A Beirut una lunga scia di sangue

La statua di Hariri tra i palazzi distrutti nel centro di Beirut (Afp)
19 agosto 2020

A pochi giorni dall’esplosione del 4 agosto, che l’ha devastata in pochi secondi, Beirut ha accolto una sentenza su un’altra improvvisa esplosione che il 14 febbraio 2005 devastò parte dello stesso lungomare, lasciando un cratere e privando il Paese del suo ex primo ministro Rafiq Hariri e delle 23 persone che viaggiavano con lui. Allora si riuscì a istituire il Tribunale internazionale per Libano; tra mille resistenze il Libano lo ratificò e, adesso, dopo quindici anni, la Corte ha concluso il suo lavoro.

Il Libano è tornato dunque a quel 14 febbraio, ma non può tornare solo a quel giorno. Il 14 febbraio 2005, quando fu eliminato il suo leader espressione della comunità musulmana sunnita, è infatti proseguito in una lunga scia di sangue collegato, di personalità delle comunità cristiane libanesi. Essi, con Rafiq Hariri sono gli altri protagonisti di questa giornata per la verità e la riconciliazione. La seconda parte dell’attacco al Libano è cominciata il 2 giugno del 2005 con l’esplosione della vettura di Samir Kassir, uno dei nomi di punta della cultura araba contemporanea, autore de L’infelicità araba. La neutralità libanese di cui ha parlato tante volte in questi giorni il patriarca Beshara Rahi nella sua opera, appare neutralità tra Oriente e Occidente essendo Beirut araba, europeizzata, moderna, mediterranea. È stato ucciso da esplosivo collegato all’accensione della vettura come Georges Hawi, altro intellettuale impegnato per quella visione di indipendenza e cittadinanza, una storia politica importante alle spalle, essendo stato segretario del Partito comunista libanese: fu ucciso il 21 giugno 2005. Il 12 luglio una bomba centrava l’automobile sulla quale viaggiava il ministro Elias Murr; nel suo caso la morte non ha avuto la meglio, le menomazioni però sono state gravissime.

Analogamente è andata per la giornalista televisiva May Chidiac, che, secondo gli attentatori, doveva morire il 25 settembre 2005. Lei ha saputo raccontare con bestseller mondiali quegli anni spesi contro la sovranità limitata. Il 12 dicembre di quello stesso 2005 veniva eliminato Gebran Tuèni, figlio del più grande intellettuale ortodosso dei tempi recenti, Ghassan Tuéni, fondatore della prestigiosa testata «an-Nahar», che ormai Gebran guidava. Temendo per la sua vita era andato da qualche mese a Parigi, poi aveva deciso che doveva rientrare e lo fece l’11 dicembre, poche ore prima di essere ucciso mentre percorreva l’autostrada che lo conduceva in città.

La scia di sangue è parsa fermarsi, ma non era così: il 21 novembre 2006 è stata infatti la volta del ministro Pierre Gemayel, la famiglia più nota delle comunità cristiane del Libano.

Questo incontro di storie dai corsi molto diversi è il tratto più importante del 2005 libanese. Aperto dal sangue di Hariri, è stato seguito da quello di questi figli di comunità cristiane fino a quando il 13 giugno 2007 è stato eliminato il deputato sunnita Walid Eido. Ricordarli nella loro appartenenza comunitaria è però riduttivo, perché avevano scelto la prospettiva della cittadinanza, anima della civiltà del Levante. Il loro destino è stato determinato da questo.

di Riccardo Cristiano