Al vertice Ilo l’allarme dei Paesi latinoamericani sugli effetti devastanti sul mercato del lavoro

Brasile e Messico ancora in balìa del covid-19

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09 luglio 2020

Il Brasile, secondo il bilancio giornaliero del ministero della Salute, ha aggiunto 1.223 nuove morti nelle 24 ore comprese tra la sera di martedì e quella di mercoledì. Il dato complessivo delle vittime è arrivato a quasi 68.000, mentre altri 4.105 decessi sono sotto inchiesta. Il numero di nuove infezioni è tornato prepotentemente sopra le 40.000 unità, portando il dato complessivo sopra 1,7 milioni di contagi.

C’è un elemento tra i tanti dati relativi alla diffusione del covid-19 nel Paese che incoraggia all’ottimismo: oltre un milione di persone si sono riprese dalla malattia.

Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro, che martedì ha affermato di essere risultato positivo al covid-19, ha dichiarato ieri che nessun paese al mondo ha conservato vita e lavoro come il Brasile, senza diffondere il panico di fronte alla pandemia di coronavirus. Dal suo isolamento al palazzo Alvorada di Brasília, Bolsonaro ha mantenuto la sua agenda attraverso videoconferenze con alcuni ministri del suo governo, e sul suo account Twitter, ha assicurato che «la lotta contro il virus non potrebbe avere un effetto collaterale peggiore del virus stesso», insistendo sulla sua critica delle misure di distanziamento sociale imposto dai governi regionali.

Il Messico, ieri ha fatto registrare un record giornaliero di quasi 7.000 nuovi casi positivi, 6.995 per l’esattezza. Secondo le autorità sanitarie messicane il Paese ha accumulato 275.003 infetti dall’inizio della pandemia. Nei primi giorni di luglio spesso il Paese è andato sopra quota 6.000 contagi. Hugo López-Gatell, sottosegretario alla prevenzione e promozione della salute, ha comunque assicurato che il panorama nazionale mostra che l’epidemia nel Paese continua a rallentare, sebbene ovviamente sia ancora attiva. «L’aumento del numero di casi non significa che l’epidemia stia accelerando. Una cosa è che il virus continua nella fase di crescita e un’altra è che la velocità con cui questo aumento si verifica è sempre più lenta», ha affermato López-Gatell.

Intanto i presidenti di Ecuador, Cuba, Colombia, Panama, Guatemala e Uruguay hanno partecipato questo mercoledì a un vertice virtuale dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) dove hanno ammesso gli effetti devastanti della pandemia sul mercato del lavoro dell’intera regione latinoamericana, proponendo soluzioni per contrastarli.

Durante il vertice, organizzato dall’Oil per discutere il futuro del mercato del lavoro mondiale dopo la pandemia di covid-19, il presidente uruguaiano Luis Lacalle ha sottolineato come sia necessario che «la comunità internazionale, per il proprio bene, non ricada nel protezionismo», promuovendo anzi nuove forme di lavoro. Più di cinquanta capi di Stato e di governo di tutto il mondo hanno partecipato al vertice in modo virtuale, al fine di proporre soluzioni al forte impatto della pandemia sul mercato del lavoro, che per l’Oil ha causato la perdita di ore equivalente a 400 milioni di posti di lavoro. «Nessun paese può risolvere questa crisi da solo, ci siamo dentro insieme, e soluzioni multilaterali energiche ed efficaci sono più importanti che mai», ha sottolineato il segretario generale dell’Onu, António Guterres, presente al summit.

Il presidente dell’Ecuador, Lenín Moreno, ha chiesto un mondo più solidale, più umano e meno egoista, invocando unità per affrontare gli effetti sul mondo del lavoro portati dal covid-19. Secondo Moreno la pandemia impone nuovi scenari sociali, economici e lavorativi, i cui effetti «richiedono un’azione urgente, creatività e solidarietà, ma pensando sempre prima di tutto a proteggere il più debole». «Siamo di fronte a un disastro globale e la risposta deve essere, allo stesso livello, globale. Sfortunatamente, le ripercussioni hanno colpito duramente i paesi con piccole economie come l’Ecuador», ha aggiunto nel messaggio inviato al vertice.

Il capo di Stato colombiano, Iván Duque, ha aggiunto che la pandemia comportato una crisi socio-economica «che non discrimina tra grandi e piccoli paesi, ci colpisce tutti» e deve essere affrontata «senza populismo o demagogia».