Ufficio oggetti smarriti - Il passato imprevedibile

Una storia non semplice

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17 luglio 2020

Ci sono film che sono orologi, meccanismi perfetti. È il caso di Una storia semplice (film del 1991, tratto dall’omonimo romanzo poliziesco di Leonardo Scascia) piccolo gioiello seminascosto nelle programmazioni televisive. Il film di Emidio Greco è congegno noir dove tutto funziona alla perfezione, un cast di qualità che vede un’altra grande interpretazione (l’ultima) di Gian Maria Volontè (il professor Franzò) e poi Ennio Fantastichini (nella parte del commissario), Ricky Tognazzi (il brigadiere), Massimo Dapporto (il questore) e tanti altri. Tutti bravi, misurati, al loro posto. Di che parla Una storia semplice? Probabilmente di due cose, di un apparente suicidio che è in realtà un omicidio e della Sicilia. Una notte in una questura siciliana squilla il telefono, un uomo (un ricco possidente che ha fatto inaspettatamente ritorno in Sicilia e ha deciso di pernottare in una sua masseria poco lontana dalla città) dice di voler parlare col questore per via di qualcosa che ha trovato. Il commissario, informato della telefonata, sembra prendere sottogamba la chiamata di quell’uomo e invita il brigadiere e il resto della squadra a recarsi solo l’indomani in quella masseria. Una volta giunti sul posto, il brigadiere si troverà di fronte uno scenario apparentemente tipico del suicidio. Un uomo morto, con la testa appoggiata sulla scrivania di fronte la quale siede e un buco nella testa. A terra la pistola con la quale ha sparato. «Suicidio — dice il questore al brigadiere prima che questi rediga il verbale — evidente caso di suicidio, questa è una storia semplice». La storia si rivelerà meno semplice del previsto. Per esempio, a partire dal fatto che il morto aveva davanti a sé un foglio sul quale aveva scritto «Ho trovato». Un punto, quello dopo «Ho trovato», messo probabilmente dall’assassino per sviare le indagini e impedire che ci si domandasse cosa quell’uomo avesse trovato. Un quadro. Questo aveva rinvenuto la vittima, «ho trovato un quadro» aveva detto al telefono la sera prima al suo caro amico il professor Franzò che, interrogato dal commissario, disegna il suo vecchio conoscente come uomo molto colto, tranquillo, lontano dall’ipotesi del suicidio e invece un po’ allarmato per via di quel quadro che aveva rinvenuto nella masseria mentre era intento a cercare alcune vecchie lettere originali di Pirandello. Senza rovinare a chi ci legge il gusto di andare a ripescarsi questo piccolo/grande film e gustarsi il sapiente intreccio di eventi, colpi di scena e personaggi, diremo che la storia mostra implacabilmente quattro anime di un affresco siciliano, tutte a loro modo importanti. Ci sono i cattivi, quelli che sanno cosa stanno facendo e (in società) hanno ruoli e posizioni sociali spesso inattese. Ci sono i buoni, con le loro ingenuità e quel voler a tutti costi, fino in fondo, trovare una giustificazione di fronte a ciò che inequivocabilmente indica cosa stia accadendo. Ci sono gli idioti, per esempio il sostituto procuratore che non capisce assolutamente niente e che risultano, più per idiozia che per intenzione, decisivi quanto inconsci fiancheggiatori dei meccanismi criminali. E infine c’è il professor Franzò, che è vecchio ed ha poco tempo davanti per il quale tutta questa storia è una storia già vista tante volte, in tanti modi diversi, tutti (spesso) privi di lieto fine. Di giusto fine, diremmo. Leonardo Sciascia infatti, nel libro cui il film si ispira, provava (attraverso gli occhi del professor Franzò) a divincolarsi fra quella voglia di dare ancora una speranza alla sua Sicilia, come luogo dove in qualche modo fosse ancora possibile avere giustizia, e il feroce disincanto legato alla realtà delle cose, una realtà nella quale la criminalità e la cosiddetta società civile costruiscono connivenze sulfuree, sottopelle, molto difficili da sciogliere. La voglia di vivere come Dio comanda e quel che l’uomo, di quel comando, ne aveva fatto. Emidio Greco rispetta profondamente l’anima del racconto, disegna i personaggi con quel tratto scarno ma efficace tipico della grande tradizione dei noir francesi. Tipicamente simenoniano infatti è quel gusto per il dubbio, questa attrazione fatale per ciò che “sembra invece è altro”. Quando il brigadiere confida al professor Franzò di aver risolto il caso e di essere sulla strada giusta «Questa è matematica» gli dice riferendosi ai risultati delle sue deduzioni che assumono evidenza di prove, l’anziano professore gli offre un caffè e lo ammonisce «La matematica è affascinante… ma vi sciolga dentro sempre qualche dubbio». Se esiste un oggetto smarrito è questo film nelle programmazioni televisive, se siete fortunati e probabilmente soffrite d’insonnia, potrete imbattervi in Una storia semplice nel cuore di una notte d’estate o magari poco prima dell’alba. Ogni cosa “semplice” ha vita complessa nel mondo là fuori.

di Cristiano Governa