In un libro la figura di Francesco come leader morale globale

Per uscire dal tunnel dell’odio e della paura

Un momento dell’incontro con i popoli dell’Amazzonia durante il viaggio apostolico in Perú (Puerto Maldonado, 19 gennaio 2018)
04 luglio 2020

«Ho cercato di raccontare Francesco con le idee e le emozioni di chi, come me, vede in lui non solo il vescovo di Roma ma anche il leader morale globale». Parte di qui il racconto del giornalista vaticanista Riccardo Cristiano su come sia nata l’idea di scrivere Bergoglio o barbarie (Roma, Castelvecchi editore, pagine 224, euro 16,50). «Dato che — spiega in questa intervista a “L’Osservatore Romano” — sono convinto che l’altro o lo si accetta o lo si rifiuta, ho capito sempre di più questo pontificato come un baluardo del pluralismo davanti a tentativi robusti e inquietanti di negare l’altro, addirittura di criminalizzarlo. E il primo dell’anno, quando Francesco ha voluto fare gli auguri anche ai non credenti, definendoli “nostri fratelli”, io, che sono solo un agnostico, mi sono commosso. Ma in quel momento ho avvertito con più forza di dover trarre anche alcune conseguenze. Francesco sa testimoniare che il Papa può operare non soltanto per il bene della Chiesa, ma di tutta l’umanità. E noi? Mi piacerebbe non fosse così, ma oggi sembra che ci sia solo la sua testimonianza per aiutarci ad uscire da questo tunnel di odii e di paure. Ecco cosa significa per me “Bergoglio o barbarie”. Così cerco dei “riverberi”: possiamo riconoscere i nostri integralismi, o esistono solo quello degli altri?».

Per esempio?

Pasolini sostenne che l’impegno per i diritti civili fu il contrasto a un blocco di potere. Poi il potere cambiò, divenne consumista. Doveva cambiare anche la contestazione. Credo che avesse ragione. E la Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789 è scritta «sotto gli auspici dell’Essere Supremo», non vi si parla di io sovrano.

Qual è “il movimento Bergoglio” del quale parla nel libro?

Francesco ha definito il lavoro con i profughi un luogo teologico. Questa è l’empatia, e a quelle persone non serve conoscere con accuratezza il magistero romano per esprimere altrettanta empatia.

Il primo capitolo è dedicato alla pandemia. Perché?

Per me il 27 marzo c’è stata la prima video-enciclica indirizzata a tutto il genere umano: entrando in piazza San Pietro non dalla basilica, ma dal fondo, Francesco è andato ad accoglierci tutti per renderci consapevoli di essere insieme sulla stessa barca. Quell’incamminarsi sotto la pioggia senza neanche la protezione di un ombrello indicava che nessuno era escluso. Così la Laudato si’, il Documento sulla fratellanza umana e il Sinodo sull’Amazzonia quella sera sono divenuti una sola ciambella di salvataggio sulla quale fondare il pluralismo del terzo Millennio. Perché difendere l’ecosistema è salvare le diverse culture che lo vivono, quella dei figli del fiume, il Rio delle Amazzoni, o quella dei figli del deserto, come il Sahara, o dei lavoratori del mare che insegnano a soccorrere, mai ad abbandonare. Il 27 marzo il Papa ha parlato del mio destino: posso salvarmi con l’altro, non contro di lui. È pericoloso rimuovere gli errori che ci hanno condotto sin qui facendo dell’altro il capro espiatorio. La globalizzazione deculturata e i nazionalismi che pensano di nazionalizzare anche Dio sono due facce della stessa malattia, l’abbandono del pluralismo.

Buona parte di questo libro è dedicato ai cristiani d’Oriente.

Sì, ma il termine cristiani d’Oriente non mi piace: preferisco parlare di copti, armeni, siri, caldei, maroniti, assiri. Sono denominazioni cancellate dalla narrativa imposta dalla questione orientale, cioè dal progetto di colonizzazione europea del mondo arabo, che ha fatto apparire gli arabi cristiani come quinte colonne dei colonizzatori. Eppure ancora nell’Ottocento loro erano stati protagonisti indiscussi del Rinascimento arabo. Come faranno a tornare protagonisti? Vedo una sola possibilità; la comune cittadinanza. Ma non si parte davvero senza rinunciare alla sfiducia: i cristiani non sono quinte colonne e l’islam non nasce persecutore, lo dimostra la Costituzione di Medina. Può l’islam riscoprire la sua natura, come dice il professor Mohammad Sammak, «di religione che crede in tutte le religioni»? Abu Dhabi ha detto un sì epocale, atteso da secoli. Perché entrambi i firmatari hanno negato che esista una falsa credenza e quindi una falsa umanità. Le difficoltà non mancano, ma cosa si costruirebbe con la sfiducia? Le gabbie per altre protezioni. Abu Dhabi invece riscopre la teologia del buon vicinato, che non riguarda solo cristianesimo e islam. Sì, Abu Dhabi è una pietra miliare, il resto dipende da noi. Quando a Beirut due missionari con un dotto dell’islam tradussero la Bibbia in arabo realizzarono l’unico fatto storico paragonabile al Documento sulla fratellanza umana.

di Maurizio Fontana