Effetti musicali

I bambini e la seduzione (pericolosa) della musica

Un’illustrazione della fiaba su una vetrata di una chiesa di Goslar in Germania
28 luglio 2020

Come ci ricorda la nota fiaba dei fratelli Grimm «Il pifferaio di Hamelin»


In una nota fiaba tedesca, resa famosa dai fratelli Grimm, si narra che, intorno al 1300, Hamelin, cittadina tedesca della Bassa Sassonia, fosse invasa dai topi. Il sindaco non sapeva che pesci pigliare, fino a che un giorno si presentò in città un tipetto allegro che promise di risolvere il problema in cambio di mille monete d’oro. Il sindaco accettò l’offerta e l’ometto si mise subito al lavoro: prese il suo flauto e iniziò a suonare. I topi uscirono dai loro nascondigli e seguirono l’uomo fuori città. Lui, davanti, camminava e suonava la sua musica magica, loro dietro, «incantati e fiduciosi», fino al fiume dove, trascinati dall’uomo, annegarono tutti. Quando rientrò ad Hamelin per ottenere la sua ricompensa, si trovò innanzi al diniego del sindaco che ben interpretava l’avarizia dei suoi concittadini. Infastidito da questo atteggiamento, l’omino estrasse il suo flauto e iniziò ad emettere «dolcissimi suoni». «E questi non smise di suonare — continuano i fratelli Grimm — anzi, la sua musica diventò più dolce e persuasiva e nella mente dei bambini faceva nascere visioni di città tutte balocchi, di città tutte dolci, senza adulti che volevano comandare ad ogni ora del giorno». La vendetta del pifferaio magico è tremenda. I genitori assistono impotenti a questa processione di bimbi, li vedono avventurarsi lungo la montagna cantando al seguito della musica del pifferaio. Lungo quella montagna da cui non faranno più ritorno.

Questa fiaba dai contorni cupi mette in luce il potere, quasi magico, della musica, ma, soprattutto, la grande sensibilità che i bambini avrebbero nei confronti di quest’ultima. Il pifferaio suona per vendicarsi e, con la sua musica, riesce a sedurli totalmente. La stessa cosa non accade agli adulti che, al contrario, per nulla colpiti dalle note che escono dal suo flauto, li vedono sfilare festosi al seguito del pifferaio senza poter far nulla per riportarli a casa.

È il tipo di musica che il pifferaio suona a colpirli nel profondo e nessun bambino avrebbe potuto difendersi da quella melodia seducente, nemmeno se, raccogliendo tutte le proprie forze, si fosse portato le mani alle orecchie nel tentativo di non sentir nulla.

Il fatto è che di fronte al fenomeno acustico siamo totalmente indifesi. L’udito è l’unico senso che è impossibile chiudere totalmente. Non è possibile decidere di non sentire una musica o un rumore che viene prodotto. Se non voglio vedere una scena troppo cruenta, non faccio altro che chiudere le palpebre e la mia vista sarà isolata dalle immagini esterne. Se improvvisamente si diffonde un odore insopportabile, posso senz’altro chiudere le narici con le dita e isolare l’olfatto. Stessa cosa per il gusto: posso decidere di non aprire la bocca, di non ingoiare quel boccone e, quindi, di non sentire quel sapore che immagino così sgradevole. Infine, se non voglio toccare un oggetto il cui contatto mi repelle, posso decidere di non farlo, di non allungare la mano, di non posarvi il mio corpo. Ma se il mio vicino continua ad ascoltare musica ad alto volume di notte, posso certamente avvicinare le mani alle mie orecchie tentando di attutire un po’ il fastidio per quella musica inattesa e non voluta, ma non potrò mai isolarmi totalmente dall’esterno. Questo aspetto unico dell’udito è alla base degli effetti, enormi, e non sempre voluti, che il sonoro ha su di noi.

I bambini di Hamelin, di fronte alla musica seducente del pifferaio, non avevano strumenti per difendersi. Di fronte al potere della musica e, più in generale, dei fenomeni acustici, ci troviamo spesso impreparati e indifesi. E, forse, aveva ragione Eduard Hanslick, grande musicologo tedesco dell’Ottocento, a dire che «le altre arti ci persuadono. La musica ci coglie di sorpresa».

Resta il fatto che ad essere sorpresi e incantati dalla musica del pifferaio sono i bambini che con il fenomeno sonoro hanno un rapporto del tutto speciale.

La storia dell’uomo e del rapporto con il fenomeno acustico inizia già nella pancia della mamma. È intorno alla ventesima settimana che si sviluppa l’udito ed è proprio attraverso l’udito che il nascituro fa esperienza del mondo esterno. Immerso nell’atmosfera ovattata del liquido amniotico, sente il battito del cuore della madre. L’attesa del venire alla luce è scandita da questo sottofondo pulsante che rappresenta sicurezza e tranquillità. E dopo lo scoppio di pianto che segna la nascita del respiro e della vita nel mondo, proprio quel pianto si acquieta quando il piccolo viene posato sul petto materno e il suo orecchio riconosce quel battito familiare. Nella pancia della mamma il bimbo inizia anche a scrutare il mondo esterno. Ascolta le voci e i rumori, inizia a memorizzare il timbro vocale della madre e del padre. Vari studi, soprattutto quelli della psicologa Alexandra Lamont, hanno dimostrato come già nella vita intrauterina il bimbo sviluppi la propria memoria musicale. Non solo inizia la propria vita di ascolto, ma è capace, in determinate condizioni, di ricordare ciò che ascolta.

È dimostrato anche che i bimbi ascoltano con più piacere il canto della mamma che le sue parole, e che, quando la mamma canta, in loro avviene una diminuzione significativa dell’ “ormone dello stress”. Il canto cioè serve a modificare l’umore del bambino. E, a ben guardare, le mamme stesse, e i parenti prossimi del piccolo, in maniera naturale quando si rivolgono al neonato, sostituiscono il linguaggio parlato con un linguaggio cantilenante che viene definito “mammese”. È un parlare a mo’ di filastrocca, quasi canticchiato, che mantiene un timbro di voce acuto e rende bislacca e spiritosa l’immagine del nonno che si cimenta in questi vocalizzi timbrici pur di farsi più vicino al neonato. Perché scegliere questa via di comunicazione, piuttosto che il parlato semplice? Gli studi svolti finora ipotizzano che nel “mammese”, nella forza della parola “a cantilena”, risieda un surplus emotivo che permette al bambino di comprendere meglio il messaggio che la mamma vuole trasmettergli. Il “mammese” riempie le parole di un carico emozionale che esse da sole non possiedono, che fa arrivare il messaggio al bambino in maniera più calda e diretta. La musica, in questo caso, diventa un veicolo capace di trasferire, come nessun altro, il contenuto emotivo delle parole.

Non c’è da stupirsi dunque se i bambini di Hamelin fossero totalmente in balia delle note del pifferaio. In un paese pieno di avari, come quello tedesco invaso dai topi, al suono dolce e suadente del flauto, il loro orecchio ha intuito in quelle note un messaggio caldo e generoso, che forse non avevano mai sentito dai loro genitori. Un messaggio che li ha convinti ad uscire per strada e ad accodarsi al pifferaio verso il crinale della montagna.

di Cristian Carrara