Gli orrori della guerra nel messaggio dei vescovi giapponesi a 75 anni dalla battaglia di Okinawa

Nulla di più vergognoso

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06 luglio 2020

A Okinawa, fra i tanti monumenti che ricordano la terribile battaglia combattuta dal 1° aprile al 22 giugno 1945, ce n’è uno che ha un significato speciale per la gente dell’isola: il Konpaku no To (“Torre delle anime”) era in origine un tumulo formato dalla raccolta dei resti di molte delle vittime, ma si è poi trasformato in un memoriale e luogo di preghiera, simbolo del desiderio di porre fine alla guerra, a tutte le guerre, e di rinnovato impegno per la pace. È da qui che parte il messaggio Protect all life. Peace is the path of hope, diffuso nei giorni scorsi dalla Conferenza episcopale giapponese per ricordare il settantacinquesimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale che, per tutto il mondo ma in particolare per l’impero nipponico, è datata 2 settembre 1945. All’uscita del museo del Memoriale della pace di Okinawa c’è scritto «Musubi no Kotoba» (“L’ultima parola”) e, subito sotto: «Sono certamente gli esseri umani che causano la guerra ma non siamo noi anche quelli che possono fermarla? Questa è la nostra convinzione irremovibile, imparata a un prezzo enorme». Il grido del popolo di Okinawa contro la guerra, le basi militari, l’accumulo di armi, affermano i vescovi, proviene dalla devastante esperienza di quella battaglia — una cifra esatta, complessiva dei morti tra soldati (alleati e giapponesi) e civili non si potrà mai avere ma si superarono abbondantemente le 150.000 vittime — e sta alla base della loro affermazione che «la guerra è così brutale che non può esserci nulla di più vergognoso».

Settantacinque anni dopo la battaglia di Okinawa, i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, la fine della seconda guerra mondiale e la fondazione delle Nazioni Unite, «il mondo si trova in una situazione incerta in cui affrontiamo una nuova guerra fredda, una situazione instabile in Asia orientale, la minaccia nucleare e la crisi ambientale globale», osservano i presuli, costretti quest’anno a rinunciare al tradizionale pellegrinaggio sull’isola a causa della pandemia di coronavirus. «Rinnoviamo la nostra determinazione a cercare e ad agire per la pace», si afferma, ricordando il grande significato che per tutti i giapponesi ha avuto il viaggio apostolico compiuto da Papa Francesco a Tokyo, Nagasaki e Hiroshima dal 23 al 26 novembre 2019. «Nel mondo di oggi dove milioni di bambini e famiglie vivono in condizioni disumane — disse fra l’altro il Pontefice — i soldi spesi e le fortune guadagnate per fabbricare, ammodernare, mantenere e vendere le armi, sempre più distruttive, sono un attentato continuo che grida al cielo».

L’episcopato nipponico, che nel messaggio cita anche l’enciclica Laudato si’ per sottolineare come nulla sia più prezioso della vita umana e del dono del creato, ribadisce l’importanza del discorso sulle armi nucleari pronunciato dal Santo Padre quel giorno a Nagasaki, il suo appello ai leader politici affinché l’ideale di un «mondo in pace, libero da armi nucleari, aspirazione di milioni di uomini e donne in ogni luogo», si trasformi in realtà «con la partecipazione di tutti»: persone, comunità religiose, società civili, stati, settori militari e privati, organizzazioni internazionali. «La nostra risposta alla minaccia delle armi nucleari dev’essere collettiva e concertata», spiegò Francesco.

Se dopo il celebre discorso di Giovanni Paolo II a Hiroshima il 25 febbraio 1981 («La guerra è opera dell’uomo. La guerra è distruzione della vita umana. La guerra è morte. Ricordare il passato è impegnarsi per il futuro. Promettiamo ai nostri simili che ci adopereremo infaticabilmente per il disarmo e l’abolizione di tutte le armi nucleari») i vescovi giapponesi istituirono l’annuale Dieci giorni per la pace, dal 6 al 15 agosto, i passi compiuti negli ultimi anni da Papa Francesco e dalla Santa Sede — si ricorda a esempio la firma, il 20 settembre 2017, presso il Palazzo delle Nazioni Unite a New York, del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari — rappresentano per l’episcopato nipponico la strada oggi da seguire. Una strada che, per il Giappone, si incrocia inevitabilmente con quanto accade nella penisola coreana, dove quest’anno ricorre il settantesimo anniversario dell’inizio della guerra. I vescovi nel messaggio lo evidenziano: le perduranti tensioni nell’area restano «una fonte di problemi e l’Asia orientale, incluso il Giappone, è stata trascinata nella guerra fredda e nei suoi conflitti tra gli interessi delle grandi potenze. I progressi della pace rimangono quindi incerti. Il modo in cui contribuiamo alla costruzione della pace in Asia orientale rivelerà se noi, Chiesa in Giappone, possiamo seguire le parole di Papa Francesco. Per fare ciò — concludono — rinnoviamo la nostra determinazione ad affrontare il passato e continuiamo ad assumerci la responsabilità per il futuro».

di Giovanni Zavatta