La badessa Maria Grazia Girolimetto parla del tempo della pandemia visto dal monastero «Mater Ecclesiae» sull’isola di San Giulio

Come vigili sentinelle nella notte dell’umanità

L’isola di San Giulio sul lago d’Orta
27 luglio 2020

La clausura vissuta ai tempi del covid-19? I monasteri sono come le sentinelle per parafrasare l’immagine del profeta Ezechiele. Ce ne parla l’abbadessa Maria Grazia Girolimetto, del monastero benedettino «Mater Ecclesiae», situato sull’isola di San Giulio, al centro del lago d’Orta in Piemonte, e fondato nel 1973 da madre Anna Maria Cànopi (1931-2019).

Madre, degli aspetti negativi siamo stati inondati da ogni latitudine. Quali invece gli aspetti positivi emersi in questi mesi di confinamento e restrizioni dal punto di vista del monastero?

«Dio è per noi rifugio e forza, aiuto sempre vicino nelle angosce… Fermatevi e sappiate che io sono Dio, eccelso tra le genti, eccelso sulla terra» (Salmi, 46, 2, 11). Mi sembra che questi versetti del Salmo 46 ci aiutino a tratteggiare il clima in cui abbiamo vissuto i mesi di più intensa “clausura”. Da una parte la percezione di una grande angoscia e dall’altra la certezza che Dio è per noi rifugio e forza, dove il “noi” abbraccia tutta l’umanità. È stato un tempo di speciale grazia. L’impotenza a soccorrere materialmente le sofferenze di tanti nostri fratelli ci ha richiamato ancor più alla responsabilità della nostra vocazione: vigili sentinelle che scrutano la notte dell’umanità. La nostra vita è sempre offerta a Dio per tutti, ma ci sono momenti che ci richiamano l’evidenza della parola di Gesù nel Vangelo di Giovanni: «senza di me non potete fare nulla» (Giovanni, 15, 5).

Un incoraggiamento e la speranza a riprendere strade antiche ma sempre nuove?

Sì: il forte richiamo al valore della nostra vita ci ha incoraggiato ad approfondire l’intensità della preghiera, dell’ascolto della Parola di Dio, dell’impegno di conversione personale per vivere il Vangelo e la comunione cui siamo chiamate in una vita cenobitica.

Gli uomini e le donne di questo tempo forse come non mai sono stati accomunati dal timore di essere soli nella difficoltà. In realtà si tratta del richiamo del salmista «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»

Direi che l’esperienza che abbiamo vissuto e in parte stiamo ancora vivendo ha posto forse per la prima volta gli uomini e le donne del nostro tempo di fronte ad una difficoltà — non solo ipotetica ma reale — che non si è stati in grado di gestire con le sole forze umane. Qualcosa ci ha improvvisamente costretti a destarci da una sorta di delirio di onnipotenza che ci faceva credere che tutto ci fosse sempre e comunque possibile. Mi sembra però che dal profondo del cuore sia nato non tanto il grido di chi si sente abbandonato da Dio, quanto piuttosto il desiderio di ritrovare la strada dell’invocazione e della preghiera, come ha indicato magistralmente Papa Francesco nella piazza San Pietro deserta.

Quindi la nota frase “andrà tutto bene” in realtà non era esauriente, sarebbe stato più opportuno rifarsi alla giaculatoria del beato Antonio Rosmini: «Mio Dio! Fa’ andare tutto bene». Anche qui è prevalsa la logica del mondo?

La frase “andrà tutto bene” in effetti non era esauriente. Il credente può e deve trasformarla in preghiera, come suggeriva il Rosmini. Perché non sia riduttiva, bisogna pronunciare l’espressione “andrà tutto bene” con la fede dei santi, che credevano profondamente nell’affermazione dell’apostolo Paolo: «Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Romani, 8, 28).

La clausura è certamente una scelta libera per rispondere alla chiamata di Dio. Nel mondo milioni di persone hanno in un certo senso risposto a una chiamata rimanendo a casa o comunque in luoghi ben circoscritti. Anche questa è una chiamata per il bene di tutti? Cioè il mondo intero è stato un grande monastero?

Non è sufficiente rimanere in un luogo circoscritto per farne un monastero. Sono state molte le persone che — costrette a restare in casa — hanno scoperto da una parte il sacrificio che tale scelta comporta, ma anche il dono che può rappresentare questo “rimanere” se diventa una scelta preferenziale operata in vista del radicarsi nell’Amore per Dio e per il prossimo.

Spesso in questo periodo si è parlato dei benefici del silenzio. Voi esperite questo sostantivo sublimandolo. Il veloce e frettoloso mondo delle città sta riscoprendo valori autentici?

L’essere stati tutti costretti a fermarsi ha generato anche un grande silenzio che ha suscitato in molti la nostalgia o la scoperta di una dimensione più profonda di ascolto, indispensabile per coltivare una vita interiore. Un altro valore che molti hanno potuto gustare nuovamente è stato quello dei rapporti familiari e fraterni, vissuti in questo tempo con maggiore intensità, anche se l’accogliersi reciprocamente è sempre una sfida.

Il vostro monastero si distingue tra le altre virtù per avere dei laboratori di restauro di tessuti antichi. Dopo aver restaurato gli abiti di sant’Ambrogio avete intrapreso il restauro di quelli di san Giovanni Bosco. Come proseguono i lavori?

Attualmente le sorelle sono ancora alle prese con la confezione del manto della Madonna di Oropa, composto da migliaia di piccole tessere ricavate da indumenti che tante persone hanno voluto offrire alla Vergine come pegno e segno della sua protezione. Da poco avevano consegnato un restauro riguardante il padre comboniano Giuseppe Ambrosoli, missionario e medico, che verrà beatificato in settembre.

Il fatto che il campanello della portineria a un certo punto abbia smesso di squillare. Tutto questo vi è sembrato strano?

Ci è sembrato più che strano doloroso vedere la parte della Cappella riservata agli ospiti sempre deserta. Sono però aumentate moltissimo le comunicazioni telefoniche o via e-mail da parte di persone spesso in condizioni drammatiche che ci chiedevano e ci chiedono ancora il sostegno della preghiera. Da parte nostra abbiamo inviato periodicamente notizie ai nostri oblati e ai parenti e agli amici del monastero per dire che pur continuando la nostra vita di preghiera e di lavoro eravamo particolarmente unite a loro e a tutti coloro che soffrivano.

I lettori de «L’Osservatore Romano» e non solo si nutrono anche del silenzio che diventa preghiera e vita. Ora gradualmente e nel continuo rispetto delle norme previste dal governo italiano sarà possibile ritornare a visitare l’abbazia?

Sì, la condivisione della preghiera sarà senz’altro nuovamente possibile con la dovuta prudenza e il rispetto delle disposizioni previste.

Tra le persone comuni cresce ogni giorno di più diremmo la “devozione” verso l’amatissima abbadessa Anna Maria Cànopi. E a voi che incoraggiamento continua a dare madre Cànopi?

Sono proprio le testimonianze di quanto la madre Anna Maria Cànopi è stata e continua ad essere vicino alla gente comune che ci fanno toccare con mano la fecondità della sua vita di silenzio e di preghiera nascosta con Cristo in Dio. Questo è un grande incoraggiamento perché ne seguiamo fedelmente le orme per il bene della Chiesa e di tutti i fratelli in umanità soprattutto nei giorni della prova.

di Roberto Cutaia