Riedita l’opera antologica «La tragedia del vivere umano» di Miguel de Unamuno

Quel monologo dell’umanità dolorante

Tra i temi ricorrenti dello scrittore di Bilbao la tensione dell’uomo all’immortalità
23 luglio 2020

Le modalità editoriali cambiano. I ruoli autoriali, di curatela e di offerta sul mercato si modificano, così che operazioni ritenute più che legittime qualche decennio fa divengono improponibili, se non nella forma della riedizione.

È quello che capita a La tragedia del vivere umano di Miguel de Unamuno, forse massimo autore di lingua spagnola della prima metà del Novecento, pubblicato in italiano dal Corbaccio nel 1925 e oggi meritevolmente riedito con apparato di accompagnamento immutato dall’editrice Oaks (Sesto San Giovanni, 2020, pagine 180, euro 18).

La lingua risente gradevolmente dello scorrere degli anni e conserva termini come andare in busca, per ricercare, ruzzare, per scorrazzare in allegria, o avanti per prima.

Nella breve nota di Piero Pillepich, traduttore dallo spagnolo, troviamo conferma del fatto che «Non esiste un’opera di Unamuno che porti il titolo qui in testa al volume». Infatti si tratta di un’opera antologica, di un florilegio, come si diceva, curato dallo stesso Pillepich che è andato scegliendo all’interno della grande produzione dello scrittore di Bilbao brani che secondo lui unissero la capacità di suscitare interesse nel pubblico italiano a quella di dar conto del pensiero di Unamuno.

Il titolo scelto intendeva creare un rapporto di continuità con il capolavoro riconosciuto dello scrittore, Del sentimento tragico della vita, edito in Spagna nel 1913 e tradotto in italiano nel 1924.

Anche l’altro caposaldo della produzione di Unamuno, Vita di Don Chisciotte e Sancho, pubblicato in Spagna nel 1903, aveva dovuto attendere dieci anni per arrivare in Italia, dove ha conosciuto un’esperienza editoriale molto confusa, diversificata nel titolo e nel formato, di solito antologizzato anch’esso.

Fatte queste considerazioni bisogna dire che la riproposizione di La tragedia del vivere umano è un’operazione culturale ed editoriale di notevole interesse. In un volume molto agile — 180 pagine di testo più una trentina di apparati — sono presenti quasi tutti gli elementi caratteristici della produzione di Unamuno nella ricchezza di registri che lo caratterizza, compresi alcuni dialoghi, che forniscono un assaggio anche della consistente scrittura teatrale dell’autore, in Italia quasi sconosciuta.

I temi maggiori rimangono quelli tipici di Unamuno, personalità complessa e dalla vita travagliata, che trascorse sei anni in esilio per la posizione critica assunta nei confronti della monarchia; repubblicano non aderì al Fronte popolare, che anzi lo privò del rettorato onorario dell’Università di Salamanca, posizione nella quale fu reintegrato, poco prima della morte, per la sua adesione al franchismo, della quale peraltro si pentì quasi subito.

Il discorso inaugurale da lui tenuto in occasione dell’inizio dell’anno accademico 1936-1937 fu molto poco gradito ai falangisti che gli imposero un regime di semireclusione. Oltre alle ricorrenti citazioni dal Don Chisciotte di Cervantes, ne La tragedia del vivere umano troviamo una costante attenzione alla tematica della morte letta nello specchio della tensione dell’uomo all’immortalità, conquista alla quale secondo Unamuno è necessario aspirare senza immaginare di ottenere in vita una qualche certezza in relazione a essa. Su di questa riflessione è incentrata la prefazione di Adriano Tilgher, giustamente mantenuta dall’edizione del 1925.

Fra i passaggi migliori dei testi raccolti in La tragedia del vivere umano vanno certamente segnalati quello sul dubbio, di una eccezionale modernità, nella frase «il credente che non vuole, che rifiuta di esaminare i fondamenti della sua fede è un uomo che vive nell’insincerità e nella menzogna», troviamo un elemento fondante dell’umanesimo cristiano contemporaneo, molto presente nel pensiero e nella pastorale sia di Papa Ratzinger che di Papa Francesco. Delicatissima anche la riflessione sulla preghiera, su quanto essa venga stimolata dalla solitudine, sulla risposta che «l’eterno monologo dell’umanità dolorante» riceve dal seno di Dio, «la voce di Dio nel nostro cuore». Una lettura stimolante, capace di spingere alla lettura, e forse persino alla rilettura, delle opere maggiori di un autore poco frequentato nonostante la qualità della sua produzione.

di Sergio Valzania