Monsignor Luigi Mistò sottolinea la logica solidaristica alla base dell’attività del Fondo di assistenza sanitaria per i dipendenti della Santa Sede

La persona al centro di un servizio

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18 luglio 2020

È stata pubblicata la notizia della nomina da parte di Papa Francesco del nuovo direttore del Fondo di assistenza sanitaria (Fas) per i dipendenti della Santa Sede, nella persona del professor Giovanni Battista Doglietto, che già da tempo affiancava l’uscente Stefano Loreti. Il cambio della guardia rappresenta una buona occasione per ricordare che cosa sia il Fas, facendo il punto con il suo presidente, monsignor Luigi Mistò.

Innanzitutto, che cos’è il Fas?

È l’ente che fornisce l’assistenza sanitaria per il personale in servizio e in quiescenza, della Curia romana, del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e degli enti gestiti amministrativamente in modo diretto dalla Santa Sede, anche di quelli che non hanno sede legale nello Stato della Città del Vaticano. Il Fas provvede a finanziare le prestazioni sanitarie in forma diretta e indiretta.

Come funziona il Fondo?

Vorrei, se possibile, inquadrare innanzitutto un principio fondamentale. Mi piace utilizzare una ricorrente immagine di Papa Francesco e affermare che la malattia è la “periferia esistenziale” dove tutti, prima o poi, direttamente o attraverso una persona cara, passano. Il Fas, perciò, pur con la dovuta attenzione ai profili di sostenibilità economica, dovrà assolutamente tenere sempre al centro la persona del malato facendogli sentire tutta la cura e la tenerezza di cui ha bisogno. Il Fondo risponde a una istanza solidaristica fra tutti i dipendenti della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. Si tratta di una istanza che si fonda sulla dottrina sociale della Chiesa, per la quale il principio regolatore della vita sociale è un rapporto di reciproco amore e aiuto. La Santa Sede e lo Stato della Città del Vaticano sono una comunità di lavoro che prima fra tutti deve dare testimonianza nell’applicazione pratica di questo.

Che cosa significa concretamente quanto ha appena detto?

Significa che tutti sono chiamati a contribuire in proporzione alle proprie possibilità e, quindi, in percentuale alla propria retribuzione per garantire le risorse necessarie a far fronte alla malattia che può colpire ognuno di loro e i propri familiari. Il rimborso delle spese mediche non è infatti limitato al contributo che ciascuno ha dato, ma è garantito in ogni caso. Significa che ci sono persone che non si ammalano mai e pagano comunque. Altre, meno fortunate, si ammalano e le cure, in alcuni casi, costano di più, anche molto di più, di quello che hanno dato. In tal caso si usano i contributi di chi, per fortuna, si ammala meno. Ecco la solidarietà. Poi esistono dei correttivi al sistema: per alcune prestazioni si chiede a chi ne usufruisce di pagarne una parte per evitare eccessivi squilibri.

Un sistema utilizzato non solo dalla Chiesa ma piuttosto diffuso...

Sì, questo sistema, proprio della dottrina sociale della Chiesa, è adottato da molti Stati, a testimonianza della bontà del principio stesso. Tanto è vero che la Santa Sede il 16 giugno del 2000 ha stipulato con la Repubblica italiana una «Convenzione di sicurezza sociale» che interessa i suoi dipendenti che per la gran parte sono cittadini italiani oppure risiedono in Italia. Così il Fas è autorità competente per provvedere alla tutela e alla sicurezza sanitaria dei suoi dipendenti, anche in caso di malattia professionale o infortunio sul lavoro.

La quota di iscrizione al Fas può essere definita una “tassa”?

È certamente improprio definire in questo modo la quota di iscrizione, che è finalizzata alla realizzazione della reciproca tutela e assistenza degli iscritti, fondamento del principio della mutualità. La quota è collegata all’istanza solidaristica, per cui ogni lavoratore della Santa Sede contribuisce alla tutela della salute di tutti gli altri.

Può dirci qual è la situazione dei conti del Fas?

Nel 2017, al termine di un quinquennio caratterizzato da dinamiche di crescita dei costi non sostenibili nel lungo periodo, è stato avviato dal nuovo Consiglio di amministrazione un processo di riforma improntato a criteri di efficienza, trasparenza e utilizzo virtuoso delle risorse economiche disponibili, al fine di garantire la sostenibilità futura del Fondo senza incidere in alcun modo sulla qualità delle prestazioni erogate agli iscritti. Grazie a questa riforma, nello stesso 2017 sono stati ottenuti risparmi per circa 3,6 milioni di euro rispetto al precedente esercizio, e nel 2018 un ulteriore risparmio, rispetto al 2017, di 1,4 milioni di euro. Questo ha consentito nella sostanza la restituzione alle amministrazioni della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano di oltre 5 milioni di euro.

Sono risparmi ottenuti grazie all’innalzamento del ticket dovuto dai dipendenti per le prestazioni?

Certamente no. La revisione delle quote di partecipazione alla spesa, il cosiddetto ticket, approvata dal Consiglio di Amministrazione del Fas il 25 ottobre 2017 e in vigore dal 1° giugno 2018 non ha influito. I ticket incassati allo sportello sono passati, infatti, da 302.000 euro del 2017 a 497.000 euro del 2018, con un incremento di soli 195.000 euro, a fronte di una spesa sanitaria superiore a 20 milioni di euro.

Il Fas possiede capitali o fa investimenti?

Il Fas non dispone di capitali di dotazione e compie la propria attività a beneficio degli iscritti utilizzando esclusivamente i contributi versati mensilmente dalle amministrazioni della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. Il bilancio deve necessariamente essere chiuso in pareggio, pertanto non è possibile la realizzazione e l’accantonamento di utili di bilancio. Quanto eventualmente risparmiato rispetto al budget approvato non può essere trattenuto e/o destinato a investimenti di qualsiasi natura, ma deve essere restituito alle amministrazioni che finanziano il Fondo.

di Alessandro De Carolis