Riflessioni sulla ripresa del campionato italiano

Un calcio soltanto mediatico

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24 luglio 2020

Dopo il lockdown iniziato l’8 marzo 2020 la ripresa del calcio italiano è stata segnata da una forte diseguaglianza fra il livello dilettantistico e quello professionistico; il primo (che comprende anche tutto il calcio femminile) è stato chiuso e se ne riparlerà nella stagione 2020/2021, mentre il secondo è potuto ripartire il 13 giugno 2020. Il settore giovanile è ripartito senza le competizioni, perché rientra nell’attività sportiva più generale, ove l’aspetto sanitario è perseguito in via principale, senza l’assillo della competizione e i costi di gestione tipici degli altri due settori.

Il calcio professionistico ha potuto beneficiare del traino dei contratti televisivi, che hanno fatto premio sulle resistenze “sanitarie” e obbligato alla ripartenza, mentre ove tale traino è assente, ma i costi comunque elevati e la competizione importante (dilettanti), il blocco è stato insuperabile.

In Germania, Spagna ed Inghilterra il lockdown iniziato il 13 marzo 2020 è cessato, con la ripartenza della massima serie, rispettivamente, il 16 maggio, l’11 giugno ed il 19 giugno 2020. Ha fatto eccezione la Francia ma, in ogni caso, si è ripartiti senza il pubblico sugli spalti. Paradossalmente, la Francia non ha fatto ripartire i campionati ma, il 12 luglio 2020, ha consentito la presenza del pubblico (4.000 persone) ad un’amichevole tra Paris Saint Germain e Le Havre e lo stesso dovrebbe accadere il 24 luglio 2020 per la finale di Coppa di Lega. Il 16 luglio 2020 il ministro italiano per lo Sport (Vincenzo Spadafora) ha dichiarato che si impegna per la presenza del pubblico sugli spalti a settembre.

Abbiamo, quindi, un calcio solo mediatico che ne snatura l’evento, perché cancella la socialità e il vissuto cittadino prodotti dalla partecipazione reale degli spettatori/tifosi che lasciano le incombenze quotidiane di lavoro o studio, si avvicinano allo stadio, partecipano dentro l’arena e poi si allontanano facendo ritorno a casa, oppure proseguendo con la movida.

Con le porte chiuse il calcio è ghettizzato negli stadi e allontanato dai fruitori naturali, i tifosi/spettatori, senza quella contaminazione dovuta alla passione per il dio pallone.

L’informazione che non è possibile acquisire direttamente sul campo è ricavata dai giornalisti, ovvero da chiunque la veicola attraverso i media, con una partecipazione interattiva quanto possono esserlo i vari social network.

Senza il pubblico sugli spalti la partita diventa l’oggetto di un evento cinematografico, con tanto di effetti speciali; si sono visti nelle partite di Coppa Italia e della Serie A con il pubblico digitalizzato sulla tribuna centrale in favore di telecamera. Quando erano usate le altre telecamere l’effetto svaniva, cosicché gli stessi spalti, inquadrati dalla telecamera di bordo campo, per esempio in occasione dei cambi, risultavano vuoti e senza effetti digitali.

Viene da riflettere infine che questo calcio “snaturato” ha tradito se stesso, è proprio quella forte diseguaglianza segnalata all’inizio che rivela il “tradimento” in nome dell’individualismo e del particolarismo degli interessi che contraddicono la natura di gioco di squadra proprio del football, come sottolineava lo stesso Papa Francesco salutando i dirigenti e calciatori della squadra Villareal, il 23 febbraio 2017: «Il calcio, come gli altri sport, è  immagine di vita e di società. Voi in campo avete bisogno gli uni degli altri. Ogni giocatore mette la sua professionalità e la sua abilità a beneficio di un ideale comune, che è giocare bene per vincere. Per ottenere questo affiatamento occorre allenarsi molto; ma è anche importante investire tempo e fatica nel rafforzare lo spirito di squadra, per riuscire a creare questa correlazione di movimenti: un semplice sguardo, un piccolo gesto, un’espressione comunicano tante cose in campo. Ciò è possibile se si agisce con spirito di cameratismo, mettendo da parte l’individualismo e le aspirazioni personali. Se si gioca pensando al bene del gruppo, allora è più facile ottenere la vittoria».

Al di là di chi vincerà il campionato, si può dire amaramente che è il calcio in se stesso ad aver perso.

di Francesco Colucci