In Trio di Dacia Maraini e Diario di una talpa di Paola Mastrocola

Di donne, di amiche, di talpe e di epidemie

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17 luglio 2020

È già successo e succederà di nuovo; al di là del ceto sociale e dell’età, delle latitudini e della capacità di elaborare lutti e gioie, di astrarre e di contestualizzare, uomini e donne si sono trovati e si ritroveranno alle prese con malattie e pandemie capaci di sconvolgerne routine e priorità. E come già avvenuto e come avverrà, uomini e donne lo racconteranno, ognuno a modo suo, ma accomunati tutti dal bisogno di condividere. In questo difficile 2020, con il coronavirus che accompagna ormai da mesi la nostra quotidianità, due scrittrici ci hanno proposto pagine in cui fanno i loro personali conti con quanto sta succedendo.

La prima è Dacia Maraini che con Trio (Rizzoli 2020) ritorna alla Sicilia che ha saputo indelebilmente raccontare ne La lunga vita di Marianna Ucrìa (1990). È il 1743. Un topo morto – messaggero noto – annuncia che la peste è arrivata a flagellare l’isola: si apre così la prima lettera del romanzo epistolare tra Agata e Annuzza, amiche sin da bambine che, mentre tutto attorno a loro sembra franare, si scrivono. Come da piccole il loro legame le aveva accompagnate nella scoperta del mondo, ora la loro amicizia diventa la base su cui puntellare un giorno per giorno sempre più difficile a causa dell’isolamento, del terrore del contagio, del dolore, della morte che incalza. Per Agata e Annuzza, bambine che leggevano insieme ad alta voce le avventure del Cid e di Ximena, scriversi diventa da adulte il solo antidoto contro la peste; il confronto – persino quando tocca note complesse come la gelosia o mette in discussione tutto quel che si è e si ha – porta conforto. Anche nell’immaginare il dopo.

Ed è specie nella parte relativa al dopo che Paola Mastrocola offre spunti interessanti in Diario di una talpa (La nave di Teseo 2020), in cui ripercorre – anche grazie ai suoi limpidi e delicati disegni – lo sconvolgimento di questi mesi. La talpa non racconta solo lo stupore e lo smarrimento davanti a un mondo in cui ciò che era normale e ovvio si è volatilizzato nel giro di poche ore, ma ripercorre le tappe di una resistenza. Perché la talpa – sorprendendo, forse, in primo luogo se stessa – non si rassegna a quel che accade. Soprattutto non vuole cedere a stereotipi e luoghi comuni, così rassicuranti davanti all’incepparsi di gran parte di ciò che si conosce. È lieve, pur nella gravità, il racconto di Mastrocola perché quel che salva è la gentilezza di uno sguardo profondo.

Non solo nelle belle pagine di apertura (per la scrittrice siciliana) e di chiusura (per la piemontese) in cui scrivono loro stesse una lettera, ma in entrambi i libri le voci di Maraini e di Mastrocola ci parlano direttamente. Chiamandoci in causa rispetto a qualcosa che ormai conosciamo bene per l’improvvisa talpitudine a cui siamo stati (e siamo ancora?) costretti, ci invitano però a non lasciarci travolgere dal caos e dalle scorciatoie.

“Non penso – conclude la talpa, affacciandosi sul dopo – al pianeta intero che si colpo si mette a vivere diversamente. Penso a qualcuno, che da solo a un certo punto comincerà, un bel mattino, a prendere un’altra strada. E poi magari altri poco per volta lo seguiranno, piccoli inizi. Focolai. Focolai di utopia. Mondi troppo piccoli? Non so, forse sì. Ma se anche fosse? La grandezza o piccolezza delle cose dipende dagli occhi che uno ha. Parola di talpa”.

di Giulia Galeotti