Il tempo di pandemia visto dall’arcivescovo di Algeri, Paul Desfarges

La vita umana ha avuto la precedenza sull’economia

L’arcivescovo di Algeri e presidente della Conferenza episcopale regionale del Nordafrica, Paul Desfarges
02 luglio 2020

Con la fine dell’isolamento l’Algeria si proietta nel postpandemia. Già all'inizio di giugno il Paese è entrato in una fase di deconfinamento progressivo che coincide con una maggiore libertà di movimento e con la ripresa delle prime attività economiche come agenzie di viaggi, parrucchieri, artigiani, pasticcerie, ristoratori e tassisti. Le moschee e le chiese, invece, sono ancora chiuse. A oggi il bilancio della pandemia da covid-19 registra oltre 14.000 contagi, circa 9.000 guariti e più di 900 decessi, ma ha segnato anche un cambio di mentalità. «Il corso frenetico della vita ha come preso una pausa, ha fatto una messa a punto, rimettendo al centro l’essenziale», dichiara a «L’Osservatore Romano» l’arcivescovo di Algeri, monsignor Paul Desfarges, presidente della Conferenza episcopale regionale del Nordafrica. «Per la prima volta da molto tempo la tutela della vita umana ha avuto la precedenza sull’economia».

Arcivescovo qual è la situazione in Algeria?

La situazione sanitaria sembra abbastanza sotto controllo. Le cifre quotidiane riguardo le persone infette da coronavirus, i decessi e i guariti sono incoraggianti. Dalle informazioni fornite, i pazienti con covid-19 sono curati con idrossiclorochina e con trattamenti di profilassi per evitare situazioni che avrebbero potuto essere difficilmente gestibili. Come altrove, il Paese era stato messo in lockdown e ora alcune attività economiche sembrano riprendere gradualmente. A eccezione della città di Blida, non c’è stato alcun isolamento totale. A seconda dei centri abitati il confinamento era più simile a un coprifuoco che andava dalle 17 o dalle 19 alle 7 di mattina. Adesso, viviamo con delle restrizioni di spostamento e di assembramento imposte da questa situazione. I trasporti pubblici sono fermi e molti negozi sono ancora chiusi, ma il rifornimento di cibo non è mai mancato. È sempre stato possibile uscire in auto e spostarsi a piedi per fare la spesa o per commissioni amministrative.

Chiese e luoghi sacri sono chiusi. In che modo la comunità cristiana vive queste restrizioni?

Rendo grazie alla creatività pastorale che ha permesso di vivere questo momento di chiusura dei luoghi di culto non come un momento di isolamento, ma come un tempo che consente di sperimentare una reale prossimità della Chiesa. Il desiderio di riunirsi per celebrare tutti insieme è grande. Manca davvero lo stare assieme e il nostro senso di appartenenza ecclesiale è cresciuto. Posso parlare di un approfondimento spirituale. Il sentire interiore di una comune appartenenza alla stessa umanità fragile e unita. L’essere umano nella sua sofferenza, nella sua generosità, nel dono di sé, alla fine si è rivelato a tutti come ciò che ci unisce e ci rende fratelli e sorelle. Una bella esperienza di prossimità, di compassione per tutti, di fraternità universale. I mezzi di comunicazione e i social network hanno rivelato poco alla volta tutta la loro utilità e fecondità. Sono state organizzate con successo delle giornate di formazione online, un ritiro di otto giorni prima di Pasqua e un altro di tre giorni per la Pentecoste, sempre via internet. Alcuni parroci hanno proposto delle meditazioni quotidiane e dei momenti di adorazione. Per raggiungere gli studenti alcuni cappellani hanno promosso degli incontri su Facebook, WhatsApp, Instagram e dei tempi di adorazione su Zoom. Durante il mese di maggio, ogni sabato, abbiamo potuto pregare insieme il Rosario via Zoom, anche oltre i confini della diocesi. Il canale televisivo Kto e il portale Vatican News hanno aiutato molte persone, comunità e famiglie. Papa Francesco ha svolto il suo ruolo di parroco del mondo con la messa mattutina a Santa Marta e altre cerimonie in mondovisione. La catechesi è continuata all’interno delle famiglie per preparare la prima comunione che speriamo ancora di poter organizzare. L’esperienza della comunione spirituale ha aumentato la sete spirituale. Molti hanno pregato di più da soli o da sole, in comunità, in famiglia, in comunione con la Chiesa universale.

Come è cambiato il rapporto con Dio e la preghiera?

Difficile dirlo con precisione e in modo generale perché le realtà sono molto diverse a seconda delle persone e delle situazioni. Tuttavia, possiamo parlare di una forma di intensificazione, di una maggiore autenticità e probabilmente di sobrietà. L’incertezza della situazione, che si è gradualmente estesa, ha destabilizzato le persone e le ha spinte a scavare più in profondità, nella loro fede, ma anche nelle loro relazioni, percependo meglio ciò che è più solido e più concreto in questi tempi incerti. Come conseguenza di una certa privazione nelle relazioni, ecco dunque un più intenso rapporto con Dio e la preghiera.

In che modo la Chiesa locale è vicina alle persone in difficoltà?

Da subito si è sentita l’urgenza di aiutare i più soli e i più poveri. Il Ramadan ha provato particolarmente tante famiglie algerine, non solo per la mancanza della festa e degli incontri familiari serali, ma anche a causa della mancanza di denaro. Lo Stato algerino ha svolto la sua parte. Nella nostra Chiesa siamo stati in grado di partecipare alla solidarietà con vari aiuti. Certamente è difficile dirlo, ma abbiamo capito che molte famiglie avevano fame, specialmente i nostri fratelli migranti. Caritas, le conferenze di San Vincenzo de’ Paoli e l’associazione Rencontre et Développement sono stati capaci di distribuire oltre mille ceste di cibo a individui e famiglie. Per quanto riguarda i migranti, siamo in contatto con le ong internazionali Oim, Unhcr e Médecins du monde. I cappellani non hanno potuto visitare i nostri fratelli e sorelle in prigione, ma c’era un telefono che i detenuti potevano utilizzare una volta ogni due settimane. Attualmente, Caritas ha avviato anche una bella attività di produzione di mascherine.

La pandemia e l’isolamento hanno cambiato le relazioni sociali e in che modo?

Non abbiamo assistito a una crescita del ripiegamento su di sé, al contrario. Mi sembra che grazie al telefono, a WhatsApp, a Skype o ad altri mezzi, si è sviluppata una vera attenzione verso gli altri e gli anziani. Sto parlando dei legami nella comunità cristiana, ma anche delle relazioni con i nostri vicini e amici di tutta la società algerina. C’è stata anche una maggiore tensione all’interno dei gruppi di persone confinati insieme, il che è inevitabile. Il corso frenetico della vita ha come preso una pausa, ha fatto una messa a punto, rimettendo al centro l’essenziale. Presto potremo vedere dei frutti nella nostra quotidianità rinnovata.

La pandemia ci aiuterà a rimettere le persone al centro o ritroveremo quella normalità che esisteva prima della crisi sanitaria?

Ciò che è iniziato potrà proseguire e approfondirsi, nel senso, per esempio, di una maggiore prossimità con le persone vicine e di un più grande sentimento di solidarietà globale. La presa di coscienza della necessità di una transizione ecologica, economica e sociale è stato un fatto significativo qua e là, ma non ovunque. In ogni caso, per la prima volta dopo molto tempo, la tutela della vita umana ha avuto la precedenza sull’economia, talvolta con alcuni eccessi di protezione.

Nel settimanale diocesano «Rencontres», lei hai scritto che la grave crisi che stiamo vivendo risveglia le inevitabili domande: dov’è Dio, cosa sta facendo Dio? Qual è la risposta?

Non ho risposta. Però so che in ogni situazione, anche le più tragiche, è possibile scegliere di amare. Ora, Dio è sia quando amiamo che quando ci amiamo. I nostri diciannove fratelli e sorelle martiri d’Algeria, testimoni del più grande amore, beatificati l’8 dicembre 2018 ci hanno mostrato il cammino. Di recente ho scritto che Dio non vuole il male, Dio non invia prove ardue per giocare con le nostre libertà o per punirci. Le prove arrivano secondo le leggi della natura, a causa degli errori umani e talvolta per le mancanze e per la malvagità degli uomini. Ma Dio non è mai assente dalle conseguenze di tutto ciò. Egli volge tutto a nostro beneficio. Il suo desiderio d’amore, il solo e unico proposito, è una volontà salvifica. Lui è all’opera all’interno dei cuori e delle coscienze per adeguarci e sintonizzarci alla sua gloria, vale a dire al peso del suo amore. Il nostro Dio è un Dio dentro di noi nella sua creazione e nelle sue creature.

Quali sono le prospettive per l’Algeria dopo la pandemia?

Come altri Paesi, l’Algeria dovrà probabilmente attraversare una situazione economica e sociale difficile. Ho fiducia nella solidarietà familiare, sociale e statale. Però, avremo imparato a consumare meno? O in modo diverso? L’essere umano e le persone più fragili continueranno ad attirare la maggior parte della nostra attenzione e a mobilitare i nostri sforzi? La nostra casa comune ricorderà che questa casa è nostra, di tutti, e che deve organizzarsi per favorire un miglioramento della salute di ciascuna persona. La salute dell’essere umano e quella del creato vanno avanti insieme. Le sfide sono davanti a noi. Nel Paese ho percepito una maggiore consapevolezza di queste sfide e un desiderio di andare avanti.

di Giordano Contu