Rileggendo John Henry Newman

Un Agostino nato a Londra

John Henry Newman
10 luglio 2020

Per un cristiano, l’esistenza si intreccia inestricabilmente con la fede. Il Vangelo è una proposta di vita che chiama in causa l’interezza della persona. Ciò vale in maniera del tutto particolare per chi ha vissuto l’esperienza della conversione. A questo proposito, davvero emblematico è il caso di Agostino, il quale, non casualmente, ci ha lasciato un capolavoro come Le Confessioni, esempio straordinario di un’opera che testimonia che cosa significhi per un uomo incontrare Gesù Cristo e decidere di seguirlo giorno dopo giorno.

Dunque, le biografie dei santi occupano un ruolo nevralgico nella ricostruzione della loro personalità, del loro cammino spirituale e del messaggio che hanno affidato all’umanità. È il caso dell’affascinante e ampio volume John Henry Newman. La vita (1801-1890) (Milano, Jaca Book, pagine 448, euro 25) scritto da José Morales Marin, per molti anni professore di Teologia Dogmatica presso la facoltà di Teologia dell’università di Navarra. Un testo che rende possibile un fruttuoso incontro con una delle figure centrali del cristianesimo e della cultura dell’Europa ottocentesca.

La vita di Newman fu lunga e densa di accadimenti e Marin la ripercorre analiticamente con grande precisione: in questa sede non è possibile seguire tutto lo svolgimento di tale narrazione e preferiamo soffermarci su alcuni momenti decisivi della vicenda di un uomo poliedrico ed eccezionale, beatificato da Benedetto XVI nel 2010 e canonizzato da Francesco il 13 ottobre 2019. Coerentemente con quanto scritto poco sopra, crediamo di non far torto al santo inglese e al suo eccellente biografo se ci soffermiamo inizialmente a considerare la conversione di cui egli fu protagonista.

Non si trattò del passaggio dall’ateismo o da un’altra religione al cristianesimo, ma dall’anglicanesimo al cattolicesimo, e non fu neppure un evento improvviso. Newman aveva avuto modo di riflettere a lungo sulla situazione della Chiesa d’Inghilterra e si era vivamente impegnato al suo interno per renderla più coerente con il messaggio evangelico, ma alla fine si era convinto che la pienezza della Verità fosse incarnata soltanto dalla Chiesa di Roma. Il 9 ottobre 1845 il padre passionista Domenico Barberi, che verrà a sua volta beatificato nel 1963, accolse John Henry nella Chiesa cattolica. A proposito di questo evento decisivo, qualche anno più tardi Newman scriverà le seguenti note autobiografiche: «Se si domandasse all’autore perché è diventato cattolico, potrebbe dare quella risposta che l’esperienza e la mente gli presentano come l’unica vera, e cioè che entrò nella Chiesa cattolica perché credeva che questa e solo questa fosse la Chiesa dei Padri; perché credeva che esistesse solo una Chiesa sulla terra, fino alla fine dei tempi; e perché, a meno che questa Chiesa fosse la Chiesa di Roma, non ne esistevano altre».

Molto interessante è il richiamo newmaniano ai Padri: egli tenne sempre in particolare considerazione i grandi protagonisti dell’epoca patristica e a più riprese Marin fa comprendere assai bene quanto sia stato importante l’incontro che egli ebbe con le loro opere.

Inoltre, la vicenda della conversione fa emergere una componente assai importante della personalità di Newman che l’autore del libro mette adeguatamente in luce. Come è facile comprendere, la scelta di aderire al cattolicesimo attirò su di lui aspre critiche, soprattutto da parte degli anglicani; ma anche alcuni ambienti cattolici mossero varie accuse nei suoi confronti, sino ad avanzare l’ipotesi che egli si fosse pentito di aver operato quella scelta. In quei frangenti, Newman non si lasciò mai prendere dallo sconforto né dalla rabbia, mostrando una straordinaria serenità interiore che lo portò sempre a ragionare con pacatezza.

In questo contesto si situa il suo famoso scritto Apologia pro vita sua, una testimonianza appassionata e sincera che gli fece riconquistare stima e fiducia assai ampie. La sua volontà di entrare a far parte della Congregazione di san Filippo Neri e la fondazione di un oratorio a Birmingham mostrano con chiarezza quali fossero le inclinazioni spirituali di Newman: il cattolicesimo oratoriano, intriso di bontà, dolcezza e serenità, interpretava fedelmente lo spirito del grande santo.

Abbiamo accennato di sfuggita al fatto che Newman percorse sempre la strada del convincimento razionale: egli ebbe sempre grande fiducia nella ragione e mai ritenne che essa potesse entrare in conflitto con la fede. Similmente, fu convinto che l’adesione alla verità evangelica non comportasse l’oscuramento della libertà, che ha nella coscienza il suo santuario più autentico. Celebre è rimasta a questo proposito la sua presa di posizione all’indomani della proclamazione del dogma dell’infallibilità del Papa. A tale riguardo, ecco alcune sue considerazioni molto profonde, ma non prive di una straordinaria levità: «Se fossi costretto, durante i brindisi dopo aver mangiato, a pronunciare un “evviva” alla religione (il che certamente non sembra essere la cosa più giusta che si possa fare), leverei allora un brindisi — certo — al Papa. Tuttavia prima alla coscienza e soltanto dopo al Papa». E che queste parole non siano dispiaciute allo stesso Pontefice è testimoniato dal fatto che nel 1879 Leone XIII elevò John Henry Newman alla dignità cardinalizia. Al momento di scegliere il motto da apporre sul suo stemma di porporato egli ne individuò uno tanto breve quanto significativo: cor ad cor loquitur (“il cuore parla al cuore”); così egli rendeva evidente la sua predilezione per una fede che è intimo dialogo tra Dio e uomo e tra uomo e uomo: non per caso troviamo tale espressione in uno scritto di san Francesco di Sales, il santo dell’amicizia e della dolcezza.

Anche Newman si dimostrò sempre disponibile al dialogo e alla comprensione, senza per questo venir meno al suo impegno di apologista, impegno che considerò primario in particolare dopo la conversione. Egli, come testimonia la frase che volle scolpita sulla sua tomba, era passato ex umbris et imaginibus in veritatem (“dall’ombra e dai simboli alla verità”) e si sentiva dolcemente obbligato a far comprendere anche agli altri quanto fosse bello tale passaggio, quanto fosse luminosa la verità.

Il libro di José Morales Marin ci consegna un ritratto vivo di questo grande santo e permette al lettore di apprezzare la sua eccezionale levatura di cristiano, di studioso e di testimone, di maestro in grado ancora oggi di parlare al cuore di molti.

di Maurizio Schoepflin