Nel documento finale dell’Assemblea per l’Amazzonia

A difesa di un popolo

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17 agosto 2020

Il 18 e il 19 luglio scorsi si è svolta, online, la prima Assemblea per l’Amazzonia, con la partecipazione di rappresentanti di Brasile, Ecuador, Colombia, Perú, Bolivia, Cile, Paraguay, Guyana, Venezuela e Suriname. Una volta conclusa, gli organizzatori hanno diffuso un documento finale. Fin dall’inizio del testo si riconoscono come auto-convocati «di fronte alla distruzione dell’Amazzonia e dei suoi popoli, che causerà una catastrofe globale per via dell’interdipendenza profonda di tutto ciò che esiste». Parimenti, nel primo paragrafo esortano a una «mobilitazione mondiale per l’Amazzonia», con tre obiettivi: fermare l’ecocidio, l’etnocidio e il genocidio dei popoli indigeni.

Nella prima parte, il documento denuncia che ci stiamo «avvicinando al “punto di non ritorno” della savanizzazione e della spaccatura dell’ecosistema dell’Amazzonia e tutto ciò che le è connesso», con «l’inferno degli ingenti roghi e incendi, dello sfruttamento minerario, del traffico di terreni, parcellizzazione, colonizzazione, per gli interessi degli allevamenti, soia, palme da olio, monoculture, settore minerario, idrocarburi e altro ancora». Chiede che si ponga fine a ciò che definisce «la dittatura dell’infrastruttura (come le strade e le dighe idroelettriche) e dei beni primari convenzionali o falsamente “verdi”», sottolineando la necessità di «consolidare i diritti della natura e dell’ecosistema amazzonico come essere vivente fondamentale per la sopravvivenza del pianeta».

I firmatari lanciano un appello urgente a fermare, «prima che diventi irreversibile, la catastrofe della vita globale, attraverso la distruzione dell’Amazzonia come cuore del mondo, per i suoi innumerevoli benefici sotto forma di mega biodiversità, ossigeno, acqua dolce, regolazione e raffreddamento climatico». Riguardo all’esigenza di arrestare quello che definiscono etnocidio e genocidio dei popoli indigeni, afrodiscendenti e amazzonici in generale, denunciano l’aggravarsi della situazione a causa della pandemia di covid-19: in tal senso, esortano ad «arrestare le aberrazioni del genocidio, della necropolitica e dei “corpi scartabili”, a partire dagli Stati, specialmente il Brasile. Sradicare il razzismo strutturale, sociale, tecnocratico, statale, ontologico ed epistemologico, la distruzione e l’omogeneizzazione delle culture e il mito delle “razze”, e così progredire nella decolonialità del potere, del sapere e dell’essere. Smettere di essere ciò che non siamo, non possiamo e non vogliamo essere».

Nella seconda parte del documento dell’assemblea gli organizzatori lanciano vari appelli, rivolti nella parte finale «ai cittadini e alle cittadine del mondo» invitandoli «ad “amazzonizzare” se stessi, a sottoscrivere un’alleanza permanente e solidale con l’Amazzonia: informiamo, mobilitiamo, agiamo in difesa della vita e dei diritti delle persone e della natura». Il primo di tali appelli è alla «copertura di emergenza di servizi sociali, con sistemi sanitari e di automedicazione basati sulle strutture comunitarie e statali, che uniscano conoscenze tradizionali e medicina occidentale; investimenti strategici e consistenti dei poteri pubblici nel campo della salute e dell’educazione, con la partecipazione e il controllo dei popoli amazzonici; attenzione integrale e transfrontaliera verso le pandemie (attuali e future) e le malattie tropicali; sistemi educativi bilingue interculturali di qualità e non marginali, basati sul dialogo equo tra conoscenze e rispetto del patrimonio intellettuale collettivo e transgenerazionale dei popoli».

Il secondo appello è collegato allo sradicamento di ogni forma di dominio e violenza di genere. In tale ottica, il documento invita a costruire «relazioni vere di uguaglianza di genere e intergenerazionale, superando le oppressioni storiche del patriarcato». A tale proposito afferma che «le donne amazzoniche sono protagoniste di resistenza, di forme locali e cicliche di economia, di nuove aperture alla sacralità della vita. La gioventù amazzonica rafforza i processi con il rinnovamento dirigenziale e la creatività in molteplici ambiti, come quelli della comunicazione e dell’arte». Il testo esorta inoltre all’«autogoverno e alla libera determinazione dei popoli indigeni e della società, in particolare di quelli più isolati», con lo scopo di «superare le oppressioni dello statocentrismo».

Il documento prosegue rimarcando l’importanza di denunciare e fermare gli assassinii di leader, esortando a proteggere «i difensori della vita, senza criminalizzare e giudizializzare i diritti e le lotte sociali, istituzionalità e organizzazioni sociali laiche, con spiritualità libera e senza sette della paura, repressione e violenza psicosociale». Come in numerose altre occasioni, esortano anche a «frenare l’estrattivismo e le sue strutture di depredazione, oppressione e corruzione imprenditoriali e statali, e i trattati o accordi di “libero scambio” che le rafforzano. A favore di economie comunitarie, con reciprocità e solidarietà, con e nella foresta perché resti in piedi». In ciò che definiscono “de-mercificazione della vita”, esortano a «fermare la dittatura ecocida degli affari del capitalismo privato e del capitalismo di Stato, nelle sue diverse espressioni politiche». Si auspicano una «giustizia climatica con una netta riduzione delle emissioni, senza false soluzioni (geo-ingegneria, mercato del carbonio e così via); un’azione sociale e statale per fermare le mafie, gli omicidi su commissione e ogni forma di violenza delle economie illegali negli ambiti dell’attività estrattiva, del legname, del narcotraffico, delle piantagioni e del traffico di terreni».

Giunge infine l’esortazione a creare «città inclusive, ugualitarie, accoglienti, ecologiche ed economicamente sostenibili, politiche urbane e investimenti, dando priorità al diritto a un alloggio dignitoso, all’accesso all’acqua e ai servizi igienici di base, a relazioni giuste nello scambio con la campagna e la foresta». Oltre ad «arrestare il consumo di prodotti amazzonici basati sull’ecocidio, l’etnocidio e le molteplici forme di oppressione». L’appello finale è: «Non una goccia di sangue indigeno e popolare in più nelle economie amazzoniche! Frenare la crescita senza fine in un pianeta limitato e i modelli di consumo incompatibili con la preservazione della vita!».

I partecipanti all’assemblea, a conclusione dello storico documento, affermano di credere nei «processi di auto-organizzazione dei popoli della Pan-Amazzonia e dell’Abya Yala, con la mobilitazione di comunità, città e movimenti sociali». Non esitano a concludere la loro dichiarazione con una serie di affermazioni decise e urgenti: «Non c’è più tempo! Basta antropocentrismo, superbia suicida, tecnolatria della crescita illimitata, fino all’esplosione globale! L’Amazzonia non ci “appartiene”; noi conviviamo con essa e dipendiamo da essa. Vita piena è interdipendenza tra tutto ciò che esiste. Amazzonia viva, Umanità sicura, Con-vivere per tutte e tutti».

di Marcelo Figueroa