Il rapporto con la natura nei diari di Henry D. Thoreau

Io cammino da solo

Una scena del film «Into the Wild» (Sean Penn, 2007)
04 luglio 2020

Se c’è una persona già in vita famosa tra i camminatori pur avendo viaggiato poco, questa è Henry David Thoreau, conosciuto in Italia soprattutto per il suo testo autobiografico Walden. Ovvero Vita nei boschi, nel quale racconta i due anni trascorsi vivendo in una capanna di legno sulle rive di un lago, il Walden appunto, non lontano dall’abitazione della propria famiglia, a Concord, nel Massachusetts, dal 4 luglio 1845 al 6 settembre 1847.

Le altre opere significative di questo pensatore americano sono Una settimana sui fiumi Concord e Merrimack, nel quale racconta di una escursione in barca insieme al fratello, e Disobbedienza civile, testo che dà conto delle ragioni e delle modalità del suo impegno politico anti schiavista e anti bellicista, sviluppato in termini di resistenza passiva anche attraverso il rifiuto fiscale, la cui messa in pratica lo condusse in prigione.

Uomo solitario, scomparso ad appena 44 anni, gli ultimi dei quali, dopo la morte del padre, trascorsi nella gestione della fabbrica di matite di famiglia, Thoreau ha incontrato negli ultimi anni un apprezzamento sempre maggiore per la modernità del suo approccio alla natura, estremamente rispettoso e diretto, privo di componenti estetizzanti e indirizzato alla frugalità e all’autoproduzione. Considerava una grande soddisfazione e un ottimo modo per sentirsi in armonia con il creato cibarsi di prodotti della terra coltivati con le proprie mani.

Vicino al movimento trascendentalista, di ispirazione ecologica e antirazionalista, Thoreau fu spinto da uno dei suoi maggiori esponenti, Ralph Waldo Emerson, a tenere un diario, che l’autore redasse per ventiquattro anni, più della metà della sua vita, dal 1837 al 1861, in trentanove taccuini che non sono mai stati pubblicati integralmente. L’opera nella sua interezza supera i due milioni di parole.

È uscita in questi giorni in Italia una ricca antologia di questi scritti, intitolata Io cammino da solo, Journal 1837-1861, edito da Piano B, (Prato, euro 18) che consente se non di conoscere almeno di avvicinare il pensiero e la personalità di Thoreau forse meglio di quanto lo si possa fare attraverso la lettura delle opere maggiori, peraltro in buona parte rielaborazioni dei testi compresi nel diario.

La selezione dei brani, curata insieme alla traduzione da Mauro Maraschi, mostra un Thoreau molto assertivo e decisamente critico nei confronti della modernità e delle possibilità che essa offre in termini di comodità materiali e di occasioni di incontro. Le difficoltà di dialogo con gli altri, l’impossibilità di far vivere un’amicizia di natura quasi simbiotica, come era stato il rapporto dell’autore con il fratello scomparso giovanissimo per una infezione, descrivono una figura solitaria, quasi ascetica.

Solo sullo sfondo riconosciamo i tratti di una quotidianità abbastanza usuale, fatta anche di lavoro, di qualche raro viaggio per tenere conferenze, come se la scrittura del diario costituisse l’occasione per lo sfogo delle proprie tensioni più che per la definizione di un pensiero risolto.

I temi del rapporto stretto con la natura, della felicità che tale condizione privilegiata comporta, a costo di subire privazioni, sofferenze, condizioni climatiche particolarmente dure, costituiscono una nota costante della riflessione di Thoreau. Questo fa di Io cammino da solo una lettura ricchissima e soprattutto moderna sul tema dell’ecologia intesa come condivisione di un ecosistema e non semplice limitazione del suo sfruttamento. Molto interessanti anche le considerazioni sulle modalità attraverso le quali uomini e donne vanno alla ricerca della felicità. Già a metà Ottocento Thoreau anticipa una critica radicale al consumismo appena nascente, condannando l’allontanamento dalle attività primarie e la forsennata mediazione economica, che spinge a cercare possibilità di acquisto illimitate e di fatto inutili, in un circolo vizioso che allontana dalle esperienze di vita.

Con approccio contemporaneo una riflessione simile è svolta da Fabrizio Ardito nel recente Le Vie di Francesco, Un cammino di spirito e natura tra Firenze, Assisi e Roma, edito da Ediciclo (Portogruaro, 2020, pagine 224, euro 16). Il libro si inserisce nell’ormai ricco filone delle guide e degli strumenti di sostegno per viandanti e pellegrini, con la specifica che Ardito è uno dei camminatori storici italiani e che in questa occasione si confronta con un percorso molto particolare, dichiarando un senso di partecipazione legato all’adesione alla spiritualità francescana.

La prefazione del cardinale Matteo Maria Zuppi conferma questo intento, quando assicura che «camminare è davvero l’unico modo per capire in profondità san Francesco». E la via dedicata al santo, che percorre i luoghi della sua vita, attraversati molte volte e teatro di momenti significativi della predicazione, da Gubbio a Greccio, da Assisi alla Verna, nasce con l’esatto intento di avvicinare i pellegrini di oggi alla spiritualità francescana.

Il Cammino di Santiago è la rivisitazione moderna di un tracciato antico, le Vie di Francesco sono un reticolato di percorsi individuati da qualche decennio sotto lo stimolo e la richiesta di occasioni, magari limitate nel tempo, per trascorrere camminando un tempo liberato dai gravami e dalle contraddizioni della modernità, in un incontro con se stessi e con la natura, che si fondi sul mistero della incarnazione nel proprio fisico alla quale ciascun uomo e ciascuna donna partecipa.

I percorsi presentati da Ardito sono faticosi, si sale e si scende molte volte dai monti della Toscana, dell’Umbria e del Lazio, ma vale la pena affrontarli perché «è su questa via che, volenti o nolenti, incontrerete Francesco».

di Sergio Valzania