«Tornare a casa» di Dörte Hansen

Il terreno da cui la vita germoglia

Particolare dalla copertina del libro edito da Fazi
27 luglio 2020

Figli adulti e nonni fragili


Né per le persone né per le comunità è semplice fare bilanci, tuttavia può essere molto utile: lo dimostra bene Tornare a casa (Roma, Fazi, 2020, pagine 310, euro 18.50), secondo romanzo, pluripremiato in patria, della scrittrice tedesca Dörte Hansen. Tradotto da Teresa Ciuffoletti, il libro tocca tematiche delicate, dal cambiamento di persone e luoghi, al dolore, alla solitudine e alla fragilità di chi invecchia.

Nato e cresciuto a Brinkebüll, un piccolo villaggio nel nord della Frisia, ma da tempo trasferitosi a Kiel, l’archeologo Ingwer Feddersen sta per compiere cinquant’anni. Scontento e con diversi dubbi esistenziali, si prende una pausa dall’università e torna a Brinkebüll per dedicarsi agli anziani genitori Sönke ed Ella, bisognosi di cure e alla soglia delle nozze di ferro. Genitori che in realtà — come scopriremo molto presto — sono i nonni del protagonista, figlio della giovanissima Marrett che ha un ritardo mentale.

Tra il prima e il poi i cambiamenti sono enormi, innanzitutto per Brinkebüll. Tra piccole e grandi mutazioni (se nessuno fa più il riposino pomeridiano, il paesino intero si è messo in moto con le donne ormai tutte patentate), è il volto stesso della comunità a essere irriconoscibile. Perfino gli odori, i sapori, i colori sono cambiati. Pochi decenni prima quasi tutti gli abitanti vivevano dedicandosi all’agricoltura, mentre ora sono davvero poche le aziende che rimangono. Un cambio di occupazione che ha portato alla violenta scomparsa delle abitudini rurali di un tempo, e al mutamento per sempre di spazi e tempi del luogo.

Al pari di Brinkebüll, anche Ingwer è irriconoscibile. Cresciuto circondato dall’amore di Sönke ed Ella, scioccato dalla scoperta della reale identità materna ma capace comunque di trovare un (apparente?) nuovo equilibrio, la sua vera ribellione è stata quella di studiare. Studiare per andarsene. Ma cosa voleva costruire Ingwer abbandonando il bancone della locanda di famiglia? Il suo è stato davvero un tradimento?

Sicuramente per Sönke («Il primo uomo a percorrere la via principale di Brinkbüll con un neonato nella carrozzina. L’unico che avesse mai portato un bambino sulla pancia come un marsupio») si è trattato di un tradimento, e anche grave. Per il nipote, infatti, l’uomo aveva immaginato — o meglio aveva dato per scontato — un futuro da proprietario del locale di famiglia. Forse però anche per l’anziano (e anomalo) patriarca potrebbe incrinarsi qualcosa nelle sue granitiche certezze.

Nel romanzo, ben costruito (a parte la figura di Marrett che avrebbe potuto essere tratteggiata con maggiore cura), è molto bello il rapporto tra Ingwer, ormai uomo maturo, e i nonni — Sönke arroccato nella sua locanda semiabbandonata, lucidissimo anche se fisicamente debole e malfermo; Ella invece, minata dalla malattia che ne ha stravolto il carattere, ha la mente ormai ottenebrata. È veramente delicata la descrizione che della sua malattia fa l’autrice, capace di tratteggiare l’alternanza vorticosa tra giorni violenti e giorni atroci in cui l’anziana chiede disperatamente un aiuto che è impossibile darle («Aiutatemi, aiutatemi, per ore e ore e nessuno capiva cosa c’era che non andava»).

I nonni non ce la fanno da soli e Ingwer — che ne ha un bisogno disperato di ritrovare il bandolo della sua vita — arriva per loro. Prendendosi cura degli anziani anche nei minimi bisogni e affrontando tutto da solo senza demandare nulla, l’uomo restituisce con ogni gesto, ventiquattro ore al giorno, una tenerezza infinita. È lui a lavare quei corpi che ormai hanno perso forza, ad accudirli, cambiarli, nutrirli e portarli a letto. «Ingwer sapeva di non essere tenuto a occuparsi di tutte quelle cose, fare il bagno a Sönke e scapicollarsi per la campagna con Ella. Giocare a fare la casalinga, accompagnarli dai medici e sorbirsi le loro lamentele quando il pranzo non era in tavola alle dodici in punto. Loro non pretendevano niente di tutto questo. Era lui a volerlo». E lo vuole perché sa di essere tornato per «prendersi qualcosa che gli mancava».

Tornare a casa è la storia di un amore profondo, reciproco nel tempo. Perché il contrasto fra passato e presente, tra il punto da dove veniamo a quello dove andremo, è il terreno in cui germoglia la vita. Il ritorno di Ingwer a Brinkebüll diventa così per una famiglia intera l’occasione non per saldare i conti, ma piuttosto per reinventare ruoli e identità. Un passo necessario, da compiere insieme per cambiare davvero.

di Silvia Gusmano