Jean-Francois Millet e la missione dell’arte a beneficio degli emarginati

L’epopea dell’umile gente

«Le spigolatrici» (1857)
21 luglio 2020

Sviluppò nei suoi quadri una “epopea dei campi”, ritraendo gente di origini modeste nell’atto di provvedere a un lavoro tanto umile quanto dignitoso, nonché redditizio per la collettività. Non fu solo una scelta di carattere artistico quella del pittore francese Jean-Francois Millet, considerato uno dei maggiori esponenti del realismo in pittura: si trattava, anzitutto, di una missione da compiere a beneficio dei poveri, troppo spesso fatti oggetto, da parte delle autorità istituzionali, di soprusi e di angherie. All’artista, dunque, spetta il compito, nell’ambito ristretto ma pur sempre ricco di importanti potenzialità, di invertire questa perniciosa tendenza, elevando appunto i poveri a protagonisti di una tela e, dunque, di un evento culturale diretto ad abbattere pregiudizi e discriminazioni.

Victor Hugo fu tra i primi a intuire la portata innovativa di tale concezione applicata al mondo dell’arte, tanto da forgiare l’espressione, poi divenuta celebre, del «gesto augusto del seminatore». In quel gesto si esprime sia il valore di un lavoro utile alla società, sia il simbolo di un sacrificio che richiede abnegazione, forza e pazienza.

Per corroborare la propria personale teoria dell’atto pittorico che si nutre della dimensione eroica sottesa alla figura dei suoi contadini, Millet, nel 1851, scrisse: «Come potete capire dai titoli dei miei quadri, non ci sono donne nude o soggetti mitologici. Voglio cimentarmi con temi diversi da questi. A costo di passare ancor più per socialista, è il lato umano, schiettamente umano, quello che in arte mi tocca di più. E non è mai il lato gioioso quello che mi appare, non so dove sia e non l’ho mai visto. Ciò che di più allegro conosco è questa calma, questo silenzio di cui si gioisce così intimamente all’interno del bosco o sui campi. Mi direte — sottolinea Millet — che questo discorso è molto da sognatore, di un sogno triste, anche se dolcissimo, ma è lì, secondo me, che si trova la vera umanità, la grande poesia».

Con Constant Troyon, Narcisse Diaz, Charles Jacque e Théodore Rousseau, l’artista formò il primo nucleo della scuola di Barbizon, movimento che propugnava un realismo in cui, bandendo vacue idealizzazioni, si specchiava anzitutto l’amore per la natura e per le meraviglie del creato. Ed è all’interno di questo movimento che Millet ebbe modo di sviluppare, nella sua pienezza, la tendenza a concentrare l’attenzione sulla gente di umile estrazione per elevarla a soggetto principale dei suoi quadri. Tra questi spicca quello intitolato Le spigolatrici (1857), un vero e proprio inno sciolto in onore del mondo rurale. Il dipinto fu presentato al Salon di Parigi dove diede scandalo e suscitò le ire della borghesia che non gradì la rappresentazione, di carattere palesemente elogiativo, della povertà Quella rappresentazione la borghesia la sentiva come un atto di accusa nei suoi confronti. Il quadro rischiò dapprima di cadere nell’oblio, ma poi gli arrise ben altra sorte. Non solo fu assunto come un importante riferimento da artisti quali Pissarro, Renoir e van Gogh, ma nel 1914 diventò addirittura il simbolo del patriottismo francese: fu infatti riprodotto in volantini a scopo propagandistico nell’ambito del processo di arruolamento per la prima guerra mondiale. Quella tela trasudava impegno nel lavoro, spirito di sopportazione di fronte alla fatica, dignità vissuta con garbato decoro. Tutti valori, questi, di cui la patria, in procinto di entrare in guerra, non poteva non sentirsi fiera.

Il quadro Le spigolatrici raffigura tre contadine, chine a terra e con la schiena ricurva, intente a raccogliere le spighe di grano disperse nei campi dopo la mietitura. Particolare e suggestiva è l’angolazione scelta da Millet.

Pur nascondendone i visi, l’artista ne mette in rilievo i lineamenti un po’ grossolani, le mani arrossate e gonfie per la durezza del lavoro. Gli abiti sono frusti e la pelle è ustionata dal sole cocente. Le spigolatrici sono di bassa estrazione sociale eppure l’opera si carica di un respiro epico grazie proprio alle loro figure, sapientemente colte in una plastica e solenne monumentalità.

Le tre donne indicano il simbolo del proletariato rurale, la cui sussistenza era legata proprio a questo tipo di sostegno comunitari, quali l’autorizzazione a spigolare per i campi. Fa da contraltare a questo microcosmo, carico di implicazioni, un uomo a cavallo, che s’intravede sullo sfondo. Egli sovrintende al lavoro delle spigolatrici, vigilando sul regolare svolgimento delle loro mansioni. Questo uomo a cavallo è concepito da Millet come l’emblema delle disparità sociali che intercorrono tra i diversi gruppi di lavoratori, nonché come l’emanazione del latifondista, proprietario delle terre sulle quali le tre spigolatrici, per sopravvivere, prodigano energie e versano sudore.

di Gabriele Nicolò