«Poesie in libertà» all’Arena Tiziano di Roma

L’uomo che non capiva troppo e altri animali

Particolare da una tavola del libro «agGREGazioni»
28 luglio 2020

A sorpresa, in mezzo a questa strana estate “pericolante”, sospesa tra due emergenze, quella passata del lockdown e quella minacciata in autunno, spunta prepotente, inequivocabile, la voglia di ridere. Perfino nel posto dove meno ci si aspetterebbe di trovarla, un reading di poesia. È successo il 24 luglio scorso a Roma durante «Poesie in libertà» in un’Arena Tiziano piena di pubblico diligentemente in mascherina, grazie all’ospitalità di Renzo Casadei, il patron di Capire Edizioni, una casa editrice indipendente che raggruppa sotto di sé i marchi CartaCanta Editore, Risguardi Edizioni, Edizioni della Meridiana di Firenze, Coazinzola Press e Mobydick.

Tanti poeti giovani e giovanissimi esordienti hanno fatto sentire la loro voce, accanto a big più noti nella repubblica delle lettere, con Nicola Bultrini e Davide Rondoni nelle vesti di “presentatori”. E tanti versi in rima, o comunque in schemi metrici codificati, per ridere con grazia dei patemi post-quarantena grazie agli stornelli allegramente folk di Maria Grazia Calandrone e la svagata ironia di David Riondino, che ha letto stralci di un poema in cui uno studente innamorato della sua prof soffre per la didattica a distanza.

Special guest della serata, Claudio Gregori (del duo comico Lillo e Greg) che ha letto poesie e microracconti tratti dal suo ultimo libro agGREGazioni (Forlì, CartaCanta Editore, 2019, pagine 265, euro 14,90). Un’«affollata solitudine» (come nella raccolta di eteronimi di Pessoa) in cui accanto alla voce dei suoi alter ego più famosi (come il detective Mallory, o Joe Patagonia) spiccano due parodie della solenne sentenziosità biblica davvero irresistibili, la saga di Lilloth e Meliatte e la lunga serie delle Lettere di San Drone da Tebe (ai pavesini, ai platei, ai solfizi, ai legulei, ai dolicocefali, ai curiazi e ai precipizi). «Disarmante, simpatico, buono, in questo suo libro Claudio si nasconde e si mette a nudo allo stesso tempo», scrive Monica Zullo nella prefazione, seguita da una personale hall of fame in cui spiccano le caricature di Jerry Lewis, Robert Crumb, Woody Allen, Buddy Holly.

Parlando dei fatti salienti della sua adolescenza («nel frattempo avevo messo a punto una delle più raffinate timidezze al mondo» scrive Gregori prendendo soavemente in giro il suo «se stesso giovane») l’autore non può fare a meno di citare i suoi maestri più amati, in quanto traghettatori dalle secche dell’autocommiserazione ai tesori del mondo esterno, della vita adulta. «Quando il film American Graffiti mi iniziò ai misteri sublimi del rock’n’roll non capitolai sull’animalesca pelvicità di Elvis Presley, bensì sulla trasversale poetica futuribile di Buddy Holly, timido e occhialuto cantante-chitarrista texano — scrive Claudio Gregori nel suo auto-identikit —. E occhialuti erano anche coloro che catalizzavano il mio umorismo in fieri, così intrigato dall’ironia ebraico-americana: Jerry Lewis e Woody Allen. A chiudere la rosa dei miei mentori artistici c’era Robert Crumb, un favoloso disegnatore underground californiano, nonché superbo banjoista in una band che ripercorreva lo sviluppo musicale delle prime tre decadi della musica americana. Dunque niente Marlon Brando, niente James Dean o Steve McQueen. Niente magliette attillate, niente sigarette pendule da labbra ghignanti, ma camicette abbottonate fino al collo, occhiali e apparecchi per i denti. Però come spiegare agli altri che i propri idoli sono quattro nerd in piena regola? Come evitare che ti prendano in giro? Come evitare lo scherno e le percosse? Beh, c’è voluto un po’ di tempo. Ed è servito affrancarsi dall’adolescenza e raggiungere quell’età in cui la diplomazia e uno straccio di educazione civica ti tolgono di torno i trogloditi più viscerali. Entrare in quel contesto spazio-temporale in cui se sei quello strano sei addirittura interessante. Sempre un soggetto di studi, ma interessante. In pratica il liceo. Potevo iniziare a pensare di cucirmi un costume e fare il supereroe. O comunque uscire allo scoperto».

Spesso — continua Monca Zullo nella prefazione al libro — «dove gli altri ridono a crepapelle, chi lo conosce si commuove, mentre lui entra ed esce in un nascondino continuo fra le righe». L’arte mimetica è tanto più comica quanto più è precisa, fino a far nascere un surreale “doppio” più vero dell’originale. «Si diverte a fare Queneau, Eco, Chandler, più una pletora di scrittori moderni non meglio identificati, oltre che, naturalmente, se stesso. Un po’ come i migliori serial killer ci lascia dei segnali che sembrano dire: “Dai, trovami, catturami se ci riesci, ma ti prego, fallo, ne ho bisogno”. Certo, il libro fa ridere, molto ridere; è comico, mai noioso, sempre vario (…) Questo è il livello primario per godervelo. Il livello secondario, visionario, ci fa riflettere di più, pensare alla nostra vita. Poi, di nuovo, arrivano momenti gustosi, per esempio quello in cui il suo autore implicito finge di essere un sempliciotto – ovvero L’uomo che non capiva troppo, per citare uno degli spettacoli più famosi del duo Lillo&Greg — con battute — non battute tipo quella del detective Mallory: «Avevo così sonno che avrei potuto dormire ancora un po’». O frasi apparentemente prevedibili e banali che contengono però un fulmen in clausola “È bello svegliarsi al mattino, affacciarsi e vedere il mare. Meno bello se non c’era la sera prima”».

di Silvia Guidi