Lettere dal direttore

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09 luglio 2020

Pochi giorni fa ho letto sul profilo di Facebook l’affermazione di una brava collega giornalista che diceva di non sopportare i punti esclamativi, «li ho addirittura tolti dalla tastiera del mio computer». La frase finiva, comprensibilmente, senza il punto esclamativo. Mi ha fatto pensare questa affermazione. E i miei pensieri sono arrivati a due conclusioni, tra loro opposte, può capitare a volte. La prima conclusione è questa: ben detto cara collega! (ops) Basta con queste continue esclamazioni, non c’è niente da sottolineare con enfasi, un po’ di sobrietà non ci farebbe male. Ci vuole in effetti un approccio più pacato, più “laico” direi, meno retorico, sì è vero, l’esclamazione sa tanto di propaganda! (ops di nuovo). Guardate le pubblicità, non finiscono tutte con dei grandi punti esclamativi? Non vogliono forse convincerci, manipolarci, renderci tutti dei consumatori? E qui ho calato l’asso del punto interrogativo, il grande antagonista del suo collega esclamativo. Sì, mi sono detto, una vita fatta di domande è molto più vera, più onesta e anche sana, perché conduce al dubbio, «uno dei nomi dell’intelligenza» secondo Borges, e quindi al dialogo, in fondo al disarmo e alla pace. Mi sono molto “caricato” dietro a questa mia riflessione, sarei stato pronto a discutere, a litigare anche per difendere questa conclusione a cui ero giunto grazie al post della mia collega.

La seconda conclusione è arrivata dopo, è appunto la seconda, e suona del tutto opposta. Sì, ok, bella la domanda, ma se vivessi di sole domande che vita sarebbe? Se non ci fosse nessuna scoperta? In fondo l’esclamazione nasce per lo stupore, la meraviglia, la gioia di una scoperta.. ma si può vivere senza questa esplosione? Non dico sempre, ma almeno una volta ogni tanto. Abolire il punto esclamativo, addirittura toglierlo dalla nostra tastiera, dal nostro linguaggio, mi sembra un po’ troppo, direi quasi ideologico, e non è forse proprio così?

E poi il pensiero continuava a ricamarci sopra: bello il segno del punto interrogativo, così ricercato, arzigogolato, un po’ barocco con quel riccio che si avvolge a spirale in modo quasi infinito. Com’è semplice invece il punto esclamativo, semplice, sempliciotto, in fondo banale, arrogante nella sua ignoranza che evita ogni complessità che invece è il carattere vero dell’esistenza.

Va bene, però a me il segno del punto interrogativo fa venire in mente l’homo curvatus di cui parla sant’Agostino. L’uomo che guarda se stesso, il proprio ombelico, l’uomo che non è, appunto, semplice. Una parola oggi quasi pericolosa, che etimologicamente, indica proprio colui che è senza «implicazioni» o «complicazioni». L’uomo semplice è il contrario dell’uomo affetto da narcisismo, mentre la vera semplicità è segnata dall’essere se stessi unicamente restando tesi verso l’altro. Una cosa è essere tesi, un’altra è essere rigidi, il punto esclamativo è teso, in tensione, mentre l’interrogativo può perdere la sua spinta e irrigidirsi in un labirinto incrostato di non-senso, senza più alcuna direzione.

L’11 settembre 2006, Benedetto XVI durante l’omelia si chiedeva «Che cosa significa: credere?» e rispondeva affermando che la fede «nel suo nucleo è molto semplice. Il Signore, infatti, ne parla col Padre dicendo: “Hai voluto rivelarlo ai semplici” — a coloro che sono capaci di vedere col cuore (cfr. Mt 11, 25). […] E la fede è amore, perché l’amore di Dio vuole contagiarci».

Quindi si deve stare attenti a non confondere la semplicità con la semplificazione. Quest’ultima ha a che fare con l’uso errato del punto esclamativo, quello che mi ha portato alla mia prima conclusione. Oggi la semplificazione va molto di moda e a colpi di punti esclamativi si rischia di arrivare ad “armare” se stessi e gli altri per affrontare la vita come una guerra in cui si deve saper gridare più forte per affermarsi, per vincere. Ma tutto questo non può condurre all’abolizione dell’esclamazione che è invece il segno della sorpresa e quindi della gioia. Il distendersi dell’esclamativo in effetti è proprio quello sciogliersi, quel rilassarsi ed espandersi in modo luminoso e accogliente proprio dell’amore, come dice Benedetto, che spazza via ogni dubbio, ogni domanda. Dico bene?

A.M.