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22 agosto 2020

«Quando verranno ascoltate le nostre voci? Bisogna ancora attendere che altre vittime innocenti vengano uccise?»: è l’allarme lanciato da Gwenda Yuzicappi, esponente della riserva indiana di Standing Buffalo Dakota Nation, nel Saskatchewan, provincia del Canada occidentale, da anni impegnata a difesa dei diritti delle donne indigene. Migliaia di ragazze, infatti, negli ultimi anni, sono scomparse nella quasi totale indifferenza e nel silenzio delle istituzioni.

Da uno studio condotto nel 2019 in Canada emerge che dal 1980 al 2012 le donne e le ragazze indigene scomparse o assassinate rappresentavano il 16 per cento di tutti gli omicidi femminili. L’alto tasso di violenza contro di esse è stato confermato anche da altre ricerche svolte sia nello stato nordamericano che negli Stati Uniti, dove si registra una scarsa visibilità del fenomeno e poca attenzione da parte delle autorità e della società in generale. Nel 2016 un altro studio ha evidenziato che, sui 5712 casi di donne indiane americane e native dell’Alaska scomparse, solo 116 erano stati registrati nel database del dipartimento di giustizia. In Alaska l’omicidio è considerato la terza causa di mortalità tra le donne indiane americane.

A difesa dei loro diritti sono scese in campo diverse organizzazioni religiose tra le quali il World Council of Churches (Wcc) che, attraverso la campagna di sensibilizzazione «Thursdays in Black» (Giovedì in nero), chiede fermamente giustizia e un’azione unitaria. I giovedì in nero sono nati dai movimenti femminili di resilienza e resistenza all’ingiustizia, agli abusi e alla violenza che continuano a portare alla luce quelle che sono state le tragedie invisibili. Uno di questi movimenti in Canada e negli Stati Uniti cerca giustizia e cambiamento per le donne indigene scomparse e uccise. Il Consiglio ecumenico delle Chiese ne è diventato uno dei primi e più importanti sostenitori facendosi promotore di una protesta pacifica contro lo stupro e la violenza.

Tra le popolazioni indigene, grazie al sostegno dei movimenti religiosi, sta crescendo la speranza di cambiamento: donne e comunità si stanno unendo per far crescere la consapevolezza nella società civile e tra le autorità governative. «Quello che è successo a noi donne — spiega l’attivista Mary Lyons, decana della comunità indigena 0jibwe — è sempre stato messo nell’ombra fin dall’inizio dei tempi. Per molti le donne indigene sono esseri umani di seconda classe». Lyons e Yuzicappi hanno in comune un dramma familiare: entrambe hanno perso la figlia e la sorella uccise nell’indifferenza generale. «Molte di noi non sapevano come muoversi per far sentire la nostra voce, abbiamo dovuto farlo da sole. Anche se non venivamo invitate ai dibattiti andavamo lo stesso e ci siamo rese conto che il nocciolo della questione era legato ai soldi. L’azione per il governo di prendersi cura dei figli e delle donne assassinate e assicurare, al contempo, il carcere agli autori dei crimini, aveva un costo. Adesso, è giunto il momento di cambiare», affermano. Nello stato del Minnesota, come risposta, è stata istituita una task force che indaga sulle donne indigene scomparse e uccise nel 2019 e che renderà pubblici i risultati il prossimo dicembre.

È un passo avanti ma Lyons — insieme alle nonne e ai nonni di tutte le comunità indigene — sa che bisogna fare molto di più per ristabilire l’equilibrio e riconoscere la sacralità della vita. «Stiamo lavorando e dialogando anche con i nostri anziani per cercare di diffondere una cultura basata sul rispetto della donna e sulle pari dignità», rivela.

Raccontando con coraggio la violenza subita dalla figlia, Yuzicappi è riuscita insieme ad altre donne a scuotere l’opinione pubblica: «Ciò che ho fatto aiuterà le altre a cambiare la loro vita». L’attivista ricorda che «le donne sono donatrici di vita. Senza di esse non ci sarebbe esistenza. Gli uomini devono rispettarle e proteggerle». Di qui l’esortazione affinché le indigene, con l’aiuto dei movimenti religiosi e delle associazioni, rendano noti i propri drammi e chiedano giustizia. Yuzicappi, per esempio, ha condiviso il suo dolore familiare con oltre 1400 persone colpite, attraverso il Canada’s National Inquiry on Missing and Murdered Women. Per l’attivista indiana è molto importante segnalare e monitorare le proprie istanze «assicurandosi che la polizia faccia il proprio lavoro e che i media sostengano le persone colpite riportando all’opinione pubblica il loro dramma».

Man mano che la tragedia delle donne indigene scomparse e uccise diventerà più visibile, sempre più persone su scala globale chiederanno un’azione efficace. «Credo fermamente nella solidarietà internazionale contro gli abusi sessuali e la violenza», conclude Yuzicappi. «L’importante — aggiunge Lyons — è agire tutti insieme uno a fianco all’altro. Dobbiamo abbattere i muri che ci separano».

di Francesco Ricupero