A proposito delle linee guida sull’educazione civica del ministero dell’Istruzione

Un passo importante

Jacques-Louis David, «Il giuramento della Pallacorda» (1791)
06 luglio 2020

Nei giorni scorsi il ministero dell’Istruzione ha inviato a tutte le scuole le Linee guida sull’educazione civica. Si tratta di un passo importante, compiuto in approvazione della legge 92/2019 che ha reintrodotto questo ambito di insegnamento come percorso obbligatorio trasversale, per il quale si prevedono un preciso monte orario (33 ore annue) e una valutazione apposita. Purtroppo, come spesso accade per l’implacabile regola delle priorità, la notizia è passata sottotraccia. L’interesse della politica e dell’opinione pubblica è tutto rivolto, e anche comprensibilmente, alle complesse circostanze in cui la scuola si appresta ad affrontare il nuovo anno scolastico.

La riflessione sull’educazione civica è tuttavia una questione cruciale e sarebbe grave non prestare la dovuta attenzione alle decisioni assunte. Senza particolari sforzi interpretativi, le indicazioni del Ministero hanno evidenziato tre nuclei tematici principali rispetto a quelli previsti dalla norma, individuandoli di fatto come identitari della nuova disciplina: la Costituzione, la sostenibilità e la cittadinanza digitale. Il documento si dichiara in linea con l’Agenda 2030 e in tale prospettiva attribuisce alla questione ambientale un valore centrale nell’educazione dei giovani. Questo è un dato significativo, moderno, che trasforma con intelligenza l’idea di una disciplina che si vanifica nel momento in cui — soprattutto presso la fascia dei giovanissimi — si riduce a mera teoria, in discorsi astratti sui diritti e sui doveri. L’educazione civica — ed è qui la forza del concepirla come approccio trasversale (tale cioè da interessare e coinvolgere tutte le discipline del curricolo) — va intesa come trasmissione di valori, di codici di comportamento e soprattutto come sviluppo di una sensibilità verso il principio del bene comune, verso ogni tipo di diversità, verso il “saper essere”.

Stupisce però che a fronte di questa apertura, dello slancio innovativo che si è voluto attribuire al nuovo insegnamento, lo spazio riservato ai beni culturali e al paesaggio, al concetto di “patrimonio” — anche nella importante declinazione adottata con la Convenzione di Faro del 2005 attraverso l’immagine delle “comunità di eredità” — sia del tutto irrisorio. Vi si accenna fuggevolmente, senza alcun approfondimento, nel passaggio delle Linee Guida in cui si legge, a proposito dell’educazione alla sostenibilità, che essa riguarda anche la «tutela dei patrimoni materiali e immateriali delle comunità». Poi si aggiunge che in tale contesto si potranno trattare «temi riguardanti l’educazione alla salute, la tutela dell’ambiente, il rispetto per gli animali e i beni comuni, la protezione civile». Non vi è un solo riferimento ai beni culturali, al patrimonio artistico e al paesaggio, a quell’ambiente naturale e civile che compone di fatto la dimensione del nostro quotidiano, che nutre il nostro sguardo sin dalla prima infanzia, che ci accompagna ogni giorno testimoniando le nostre origini, sostanziando il ponte che ci collega ai nostri padri. Eppure proprio il campo della sostenibilità, affrontato in chiave di responsabilità sociale (l’attenzione all’altro, l’inclusione, la tutela dei diritti umani, le pari opportunità), può essere un terreno davvero proficuo per insegnare a bambini e ragazzi quanto importante sia prendersi cura dei territori, considerarli come ambienti da proteggere ma anche da promuovere, da far conoscere, in una prospettiva reale di benessere complessivo che non porti degrado, ma sviluppo economico e “pubblico godimento” (nella concezione che nei secoli ha ispirato l’apertura di musei e collezioni un tempo riservate a pochi privilegiati).

Nella Lettera enciclica Laudato si’ (2015), Papa Francesco scrive: «Insieme al patrimonio naturale, vi è un patrimonio storico, artistico e culturale, ugualmente minacciato. È parte dell’identità comune di un luogo e base per costruire una città abitabile. Non si tratta di distruggere e di creare nuove città ipoteticamente più ecologiche, dove non sempre risulta desiderabile vivere. Bisogna integrare la storia, la cultura e l’architettura di un determinato luogo, salvaguardandone l’identità originale. Perciò l’ecologia richiede anche la cura delle ricchezze culturali dell’umanità nel loro significato più ampio».

L’articolo 9, che è un potente pilastro della Costituzione italiana, mette in campo il principio della tutela del paesaggio e del patrimonio con il fattore dinamico e propositivo della ricerca. Come dire che una società in movimento, proiettata verso il futuro in un percorso di progresso e di conoscenza, non può smarrire la priorità di custodire il proprio passato, inteso come tesoro di valori e di bellezza da consegnare alle nuove generazioni. Un articolo, questo, giustamente ricordato e celebrato nel mondo per la sua lungimiranza e originalità, un articolo che naturalmente si accorda con l’azione della Repubblica, in una nazione capace di preoccuparsi dei deboli e degli esclusi, decisa a “rimuovere gli ostacoli” al pieno sviluppo della persona (art. 3) e garantire i diritti inviolabili di ciascuno (art. 2). Sono valori che si incontrano mirabilmente, che si completano l’un l’altro in una magnifica complementarità, che vanno letti, studiati e vissuti come un’unica essenza.

Le linee guida sull’educazione civica, forse nell’intento di dimostrare lo sforzo di attualizzare un settore pedagogico spesso demonizzato per la sua inefficacia, ci parlano principalmente di cittadinanza digitale e di sostenibilità ambientale: due aspetti certamente importanti nel complesso scenario del terzo millennio, ma semplicemente “aspetti”, declinazioni, possibili applicazioni di un essere cittadini che dovrebbe tradursi in sostanza, costruzione della persona, vero cemento del sentire comune. Quale possibile significato, ci si domanda, può assumere il nobile concetto della sostenibilità in un Paese che trova nel patrimonio culturale e nel paesaggio uno dei valori fondamentali del suo codice identitario, senza un’adeguata formazione storico-artistica e culturale? Il delicatissimo rapporto tra tutela e valorizzazione, che da anni appassiona gli esperti del settore dei beni culturali, trova il suo equilibrio proprio nell’idea di un progresso sostenibile (che significa sviluppo responsabile dei luoghi di interesse culturale, investimento corretto delle risorse, ma anche diffusione di conoscenza, di competenze relazionali, di fruizione consapevole dei beni culturali).

Nel 1794, a proposito del dibattito che si andava consumando sull’impostazione dell’appena istituito museo del Louvre, Jacques-Louis David si esprimeva con queste parole: «Il museo non è un vano insieme di oggetti di lusso o di frivolezze, che non devono servire ad altro che a soddisfare la curiosità. È necessario che esso divenga una scuola autorevole. Gli insegnanti vi condurranno i loro giovani allievi, il padre vi condurrà il figlio».

Il grande pittore intendeva illustrare così il vero spirito di quello che auspicava essere un museo posto al servizio dei cittadini, un luogo simbolicamente ma anche sostanzialmente legato all’idea di nazione, di repubblica, di cittadinanza. E in quella immagine potente del padre con il figlio, del maestro con l’allievo, si coglie in pieno l’insostituibile valore educativo del contatto e della conoscenza del patrimonio (che va vissuto, non dimentichiamolo, e non soltanto studiato).

Il cittadino del terzo millennio ha tante sfide davanti a sé e certo tante competenze da sviluppare: muoversi responsabilmente in Rete, comunicare e fruire delle risorse digitali, assumere l’impegno di una continua attenzione all’ambiente e agli animali che lo abitano, comprendere ed esercitare la solidarietà verso i più deboli, riconoscere l’importanza dell’ascolto . Molti di questi percorsi sono impliciti alla comprensione del patrimonio (si pensi solo a come il rapporto con l’opera d’arte sia di fatto un allenamento all’ascolto e alla diversità), ma in aggiunta l’educazione ai beni culturali attiva nei giovani senso concreto di partecipazione verso un bene collettivo che oltretutto è carico di un significato storico ed espressivo non negoziabile. Guardando le mura delle nostre città, gli antichi selciati, le pale delle nostre chiese, i ruderi adagiati tra le colline, ma anche le opere del nostro presente che cercano di dare voce al nostro bisogno di riscatto, di cambiamento, persino di ribellione, possiamo percepire plasticamente il senso delle nostre radici e la trama dei nostri valori.

Sarebbe davvero importante non perdere la preziosa opportunità di un più ampio dibattito sull’educazione civica che non solo vogliamo ma che possa rappresentarci come Nazione e come cittadini universali. Un dibattito aperto e franco che possa portarci a considerare davvero il senso della cittadinanza nel XXI secolo, alla luce delle preziose riflessioni filosofiche degli ultimi decenni, alle esperienze felici e a quelle tragiche che hanno interessato la storia recente dell’umanità. Senza dimenticare la dimensione storica ed estetica, artistica e naturale che può renderci migliori, entusiasti ed efficaci verso il mondo che abitiamo e quello che verrà.

di Irene Baldriga