Il nuovo Direttorio invita a favorire il protagonismo delle persone con disabilità nella vita pastorale e sacramentale

Per una catechesi pienamente inclusiva

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03 luglio 2020

Alla catechesi per le persone con disabilità il Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione ha dedicato, nell’ottobre 2017, un importante convegno, i cui atti sono stati pubblicati l’anno successivo dalle Edizioni San Paolo, a cura di Francesco Spinelli ed Eugene R. Sylva. I testi che riportiamo sono tratti da due delle testimonianze presentate durante i lavori svoltisi alla Pontificia università Urbaniana: la prima è del parroco di Santa Maria di Loreto, nell’arcidiocesi di Pesaro, che attraverso l’oratorio ha realizzato un’esperienza catechistica per bambini, ragazzi e giovani con disabilità; la seconda è di un sacerdote della diocesi di Padova, missionario fidei donum per vent’anni in Kenya, dove a Nyahururu ha promosso e vissuto sin dagli inizi le esperienze del Saint Martin Catholic Social Apostolate — in particolare con la comunità di Effatha — e dell’Arche.

Non è cosa da poco che nel Direttorio per la catechesi, presentato qualche giorno fa dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, siano dedicati quattro paragrafi alla catechesi con le persone con disabilità (nn. 269-272). L’argomento di base è cristologico — «scaturisce dall’agire di Dio» — per questo la comunità cristiana non solo è chiamata a prendersi cura dei più deboli, «ma a riconoscere la presenza di Gesù che si manifesta in loro in modo speciale». Siamo di fronte a una visione antropologica pienamente centrata nel Vangelo, ben lungi dalla compassione verso coloro che una volta erano considerati difettosi per una misteriosa quanto incomprensibile volontà o distrazione divina. A fronte di una corrente e diffusa concezione narcisistica e utilitaristica della vita, «la vulnerabilità appartiene all’essenza dell’uomo e non impedisce di essere felici e di realizzare se stessi». Dio stesso si è reso vulnerabile nel suo Figlio incarnato, crocifisso e risorto per noi, solo per amore. Invece di essere felice restando in cielo — «non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio» (Filippesi 2, 6) — egli preferì venire in mezzo a noi, fragile accanto agli ultimi, in carcere con i prigionieri, crocifisso in mezzo ai ladroni. Da questo momento in poi, la fragilità delle persone disabili non si può più pensare come effetto del peccato o difetto della natura, ma «un’opportunità di crescita per la comunità ecclesiale», perché consacrata dalla presenza speciale di Gesù Signore.

È particolarmente significativo che il Direttorio chieda ai cristiani di divenire consapevoli della educabilità alla fede e della soggettualità attiva delle persone con bisogni speciali — special needs — per le quali non si tratta di attivare percorsi paralleli su corsie preferenziali, quanto di «presenza ordinaria delle persone con disabilità all’interno dei percorsi di catechesi» veramente inclusivi. Viene poi messo in rilievo che: «Le persone con disabilità intellettive vivono la relazione con Dio nell’immediatezza della loro intuizione ed è necessario e dignitoso accompagnarle nella vita di fede». Questa affermazione recepisce lo sviluppo di una più adeguata comprensione dell’esperienza di fede. Anche sotto il profilo teologico, la disabilità psichica — e talvolta fisica, ad esempio uditiva e visiva — pone problema a un certo concetto di fede, che sembra afferire primariamente, se non esclusivamente, alle forme di relazione basate sull’intelletto, poiché tradizionalmente si è intesa la razionalità come l’immagine di Dio impressa nell’uomo. Invece, esiste la dimensione affettiva del cuore, costitutivamente propria della persona, mediante la quale è possibile per tutti sentirsi amati, e quindi entrare in relazione anche con Dio. Se la percezione di Dio non fosse una questione di cuore e di affetto — senza ridursi al solo sentimento, naturalmente — quante persone ne rimarrebbero escluse? Forse proprio le più sensibili e vulnerabili, quelle cioè che percepiscono, sentono, avvertono interiormente prima di capire razionalmente. In questa prospettiva, il Direttorio suggerisce di adottare «dinamiche e linguaggi esperienziali che implichino i cinque sensi e percorsi narrativi capaci di coinvolgere tutti i soggetti in maniera personale e significativa», e di preparare catechisti formati in modo specifico, capaci soprattutto di vicinanza alle famiglie di queste persone speciali.

L’ultimo numero della sezione fa due passi coraggiosi, già anticipati in occasione di un convegno svoltosi a Roma dal 20 al 22 ottobre 2017, i cui atti sono pubblicati dal medesimo Pontificio Consiglio col titolo: Catechesi e persone con disabilità. Un’attenzione necessaria nella vita quotidiana della Chiesa. È il tema della «pienezza della vita sacramentale, anche in presenza di disturbi gravi» per i disabili, con la chiara conclusione: «nessuno quindi può rifiutare i sacramenti alle persone con disabilità». Di conseguenza, si raccomanda la loro inclusione pastorale nella liturgia domenicale, con la preghiera e l’annuncio della parola. Vi è poi un altro passo, relativo al protagonismo nell’evangelizzazione delle persone con bisogni speciali, che chiede un vero salto di qualità alle nostre comunità: «È auspicabile che loro stesse possano essere catechisti e, con la loro testimonianza, trasmettano la fede in modo più efficace». Molto in questo senso è già stato fatto dall’Ufficio per la pastorale della disabilità della Conferenza episcopale italiana, ma molto ancora resta da fare nelle nostre parrocchie.

Per entrare in questa prospettiva pastorale occorre imparare a riconoscere e a valorizzare quel punto di vista altro — in più, non in meno, proprio perché speciale — che Papa Francesco metteva in evidenza dopo il Sinodo sui giovani: «Il desiderio di vivere e di fare esperienze nuove riguarda specialmente molti giovani in condizione di disabilità fisica, psichica e sensoriale. Essi, anche se non possono fare sempre le stesse esperienze dei coetanei, hanno risorse sorprendenti, inimmaginabili, che talvolta superano quelle comuni. Il Signore Gesù li ricolma di altri doni, che la comunità è chiamata a valorizzare, perché possano scoprire il suo progetto d’amore per ciascuno di loro» (Christus vivit 149).

di Maurizio Gronchi