Raccolti in un volume testi di don Giussani dei primi anni ’90

Con gli occhi di Marcellino

Pablito Calvo in «Marcellino pane e vino» di Ladislao Vajda (1955)
02 luglio 2020

Una voce inconfondibile. E non solo per il registro sonoro. Quando ormai sono trascorsi quindici anni abbondanti dalla morte di don Giussani l’eco della sua voce resta certamente non convenzionale. Una voce che conserva idealmente integra tutta la sua attualità. Forza trascinante, acutezza di giudizio, ragionamenti mai banali e spesso e volentieri anche spiazzanti ma sempre dispiegati, e questo è il dato essenziale, all’ombra della semplicità della tradizione cristiana. A restituirci una porzione, piccola ma non trascurabile, della freschezza degli insegnamenti – se è lecito chiamarli così – di questo prete, che per più di una generazione è stato (e giocoforza continua a essere) maestro e testimone della fede, è adesso il libro Un avvenimento nella vita dell’uomo (Mondadori - Bur, Milano, 2020, pagine 304, euro 14) curato da don Julián Carrón, il sacerdote spagnolo che ne ha raccolto l’eredità alla guida di Comunione e liberazione.

Un volume che già dal titolo suggerisce una delle impronte fondamentali per don Giussani: la fede, la novità della fede cristiana concepita non come pensiero, sentimento, regole, dottrina ma in primo luogo come “avvenimento”. E “avvenimento” totalizzante. Perché, come amava spesso ripetere prendendo in prestito le parole di Romano Guardini, «nell’esperienza di un grande amore tutto ciò che accade diventa un avvenimento nel suo ambito». Concetto essenziale che suggerisce anche un passaggio di un testo fondamentale di Papa Francesco, in cui emerge con esplicita chiarezza tutta la continuità con il magistero del predecessore: «Non mi stancherò di ripetere quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento,  con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva”» (Evangelii gaudium, 7).

Dunque, ecco su cosa si basa la scelta cristiana: un fatto sperimentabile e imprevedibile, seppure inconsapevolmente atteso, che arriva, tocca il cuore e spariglia le carte dell’esistenza umana. Anche della persona apparentemente più distante da ogni di “discorso” di fede. Non una novità, o una invenzione di Giussani, ovviamente. Ma Giussani, nel contesto ecclesiale della seconda metà del Novecento, è forse tra i pochi a sottolinearlo con lucida insistenza e, soprattutto, a trarne delle conseguenze dal punto di vista pastorale.

E di carte Giussani nel corso del suo ministero ne ha sparigliate veramente tante. A livello ecclesiale, e non solo. E tuttavia, conservando sempre con i superiori rapporti improntati ad un sentimento di leale e filiale obbedienza. Il libro in questione lo “sorprende” in azione all’inizio degli anni Novanta. Anni in cui, sia ricordato per inciso, la figura esile di questo prete dalla voce roca, non fu certo irrilevante. Sono gli anni della prima guerra del Golfo, con le sue catastrofiche conseguenze anche per i nostri giorni, gli anni della fine dell’impero sovietico, di Bill Clinton alla Casa Bianca, del Trattato di Maastricht in Europa, dell’inchiesta mani pulite in Italia. E sulle sponde cielline sono anche gli anni ruggenti di due riviste, “Il Sabato” e “30Giorni”, che certo non si nascondono nel dibattito pubblico, giornali che Giussani esplicitamente invita a leggere e a sostenere.

E, ancora, il 7 dicembre 1990 Giovanni Paolo II aveva promulgato uno dei documenti ingiustamente oggi tra i meno ricordati, l’enciclica Redemptoris missio, dedicata alla «missione di Cristo redentore, affidata alla Chiesa». Essa, considerata «la magna charta del cristianesimo del terzo millennio», fu scelta in quei mesi come tema delle meditazioni degli esercizi spirituali ciellini. Proprio i testi – lezioni, dialoghi, omelie - di questi esercizi, che ogni anno in primavera per tre giorni radunano a Rimini migliaia di aderenti alla Fraternità di Cl, costituiscono l’ossatura del libro. Ed ogni incontro, dal 1991 al 1993, viene introdotto da una sintetica e opportuna cornice storica che ne rinfresca il contesto. Anche perché, come amava ripetere spesso Giussani, proprio le circostanze sono normalmente la modalità con cui il Mistero si presenta e urge alla libertà dell’uomo. In proposito è interessante rileggere oggi alcuni giudizi di Giussani, di solito fuori dal coro. Come quello relativo all’inchiesta mani pulite, in un clima, è bene ricordarlo, di impressionante furore giustizialista, con tanto di tintinnare di manette e quotidiano bollettino di suicidi più o meno eccellenti. Ed è al pari tempo interessante immergersi di nuovo nel clima di polemiche, forse talvolta finite sopra le righe, sull’attualità di due antiche eresie, pelagianesimo e gnosticismo, che ancora oggi, come bene ha più volte messo in luce Papa Francesco, rappresentano una allarmante riduzione e un tradimento del messaggio cristiano.

E tuttavia quelle di Giussani non sono certo le parole di un fustigatore. Di fronte a un relativismo che scivola quasi inarrestabile verso un nichilismo paralizzante non ci sono espressioni velenose di condanna, di astio o di lamento. Viene qui in soccorso una pagina tratta da Véronique di Charles Péguy, uno tra gli autori preferiti dal prete lombardo. Scritto che proprio in quegli anni fu scelto anche come testo per un Volantone: «C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani. Ma Gesù venne. Egli non perse i suoi anni a gemere e interpellare la cattiveria dei tempi. Egli taglia corto. In un modo molto semplice. Facendo il cristianesimo. Egli non si mise a incriminare, ad accusare qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo. Egli salvò il mondo».

È la semplicità disarmante del fatto cristiano. Osserva don Carrón: «Sorprende vedere ancora una volta come Giussani avesse colto in anticipo sui tempi il dramma della nostra epoca. La sua capacità di intercettare il punto in cui ognuno di noi si incaglia gli ha consentito di affrontare la sfida in prima persona».

Giussani usa spesso delle immagini per corroborare il suo ragionamento. E per sottolineare una delle insidie più ricorrenti, allora come oggi, per la vita cristiana – quella cioè di concepire la fede come un “museo dei ricordi”, un fatto del passato che non riguarda il presente, che non accade ora – ricorre più volte a quella del bambino. Il bambino che non si accontenta di essere stato “già” preso in braccio, nel passato, anche solo un momento fa. Il bambino che insomma reclama di essere abbracciato dalla madre “adesso”. «Il bambino — dice Giussani — è un’affermazione amorosa della madre che nell’istante è presente». E suggerisce di guardare la realtà con gli occhi pieni di stupore di Marcellino, il giovane protagonista (Pablito Calvo) di un film che fece epoca negli anni Cinquanta (Marcellino pane e vino, di Ladislao Vajda). «Nell’istante dobbiamo essere disponibili, cioè abbandonati come un bambino tra le braccia della madre, come poveri che non hanno nulla da difendere di fronte a ciò che il destino fa accadere, con gli occhi di Marcellino». Un suggerimento che sembra scritto oggi.

di Fabrizio Contessa