Ascoltare e leggere ai tempi del coronavirus

David Bowie e il senso della domenica

Il celebre concerto al Wembley Stadium di Londra (1992)
06 luglio 2020

Durante il blocco per il coronavirus ho ricevuto una mail in cui una studentessa mi scrive dell’isolamento pandemico cui è stata costretta, recepito come “privazione della felicità”. Ha riempito quel vuoto di senso con la lettura de La Peste di Albert Camus e ascoltato alcune canzoni sulla quarantena. Nella lettera racconta ciò che la realtà le ha posto davanti e cioè ridiscutere le ragioni per cui vive. «Le mie convinzioni sono solide e fondate sulla verità oppure illusorie?» s’interroga la giovane. «Mi chiedo se Dio rientra nei miei desideri e se mai mi sono accorta di Lui e perché solo adesso lo penso», così chiosa nello scritto. Abbozza un pensiero sulla religione e l’ambiente circostante. La musica è un trespolo su cui poggiano ansie e paure, canzoni che le dicono che «non è niente tutto quello che ti fa rabbia», citando Ivano Fossati in Ma che sarà questa canzone.

Nel lungo elenco dei dischi ascoltati c’è quel sabato leopardiano che deluderà le attese. Mi è parso di scorgere la noia per le domeniche vissute tutte uguali durante il blocco a casa. La ragazza macina ascolti di Amy Winehouse e di Bob Marley, legge poesie di Jim Morrison. C’è la tristezza domenicale di Blue Sunday dei Doors, l’irrequietezza di Sunday Morning dei Velvet Underground e poi ancora l’isolamento nei Sonic Youth, l’emarginazione in John Lennon e il surrealismo religioso di Kayne West. Una macedonia di sentimenti contrastanti che la turbano.

Provo a capire quel punto di vista e di cercare nei suoi libri e dischi un punto di contatto. Il romanzo di Camus narra la disincarnazione dei rapporti sociali, il flebile ricordo di un volto amato che sfianca i personaggi in una città chiusa e piegata dalla peste (oggi scriveremmo di zone rosse). Protagonisti che fanno il proprio dovere, obbligati a fare il bene senza eroismi. È l’alienazione presente in David Bowie, viene in mente la sua discografia mentre cerco di decifrare quei testi indicati nella mail.

Ho un dolore simile alla giovane studentessa, ho perso anch’io il gusto della festa. In tempo di pandemia la santa messa celebrata senza il popolo mi ha fatto provare un pane di vita diverso, un’esperienza difficile da descrivere. Un parroco costretto a stare lontano fisicamente dai fedeli è una contraddizione. Ho cercato comunque di non fuggire da una realtà sconosciuta e di scorgere una Presenza in quel deserto di relazioni.

Alla musica di David Bowie il compito di offrire una chiave di lettura del tempo presente e indicare un orizzonte di speranza alla studentessa. In Bowie ho sempre trovato una risposta. Le sue canzoni potrebbero ravvivare il ricordo delle domeniche vissute in famiglia e in chiesa. Bowie infatti scrisse sulla domenica, un tempo in cui tutto si ricrea e si distrugge. Nel pensiero bowiano la domenica è intesa in modo ambivalente. Lui che pregò il Padre Nostro sul palco del Wembley Stadium a Londra, nel concerto del 1992 in onore del leader dei Queen, Freddie Mercury. In quella circostanza dichiarò: «Pregare su quel palco il Padre Nostro mi è sembrato un gesto naturale. Un’invocazione per ritrovare me stesso».

Le sue canzoni hanno una struttura simile alla preghiera classica e come tali — dichiarò lo stesso Bowie — possono essere considerate. Non è un azzardo accostarle ai salmi di lamentazione, l’appello dolente a Dio è udibile nei testi di Bowie. Una canzone su tutti è Word On A Wing in cui canta dell’incontro con il Signore e del bisogno di non cambiare, nonostante Dio sia penetrato a forza nella sua vita: «Signore, m’inginocchio e t’offro la mia parola su un’ala. Sto provando in tutti i modi di rientrare nel tuo schema delle cose».

In Sunday c’è un battersi corpo a corpo con Dio. Bowie va alla deriva mentre cerca una luce e invoca il Signore di domenica, giorno di festa in cui bisognerebbe risorgere anziché morire. Il passaggio necessario dalla passione e morte non è accettato. Quella morte del desiderio che si legge tra le righe della lettera della studentessa di liceo. La domenica e Dio sono presenti nel testo di Julie in cui ci sono nuvole scure in cielo e un amore non corrisposto. Il senso di colpa lo insegue in Can’t Help Thinking About Me lì dove emerge la nostalgia delle domeniche in cui si andava in chiesa e di quel giorno in cui ogni paura cessava: «Ricordi quando andavamo in chiesa la domenica? Stavo sveglio tutta la notte, terrorizzato dal pensiero della scuola al lunedì. Vorrei essere bambino di nuovo e sentirmi sicuro». The Pretty Things Are Going To Hell diventa motivo per interrogarsi su cosa sia eterno e cosa invece dannato. Chi scoprire, a chi credere e a chi dare ascolto in un giorno di domenica? Forse è questa l’esperienza dei giovani di oggi, ragazzi a volte smarriti ma bramosi di verità. Non muore la speranza di trovare l’amore di domenica in Rubber Band, quella stessa passione che nasce alla domenica in Love You Till Tuesday.

Secondo David Bowie, si nasce o si muore nel giorno di domenica. Chissà in che modo la studentessa e i suoi compagni vivranno le prossime domeniche… sapranno abitare questa nuova realtà o diventeranno paranoici? Avranno famiglie in grado di farli sentire amati? Ci saranno comunità cristiane capaci di soddisfare quella fame di felicità?

Mi viene in soccorso un’altra canzone di David Bowie, A Better Future. Annoto alcuni versi nella risposta alla giovane liceale. Una preghiera addolorata di Bowie al Signore per un domani migliore: «Per favore (Dio) non fare a pezzi questo mondo. Per favore riprendi questa paura che ci attanaglia. Chiedo un futuro migliore o potrei smettere di volerti. Ti prego assicurati che avremo un domani. Tutta questa pena e questo dolore, pretendo un futuro migliore. O potrei smettere di aver bisogno di te». Brano messo in coda alla playlist e inviata come preghiera contro lo spavento che paralizza, insieme ad alcuni versi del salmo 72: «Egli libererà il povero che grida e il misero che non trova aiuto, avrà pietà del debole e del povero e salverà la vita dei suoi miseri». Perché tutto si risolverà a nostro vantaggio.

di Massimo Granieri