Riflessioni sulla prima delle nuove invocazioni delle Litanie lauretane

Un poliedrico titolo mariano

Domenico Ghirlandaio «Madonna della misericordia» (chiesa di Ognissanti, Firenze)
01 luglio 2020

La Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ha comunicato, lo scorso 20 giugno, la decisione di Francesco di inserire nelle Litanie lauretane tre nuove invocazioni: Mater misericordiae, Mater spei, Solacium migrantium. Il Pontefice vi ha aggiunto le tre invocazioni sopraricordate; qui si vuole illustrare e commentare teologicamente Mater misericordiae, la prima di queste. È un titolo poliedrico, ossia multiforme, complesso, sfaccettato, variegato, polimorfo, in grado di esprimere con ricchezza e sottigliezza di significati, oltre al mistero di Dio, anche quello dell’uomo, della sua storia e della sua cultura.

«Mater misericordiae» un titolo antico e attuale

Come s’evince dalla più antica preghiera mariana, Sub tuum praesidium confugimus, la Chiesa, ispirandosi al dato scritturistico, chiama Maria con termini alludenti alla misericordia. In questa celebre preghiera corale, Maria è presentata come segno di misericordiosa madre: «Sotto la tua misericordia / ci rifugiamo, / Genitrice di Dio. Le nostre / suppliche tu non respingere nella necessità, / ma nel pericolo / libera noi: / sola casta / sola benedetta» (G. Giamberardini, Il culto mariano in Egitto, Gerusalemme, Studium Biblicum Franciscanum, 1975, volume 1, pagina 74).

Forse fu esattamente nell’epoca patristica avanzata che, per la prima volta, Maria è chiamata «madre della misericordia», e questo da parte di Giacomo di Sarug. Quel titolo, da allora come per un contagio spirituale si è diffuso. Così, si prega e si canta che «al misericordioso conviene una madre di misericordia»: è Romano il Melode (prima metà del sesto secolo) ad affermare che Maria ha amato anche «gli estranei e i nemici, perché era veramente la madre della misericordia, la madre del Misericordioso» (Testi mariani del primo millennio, Roma, Città Nuova Editrice, 1988-1991, volume 2, pagina 264).

Oltre che in contesto di preghiera, il titolo di Mater misericordiae viene usato anche con intenzione più apertamente teologica: ad esempio, da parte di Giovanni il Geometra (fine del decimo secolo), il quale sviluppa un interessante ragionamento teologico arrivando alla conclusione che, per essere stata Maria misericordiosa prima in vita e ora nei cieli, «colui che ama immensamente gli uomini diventa ancor più misericordioso, lui che ha scelto costei a motivo dell’amore che nutre per gli uomini, e l’ha costituita non solo madre misericordiosa, ma anche mediatrice e riconciliatrice presso di lui» (ibid., pagina 966).

Molto più tardi s’aggiunge alla voce di Maria Teofane di Nicea che così s’esprime: «Ella [Maria] è in verità e senza alcuna finzione la misericordia divina, dal momento che essa è riempita dalla bontà, dalla misericordia e dall’amore sussistente. [...] Poiché viscere di misericordia divina essa è» (Sermo in SS. Deiparam, M. Jugie, Roma, coll. Lateranum 1, 1935, pagina 194).

Il titolo di Mater misericordiae non ha tardato a diffondersi nell’occidente cristiano. Con questo titolo Maria è stata invocata e venerata nella grande vita monastica medievale: paradossalmente, proprio nel decimo secolo, chiamato saeculum pessimum o anche “secolo di ferro”, un monaco, Oddone di Cluny, aveva l’abitudine d’invocare Maria col dolcissimo titolo di Mater misericordiae (Vita Odonis Clun., ii, 20: pl 133, 72). Ancora, a larghi tratteggi, nella grande stagione della Scolastica non sono mancate né la riflessione teologica né l’atteggiamento orante nei confronti della Vergine Madre. Ad esempio, sant’Anselmo d’Aosta (m. 1109) lo declina nella prospettiva della cooperazione di Maria nell’ottica della redenzione mentre san Bernardo insiste sul potere d’intercessione materna di Maria, quale avvocata misericordiosa (In nativitate b. m. v., Sermo 7).

Anche nell’età moderna il titolo Mater misericordiae si conferma sia in ambito teologico sia in quello della pietà. San Lorenzo da Brindisi chiama Maria «Madre della misericordia», per dire che è «infinitamente misericordiosa»; invece sant’Alfonso Maria de’ Liguori ci presenta soprattutto Maria come la madre dagli occhi misericordiosi: Lei è «tutta occhi, al fine di sovvenire noi miseri su questa terra» (Le glorie di Maria, Valsele Tipografica, Materdomini, 1987, p. i, capitolo i, pagina 221).

Finalmente, ancora con tratteggi rapidi e distanti, nel nostro tempo, il titolo Mater misericordiae è stato ribadito, con solennità speciale, da san Giovanni Paolo II in due sue encicliche: Dives in misericordia e Redemptoris Mater. Infine, questo titolo ha avuto nuovo impulso con il cosiddetto “Messale mariano italiano” (1987) che dedica ben otto formulari, dal 39 al 46, all’intercessione misericordiosa di Maria. Il formulario 39, in modo esplicito, reca il titolo: «Maria Vergine regina e madre della misericordia».

Dinanzi a una parola dolce e inquietante

Quando si parla di misericordia, come in questa occasione della nuova invocazione litanica Maria mater misericordiae voluta da Papa Francesco, si impatta in una parola dolcissima (è la forma di amore più desiderabile) ma anche complessa. Infatti, su di essa pesa una storia di equivoci e di incomprensioni, fino a potersi parlare di “misericordia esiliata” dalla nostra cultura, soprattutto perché è invalsa l’idea che la ritiene un atteggiamento debole, rinunciatario e addirittura superficiale.

Di certo, misericordia è parola finanche inquietante. Un sintomo di questo l’abbiamo quando constatiamo che è stata «sospettata di ideologia» da Karl Marx che vede in essa una presunta antitesi alla giustizia o quando, addirittura, Friedrich Nietzsche la definisce «la più malsana delle virtù» (cfr. F. Nietzsche, L’anticristo. Maledizione del cristianesimo, Milano, Adelphi, 1977, pagine 8-9).

Misericordia, invece, per i cristiani è parola ricca di una profonda densità misterica, che va fatta emergere sia a livello gnoseologico sia a livello operativo, come fa Papa Francesco, echeggiando l’anno giubilare della misericordia (2015-2016) e, in un certo senso, dando ad esso il modo di durare ancora. Egli conferma che la misericordia non è opposta alla giustizia, ma ne è, non il superamento, ma l’oltrepassamento. Così, Maria non può essere pensata come una “Madre della misericordia” in antitesi alla giustizia divina.

Maria, madre del Redentore e «madre del Giudice»

La misericordia non è debolezza, anzitutto in Dio, il cui infinito amore non giustifica alcuna concezione facilistica della vita cristiana, mentre vuole una misura di fedeltà sempre più alta: la misericordia è il “codice” esigente che trova parziali e insufficienti tutti i nostri comportamenti basati sulle misure minimali di «ciò che è dovuto». Nel cristianesimo non si dà né un giudizio senza misericordia né una misericordia senza giudizi0 e quindi «bisogna mantenere in tutta la sua forza l’antitesi giustizia incorruttibile - perdono infinito» (X. Tiliette, La beatitudine della misericordia, in Communio [Settembre-Ottobre 1983], 11).

Maria, ad un tempo, è la madre del Redentore e la madre del Giudice, come Ambrogio Autperto — monaco dell’ottavo secolo in San Vincenzo sul Volturno, presso Benevento — bellamente s’esprime a lei rivolgendosi: «Ricevi quello che offriamo, ottieni quello che chiediamo, perdona quello che temiamo, poiché non troviamo nessuno più capace di te, per i propri meriti, a placare la collera del Giudice, tu che hai meritato di essere la madre del Redentore e del Giudice» (H. Barré, Prières anciennes de l’occident a la mère du Sauveur. Des origines à sant Anselme, Paris, Lethieux, 1963, pagina 44). Così, Maria indica, con la sua stessa esistenza personale, la conciliabilità fra misericordia e giustizia. Lei, con la sua partecipazione al mistero della Croce è icona di Cristo in quanto infinitamente perdonante, mentre, con il suo essere immacolata e tutta santa, è icona di Lui in quanto incorruttibilmente giusto.

«Mater misericordiae»: un grande titolo per una grande Madre

La grandezza della misericordia è implicita nel fatto che ad essa siamo obbligati poiché ne va della nostra salvezza. «Abbiamo sempre bisogno — afferma Papa Francesco — di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza» (bolla Misericordiae vultus, 11 Aprile 2015, n. 2). Col titolo di Mater misericordiae si afferma di Maria che Lei è una grande donna perché la sua maternità è riferita a una realtà di pienezza della misericordia. Gli è che tutto è compreso in essa: dall’amore per Dio e i fratelli dipendono la legge e i profeti (cfr. Matteo, 22, 40).

Secondo il Pontefice, «il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi» (Misericordiae vultus, 1). La misericordia — anche se è parola primale, centrale e finale della storia della salvezza — è cresciuta nella duna dell’indifferenza e dell’oblio: si tratta di un tema «imperdonabilmente trascurato», ma fortunatamente nei nostri ultimi decenni s’eleva un’intensa «invocazione», fino a imporsi come «un tema fondamentale per il XXI secolo» (cfr. W. Kasper, Misericordia. Concetto fondamentale del Vangelo – Chiave della vita cristiana, Brescia, Queriniana, 2013, pagine 5-26).

Nella misericordia Dio s’esprime in pienezza e impegna il suo onore, che è la sua sorprendente responsabilità. Si potrebbe dire, col metodo del rovescio, che se Dio non esercitasse la misericordia, sarebbe da temere perché sarebbe un Dio irresponsabile. Ma questa ipotesi non è data, come afferma Papa Francesco: «La misericordia di Dio è la sua responsabilità per noi» (Misericordiae vultus, 10). Nella misericordia c’è, dunque, il germe di tutta la teologia cristiana: tutto accade dentro il suo arco, anche il mistero di Maria, ed è grandioso perciò affermare che la Donna di Nazaret e di Gerusalemme ne sia la «Madre» e che questa Madre venga posta, di conseguenza, nell’ordine del principio.

Con l’invocazione di Mater misericordiae inserita nelle Litanie lauretane, Papa Francesco desidera chiedere al popolo cristiano di fare della misericordia una linea immancabile nel tratteggio del suo cammino sinodale verso il «Nord di Dio» (H.U. von Balthasar), che è il Cielo.

La misericordia e Maria «microstoria della salvezza»

Chiamando Maria con l’originale e densa espressione di «microstoria della salvezza» (Stefano De Fiores), si vuole intendere che la Madre del Messia traspare in filigrana in tutte le vie di Dio, ossia nei suoi modi di comportarsi nella storia. Così, per approfondire la figura della Vergine Maria, occorre esplorare la storia della salvezza, ma anche: scrutando nella sua persona e nella sua partecipazione all’opera messianica di Gesù, si riesce a scorgere il disegno della storia di grazia con cui il Dio trinitario sta salvando gli uomini e l’intera creazione.

Questo santo disegno mostra un reticolo di misericordia onnicomprensivo, che pervade perciò l’intera economia delle due alleanze, tanto da poter dire che “misericordia” è una delle parole che meglio riescono a dire quale sia verità del cristianesimo: «Non è esagerato affermare — scrive Rino Fisichella — che con il concetto di misericordia si raggiunge una delle espressioni più alte della rivelazione cristiana e intorno ad essa confluiscono i temi centrali della fede» (Sulla teologia della misericordia, in Aa.Vv., Misericordia. Volto di Dio e dell’umanità nuova, Milano, Edizioni Paoline, 1999, pagina 119).)

Con il suo titolo di Mater misericordiae, Maria ricorda di aver partecipato, e ancora partecipa, a una storia della salvezza il cui ideatore e primo soggetto è un Dio di misericordia, un Dio “empatico” e “simpatico”, Dio-Amore (cfr. Giovanni, 4, 8). La misericordia — ricorda Papa Francesco — «è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth» (Misericordiae vultus, 1), che è «nato da donna» (Galati, 4, 4): Gesù è stato generato dalla Vergine Madre, la quale, in tal modo, è divenuta «Madre di Misericordia» o Madre del misericordioso Redemptor hominis, che incarna al massimo grado l’empatia e la simpatia del Padre con l’uomo. Gesù, come Dio fatto uomo, avvicina Dio all’uomo e l’uomo a Dio. Con questo doppio avvicinamento Gesù si dimostra rivelatore e mediatore di un Dio di cuori, ossia di un Dio di misericordia che ha un cuore curvo sugli uomini per salvarli.

Con l’incarnazione avvenuta nella Donna la misericordia si fa storia si fa cultura

Dentro il seno di Maria la misericordia di Dio entra nelle vene della storia salvifica. Nelle Scritture non si tratta semplicemente di un Dio che ha amore, ma di un Dio che è amore, anzi che è misericordia da sempre a sempre: «La misericordia rende la storia di Dio con Israele una storia di salvezza. Ripetere continuamente: “Eterna è la sua misericordia”, come fa il Salmo, sembra voler spezzare il cerchio dello spazio e del tempo per inserire tutto nel mistero eterno dell’amore. È come se si volesse dire che non solo nella storia, ma per l’eternità l’uomo sarà sempre sotto lo sguardo misericordioso del Padre» (Misericordiae vultus, 7). Lo spezzamento dello spazio e dei tempi degli uomini avviene in modo massimo dentro il cuore e le viscere della Vergine di Nazaret quando diventa la Madre del Messia.

Maria, però, non è Mater misericordiae solo perché ha generato il Figlio misericordioso ma anche perché lei ha assunto, come madre messianica, il progetto trinitario della misericordia con i suoi atti di cooperazione col Figlio salvatore, e ha fatto proprio, altresì, quel divino progetto anche nella sua esistenza personale, facendosi modello di donna, sorella e madre di misericordia per tutti. Come si vede, in Maria si dà una geometria paradossale: Lei ha mostrato, più d’ogni altra creatura, che l’imitazione del Dio misericordioso è di per sé un’ascensione imitativa che va dal basso dell’esperienza umana all’alto del mistero di Dio e anche che alla perfezione della misericordia del Padre si ascende, paradossalmente, con un cammino orizzontale verso i fratelli: «Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita» (Misericordiae vultus, 2).

Inserendo l’invocazione di Mater misericordiae nelle Litanie lauretane Papa Francesco ha voluto ricordare, fra l’altro, l’urgenza della misericordia di Dio per il nostro tempo, che si presenta, soprattutto verso i più deboli, con le fauci aperte di una terribile tigre cinica. Il principio della misericordia è necessario anche ai giorni futuri che appaiono incerti e spesso minacciosi. «A tutti, credenti e lontani — si augura il Pontefice — possa giungere il balsamo della misericordia come segno del Regno di Dio già presente in mezzo a noi» (Misericordiae vultus, 5).

Infine, con la misericordia si fa cultura. Maria, quale donna inserita nella geografia e nella storia degli uomini, con tutta la sua umanità ci ricorda che la misericordia deve assumere i tratti della concretezza. Perciò sta ai cristiani vincere l’estraneità tra misericordia e cultura. Papa Francesco lamenta «la dimenticanza del tema della misericordia nella cultura dei nostri giorni» (Misericordiae vultus, 11). La preoccupazione del Papa va capita e indagata con attenzione.

È innegabile che nei confronti della misericordia esista un senso di estraneità da parte della cultura, sia che si tratti di cultura alta, sia che si tratti di cultura intesa come vissuto e come paradigma sapienziale di vita. A quest’ultimo livello, lo stridore fra le due parole è ancora maggiore: oggi la regola fondamentale che sottende ai comportamenti è quella mercantile del do ut des e del do ut facias, del facio ut des e del facio ut facias, mentre la misericordia si colloca dell’ottica del mistero di Dio trinitario che richiama il principio della paternità e del problema dell’uomo che evoca quello della fraternità, due principi che convergono in quello della gratuità.

Maria, donna che vive dei doni di Dio dalla nascita ad ora che è la gloriosa in Cielo, ci ammonisce amabilmente che matrice estrema della vita è la gratuità, il dono radicale della misericordia, il cui rifiuto è l’unica miseria insuperabile.

di Michele Giulio Masciarelli