Le molteplici forme della maternità

Non solo procreazione

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03 luglio 2020

Un piccolo testo di Carla Canullo e Giovanni C. Pagazzi (Madri, Bologna, Edb, 2020, pagine 88, euro 8,50) offre lo spunto per qualche riflessione che non intende, però, proporsi come una recensione, bensì come un approfondimento di alcuni punti che hanno richiamato particolarmente l’attenzione.

La prima suggestione viene proprio dal titolo che non si riferisce in generale alla maternità ma con estrema concretezza, alle madri, cioè alle donne che, in carne e ossa, vivono quest’esperienza che non si realizza solo nella procreazione biologica.

La questione che si pone, quindi, non è tanto cosa sia la maternità, ma cosa significhi viverla, nelle molteplici forme in cui essa può darsi. Il passo immediatamente successivo, apparentemente ovvio, ma, in effetti, denso di implicazioni, è quello di rilevare che, se ci sono madri, ci sono figli e questo comporta che una madre non possa mai essere considerata come una monade isolata, ma sempre in un contesto relazionale.

Il figlio a cui la madre deve essere riferita può essere inteso in tre differenti accezioni. In primo luogo, ogni madre può essere tale solo in quanto, a sua volta, è figlia, cioè generata da chi si è resa disponibile ad accogliere la sua vita, dandole l’origine e la possibilità di esistere: essere figlia è lo spazio primordiale che consente poi che si sia madre.

In seconda istanza, il figlio è quello concretamente generato, al quale la donna fa posto nel proprio corpo, passando da una iniziale fusione e indistinzione ad una sempre crescente differenziazione che raggiunge il suo vertice con la nascita che però nel tempo sarà seguita da sempre nuovi distacchi che realizzano quel “lasciare andare” in cui consiste la genitorialità matura.

Vi è, infine, il figlio desiderato e immaginato, ma mai nato, ovvero il figlio negato a coloro che non possono procreare e qui al centro vi è il dolore per un desiderio che non trova compimento sul piano biologico, lasciando però il campo aperto per un’altra umanissima opzione, cioè l’adozione.

Ci si può chiedere, a questo punto, chi sia realmente la madre e possono essere fornite molteplici risposte che emergono anche nel libro considerato e tra le quali ora se ne privilegiano due.

Da una parte, infatti, la madre è colei che è affidabile e garantisce, prima fisicamente, poi psicologicamente e spiritualmente, la vita del figlio, fornendogli un insostituibile modello di rapporto creativamente costruttivo che, nella vita, sarà in seguito costantemente ricercato.

D’altra parte, la madre è la detentrice di un enorme potere (e questo spiega perché, nel passato, la figura della donna sia stata temuta, cercando in tutti i modi di assoggettarla) che è la scaturigine di qualsiasi potere il figlio possa imparare a sua volta ad esercitare: nel bene o nel male.

Ponendo l’accento esclusivamente sulle madri, si rischierebbe, però, di ignorare un dato fondamentale dell’esperienza di una donna con il figlio, ovvero quello che il loro rapporto nasce e si sviluppa all’interno di un’altra relazione che lo precede, cioè quella della coppia.

L’essere madre della donna rinvia, quindi, immediatamente all’essere padre dell’uomo, con la consapevolezza, però, che la loro comune genitorialità è fondata su di un altro amore che essa non deve esaurire o riassorbire.

Quello che qui si è scritto sulle madri e anche tutto quello che è espresso nel libro che fornisce lo spunto è, tuttavia, solo una piccola parte di quello che si potrebbe dire sulle madri, ma sorge ora un’altra esigenza, ovvero quella di dedicare, in altra sede, un’analoga attenzione ai padri che, come si sa, vivono oggi la loro paternità sovente tra incertezze e mancanza di saldi punti di riferimento.

Questo auspicabile approfondimento potrebbe aiutare molto sia sul piano della conoscenza che su quello, urgente e di primaria rilevanza, di fornire un supporto a chi, nel nostro mondo, non intende rinunciare a essere madre o padre.

di Giorgia Salatiello