Valenza sacramentale della liturgia della Parola

L’ascolto di Dio cambia la vita

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15 luglio 2020

La liturgia della Parola non è semplicemente una parte introduttiva, quasi una sorta di premessa al dopo, ma è parte essenziale della celebrazione eucaristica: «Le due parti che costituiscono in certo modo la Messa, cioè la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica, sono congiunte così strettamente tra di loro da formare un solo atto di culto», ricorda Sacrosanctum concilium 56. E l’Introduzione al Lezionario spiega che: «Nella Parola di Dio si annunzia la divina alleanza, mentre nell’Eucaristia si ripropone l’alleanza stessa, nuova ed eterna. Lì la storia della salvezza viene rievocata nel suono delle parole, qui, la stessa storia viene ripresentata nei segni sacramentali della liturgia» (n. 10).

Per comprendere il legame tra Parola e Convito, basta riferirsi al racconto di Emmaus (Lc 24, 13-35), in cui risalta la presenza di Cristo che parla e opera. Gesù spezza anzitutto ai discepoli il pane della Parola, spiegando in tutte le Scritture — cominciando da Mosè e da tutti i profeti — il proprio mistero, e quindi, spezzando il Pane della vita, li rende partecipi del suo mistero. Sia l’Antico che il Nuovo Testamento hanno al centro la luce di Cristo: «Ignorare le Scritture è ignorare Cristo», ammonisce san Girolamo (Commento sul profeta Isaia, Prologo). La rivelazione a parole dell’amore che si dona infinitamente, si concretizza nel gesto eucaristico della frazione del Pane, che è comunione vitale con il Risorto. Un esempio eloquente del raccordo tra Parola e mensa eucaristia è offerto dalla Messa della Domenica ii di Pasqua, in cui si legge, in tutti e tre i cicli — con diverse letture e salmi — il Vangelo dell’apparizione del Risorto agli apostoli, compreso Tommaso. L’antifona alla comunione canta: «Accosta la tua mano, tocca le cicatrici dei chiodi e non essere incredulo, ma credente» (cfr. Gv 20, 27). La parola rivolta a Tommaso, Gesù la rivolge ora a quanti si accostano alla Comunione: non sono più i segni dei chiodi ma i “santi segni” del corpo e sangue del Signore che suscitano la fede, concedendo di fare pasqua a chi vi partecipa. Ossia, di aprirsi alla confessione: «Mio Signore e mio Dio», davanti al Cristo realmente presente nel pane e nel vino consacrati, rivivendo la medesima esperienza che fu di san Tommaso.

La dinamica dialogica che attraversa l’intera celebrazione viene così spiegata da Sacrosanctum concilium: «Nella liturgia Dio parla al suo popolo; Cristo annunzia ancora il suo Vangelo. Il popolo, a sua volta, risponde a Dio con il canto e la preghiera» (n. 33). Dalla Parola si ascolta il significato della celebrazione che si sta compiendo e questa interpreta la Parola che viene proclamata (cfr. Introduzione al Lezionario, 3). In tale prospettiva risalta il movimento seguente: la Parola genera la preghiera della Chiesa e la preghiera ri-genera la Parola. Ad interpretare e interiorizzare il messaggio della liturgia della Parola intervengono e contribuiscono, con specifica fisionomia, sia le preghiere che i canti della messa.

La preghiera liturgica, infatti, non è altro che la reazione della Chiesa a ciò che esce dalla bocca di Dio. Sono risposta le preghiere che il sacerdote rivolge a Dio a nome di tutti, in particolare la Preghiera eucaristica: il ringraziamento innalzato al Padre per il dono del suo Figlio, incessantemente elargito nel sacramento, non sarebbe compreso senza riferimento alla divina Parola.

Insieme alle preghiere ci sono le acclamazioni e i canti, che esprimono la voce della comunità celebrante che dialoga col suo Signore: lo esalta, lo loda, lo invoca, lo ama. Il canto non è soltanto un naturale elemento di coesione, ma anche una potente manifestazione del sentire della Chiesa celebrante, perché, più della predicazione, esso colpisce la fantasia e tocca il cuore. Lo sottolinea bene sant’Agostino, rammentando l’emozione suscitata in lui dagli inni che la comunità cristiana di Milano elevava a Dio, sotto la guida di sant’Ambrogio: «Quando mi torna il ricordo delle lacrime da me versate ascoltando i canti della tua Chiesa ai primi tempi della mia conversione; ed anche ora, quando mi sento commuovere non tanto dal canto quanto da ciò che viene cantato, se l’esecuzione è fatta da una voce bella e con una appropriata modulazione, devo ammettere di nuovo la grande utilità di questa istituzione» (Confessioni, x, 33).

Modalità e scopo del dialogo

La liturgia della Parola ha la funzione di mantenere vivo il dialogo che Dio va intrattenendo con il suo popolo pellegrino nella storia. Al movimento discendente della Parola, proferita per santificare, convertire, illuminare, conformare a Cristo, corrisponde dunque quello ascendente della Chiesa orante, fatto di ascolto, interiorizzazione, lode, professione di fede, ringraziamento, acclamazione, contemplazione, docilità, coinvolgimento personale e comunitario.

La proclamazione della Parola si declina con il mistero dell’assemblea liturgica. Questa non è un qualsiasi ritrovarsi insieme, ma un raccogliersi a motivo della Parola di Dio che chiama, convoca, raduna tutti coloro che si lasciano interpellare da essa (cfr. Introduzione al Lezionario, 7 e 8). La portata della comunità liturgica è sottolineata da testi biblici che descrivono la santa convocazione di tutti i figli di Israele per ascoltare la voce di Dio e reagire alla conoscenza della sua volontà: Dio parla al suo popolo e il popolo ne conosce il volere, l’acclama e risponde: «Amen, Amen, quello che il Signore ha detto noi lo faremo e lo eseguiremo», sigillando lo scambio a parole in un patto di sangue (cfr. Es 19, 3-6; Es 24,3-8; Gs 24, 1-27; Esd 8 e 9). Dialogare ritualmente con Dio riconduce alla categoria dell’Alleanza, ossia del consumare la vita per praticare le parole uscite dalla bocca dell’Altissimo: è la vocazione peculiare del popolo d’Israele.

È così anche per la comunità della nuova ed eterna alleanza, il “nuovo” Israele, la Chiesa. L’assemblea eucaristica è il luogo privilegiato in cui Cristo rivela e realizza il mistero della comunione con Dio e con i fratelli. A creare e a ri-creare la Chiesa è l’inveramento sacramentale in essa di ciò che il Vangelo annuncia: in breve, l’ascolto muove i figli della Chiesa a consegnare se stessi alla volontà del Padre, per Cristo, nello Spirito Santo. Sull’esempio della Vergine nell’ora dell’annunciazione: «eccomi» (Lc 1, 38).

Il dialogo tra Dio e il suo popolo avviene attraverso il linguaggio rituale, pervaso da dinamiche che si intersecano. L’aspetto dialogante risalta dal discorso diretto con cui si rapportano gli interlocutori. All’annuncio della proclamazione del Vangelo, l’assemblea si rivolge direttamente a Cristo, acclamando: «Gloria a te, o Signore»; e a conclusione del Vangelo, l’enunciazione «Parola del Signore» da parte del ministro ordinato, è sigillata dall’acclamazione rivolta a Colui che, presente, ha parlato: «Lode a te, o Cristo».

Lo svolgersi della liturgia della Parola è accompagnato da segni, gesti, acclamazioni, silenzio, canti, atteggiamenti del corpo. Il compito di leggere le sacre Scritture è affidato ai vari ministri ordinati e laici, senza tuttavia dimenticare che è tutta l’assemblea, in quanto tale, a essere coinvolta nella liturgia della Parola, essendo la prima protagonista, dopo Dio, del dialogo dell’alleanza che li vincola.

Premesso che è il cuore dei credenti lo spazio per eccellenza in cui opera la Parola e viene formulata la risposta a essa, esiste un luogo particolare attorno al quale la si annuncia: l’ambone. Deve risultare un luogo importante nell’ambiente celebrativo, riservato alla proclamazione della Parola o di “parole” significative: testi biblici, omelia, annuncio pasquale, intenzioni della preghiera universale (cfr. Ordinamento generale del Messale Romano 310; Introduzione al Lezionario, 16 e 32-34). Anche lo spazio in cui si trovano i fedeli deve essere adatto per visibilità, udibilità, disposizione, in modo da favorisce il prestare ascolto alla voce divina.

Una componente rilevante è il ritmo dell’azione, ispirato alla naturale esperienza che a ritmare la vita è il palpito del cuore. La proclamazione della Parola non può essere consumata nel giro di pochi istanti, soffocata dalla fretta del lettore o dalla disattenzione degli uditori. Sul ritmo incidono anche le monizioni, che non devono prevalere sul testo biblico né per lunghezza né per importanza: sono a servizio dell’accoglienza della Parola più che alla comprensione di un testo scritto (cfr. Introduzione al Lezionario 15).

Il dialogo dell’assemblea con Colui che le parla è scandito dall’alternarsi di ascolto e reazione, silenzio e canto, acclamazioni e gesti: il segnarsi la fronte, la bocca e il cuore mentre si acclama «Gloria a te, o Signore», sta tradizionalmente a significare che il Vangelo illumina i pensieri, guida le parole, impegna il cuore dei credenti; il Vangelo è proclamato dal ministro ordinato; per onorare il Signore realmente presente nel suo Vangelo si portano i ceri e si usa l’incenso. Sul ritmo incide anche l’alternarsi di lettore, salmista, cantore, sacerdote o diacono; lo stare seduti e l’alzarsi in piedi per ascoltare il Vangelo; la processione con l’Evangeliario al canto dell’Alleluia; il canto del Credo, la supplica comunitaria nella preghiera universale.

L’esegesi esistenziale della Parola

Il fatto che le Scritture siano utilizzate nella liturgia mediante la proposta di brani, risveglia l’attenzione sulla loro interpretazione a diversi livelli. Il contenuto di un “brano” può essere inteso a livello verbale, ossia ciò che il testo dice; contestuale: il messaggio del brano in rapporto agli altri testi della liturgia della Parola; globale: il contenuto del brano è considerato nella dinamica dell’intera celebrazione; profondo: il messaggio della Parola è diretto alla vita spirituale dei fedeli. L’esegesi storico-critica della Scrittura, propria dell’ambito scolastico, si differenzia dall’esegesi orante della Parola, propria della Chiesa celebrante; il fine del dialogo tra Dio è l’uomo è sempre comunque l’esegesi esistenziale della Parola, testimoniata dalla vita dei santi, dei credenti. La pratica del Vangelo è la sua interpretazione più convincente e credibile.

Se davanti allo stesso brano di Vangelo l’esegesi storico-critica reagisce in modo univoco, esponendo nella diversità degli approcci e delle scuole quanto di fatto il testo dice — approfondisce il vocabolario, la struttura, il contesto, il confronto con altri passi biblici — non così avviene nel momento della celebrazione liturgica. L’esegesi della Chiesa orante non si ferma semplicemente allo scritto, ma coglie la Parola del Signore pronunciata nell’oggi qui per noi dell’azione liturgica. Superando la parzialità dell’esegesi dello scritto, la Chiesa in preghiera interpreta la Rivelazione in atto, sintesi vitale del dialogo tra Dio e l’uomo canonizzato nella sacra Scrittura e attuato nel mistero del culto, per essere tradotto in vita di fede, speranza e carità da parte degli oranti.

In quest’ottica, la liturgia della Parola risplende di luce propria, proveniente dall’incontro del messaggio di questi brani biblici: la prima lettura supera il suo senso letterale per essere riletta alla luce del brano del Vangelo, che, a sua volta, parla alla luce degli altri testi, compreso il salmo responsoriale, la seconda lettura, il canto al Vangelo. Come già osservato, l’esegesi orante della Chiesa trova naturale espressione nelle preghiere e nei canti dell’intera celebrazione.

Quanto esce dalla bocca del Signore non cessa di diventare evento salvifico nella misura in cui trova consenso attuale nell’animo dei credenti, superando il già noto del testo scritto, altre volte letto e meditato. E poiché il parlare di Dio è inesauribile e sempre nuovo, mai ripetitivo nelle diverse celebrazioni che costellano l’anno liturgico, abbiamo bisogno di ritornare ad ascoltare quella voce, in modo da adeguare ad essa sempre meglio la nostra condotta quotidiana. Mediante l’Eucaristia, il Risorto ri-appare tra i suoi, mostrandosi ad essi vivo per parlare loro di sé ed assimilarli al suo mistero. Diceva bene san Leone Magno che «quanto del nostro Redentore era visibile è passato nei sacramenti» (De Ascensione Domini ii, 2); e sant’Ambrogio: «Nei tuoi sacramenti, Cristo, io ti incontro faccia a faccia» (De Apologia prophetae David, 12,58).

Non deve pertanto sfuggire che l’ascolto liturgico di Dio è finalizzato all’esegesi vissuta della Parola, dal momento che la manifestazione del volere divino è diretta a plasmare la vita dei credenti: qui la Parola divina raggiunge l’effetto per cui è uscita dalla bocca dell’Altissimo ed è stata proclamata nella messa. Lo spiega bene sant’Atanasio che, narrando la vita di sant’Antonio abate, sottolinea come questi, partecipando un giorno alla messa, sentì che nella lettura del Vangelo il Signore rivolgeva proprio a lui la sua voce: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi». Antonio obbedì prontamente, interpretando con la vita la parola del Signore (cfr. Vita di sant’Antonio, 2-4; Ufficio delle letture, 27 gennaio). L’esegesi del Vangelo è la carità!

di Corrado Maggioni