Il segreto di una buona madre

La forza di un sorriso

Gustav Klimt, «Le tre età della donna» (1905, particolare)
03 luglio 2020

Pubblichiamo la prefazione al libro «Madri» di Carla Canullo e Giovanni Cesare Pagazzi uscito per le Edizioni Dehoniane (Bologna, 2020, pagine 88, euro 8,50).

Faticosamente, i penitenti del Purgatorio di Dante salgono la montagna per meritare la purificazione: attraversano gli spazi dei sette peccati capitali e scoprono sette esempi di virtù grazie a Maria, unica figura presente in ogni zona. Attraverso le parole di Luca e di Giovanni, Maria viene raccontata mentre accoglie la sorpresa annunciata da Gabriele, accetta come casa il rifugio di Betlemme, dà fiducia a Gesù tra i dottori del Tempio e alle nozze di Cana. In ogni occasione Maria aiuta il figlio a diventare se stesso e i peccatori pentiti a trovare la via del cielo.

Le parole di Dante intorno a Maria sono un buon esempio delle riflessioni proposte da Carla Canullo e da don Giovanni Cesare Pagazzi. Maria è infatti una madre affidabile, rassicurante, paziente; possiede insomma molte delle qualità su cui hanno dialogato i relatori della «Cattedra del confronto 2018», un’iniziativa che l’arcidiocesi di Trento, in collaborazione con alcuni docenti dell’ateneo cittadino, propone con successo alla cittadinanza ormai da più di un decennio.

La forza di Maria consiste soprattutto in una serie di rapporti autentici e perciò complessi (oltre che con il figlio, anche con Giuseppe, Giuda, Pietro e altri) che hanno trovato nuova voce nel bel romanzo Lei di Mariapia Veladiano. Perché essere madre — ricorda il filosofo Silvano Zucal — non è un ruolo, cioè qualcosa di rigido e già definito, ma un legame relazionale che oggi richiede nuova attenzione.

Possiamo ad esempio interrogarci sulla maternità come sorpresa (è ancora così?) e come rinuncia a una vita autocentrata (ne siamo capaci?). O chiederci quanto ci riconosciamo nelle «madri Narciso» di cui ha parlato Massimo Recalcati. Senza dubbio, dagli anni Settanta del Novecento, l’identità materna si ridefinisce, anche a causa dei referendum sul divorzio (1974) e sull’aborto (1981). A ben vedere le cause sono molteplici, come suggerisce il film La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana (2003): Giulia abbandona la piccola Sara per diventare una terrorista; la figlia cresce con il padre, Nicola, e con l’affetto della famiglia paterna, e riesce a recuperare la relazione con la madre quando diventa adulta. Certo, si tratta di un caso limite, anche perché presenta una figlia che «educa» la madre agli affetti. Eppure — ammette la psicologa Silvia Vegetti Finzi — essere madre oggi è un progetto difficile da inscrivere nella biografia femminile e nella trama sociale. Ecco perché, di fronte a questo “impensato” della nostra epoca, si può perfino pentirsi — ha precisato nel 2016 la sociologa israeliana Orna Donath. Assurdità? Non proprio, anche a riflettere su due madri di successo come Lenii e Lila, le protagoniste del ciclo di Elena Ferrante iniziato con L’amica geniale nel 2011; la prima è una scrittrice che abbandona due figlie piccole per scappare in Francia con un amore ritrovato; la seconda, un’imprenditrice che smarrisce una figlia mentre chiacchiera con un amore giovanile.

Eppure le cose possono anche andare diversamente. Ancora una volta la letteratura e il cinema narrano un caso estremo: il romanzo Room della scrittrice irlandese Emma Donoghue (2010) e il film omonimo diretto da Lenny Abrahamson (2015) raccontano la storia di Joy, una giovane donna, rapita, violentata e rinchiusa in una stanza (room, appunto) dove dà alla luce Jack, riuscendo ad amarlo e proteggerlo nonostante tutto. Grazie a lei il piccolo Jack trova il coraggio di liberare se stesso e la madre. Incredibile? Per nulla: si tratta della rielaborazione di un fatto di cronaca accaduto in Austria tra il 1984 e il 2008. E di un esempio straordinario di maternità come dono della vita a tutti i costi.

Forse proprio l’accompagnamento verso un’identità lontana (anzitutto dalle proprie fantasie), flessibile e resiliente, è la sfida più difficile per ogni madre, anche per quelle metaforiche (madre patria, madre lingua, madre Chiesa, impegnate oggi a seguire con attenzione il risorgere dei fanatismi) o comunque non legate alla biologia.

Al proposito due altre immagini conclusive, prima di leggere i saggi illuminanti di Canullo e Pagazzi: da una parte Ada, l’anziana insegnante di latino del film Mia madre di Nanni Moretti (2015), ricordata da una ex studentessa come colei che «ha insegnato la vita più che le materie» e che perciò è «rimasta dentro» come figura materna; dall’altra parte madre Teresa di Calcutta, modello di un amore senza distinzioni di lingua, cultura, razza o religione, che ha affermato: «Forse non parlo la loro lingua, ma posso sorridere».

Ecco, probabilmente è questo il segreto di una buona madre: sapere sorridere, cioè comunicare che vale sempre la pena credere in un futuro positivo. «Mamma a che stai pensando?», domanda la figlia Margherita alla madre anziana e malata nel film di Nanni Moretti. «A domani», risponde Ada con un accenno di sorriso.

di Lucia Roder