Straordinariamente moderna la figura di Pauline Marie Jaricot

Apostola della missione

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22 luglio 2020

I social media, ai suoi tempi, erano di là da venire. Ma Pauline Jaricot, diciassettenne di Lione, aveva già ben chiara in mente la dimensione capillare e ontologicamente universale di una comunità come quella dei credenti in Cristo. Non tanto per la rigida strutturazione o per il suo potenziale finanziario. Piuttosto perché, nel suo cuore, la giovane aveva maturato la consapevolezza che la preghiera è una forza trascendente che smuove le montagne e la carità è un linguaggio globale, capace di arrivare a ogni uomo e a ogni donna, in ogni angolo del pianeta. Questa giovane donna è oggi un modello per la Chiesa del XXI secolo: il 26 maggio scorso Papa Francesco ha autorizzato la pubblicazione del decreto che riconosce il miracolo attribuito all’intercessione della venerabile serva di Dio Pauline Marie Jaricot (1799-1862), aprendo così la strada per la sua beatificazione.

Pauline nasce a Lione, il 22 luglio 1799, in una famiglia di ricchi industriali, profondamente legata alla Chiesa cattolica. La sua vita scorre nel cuore della città, tra le parrocchie di Saint Nizier e Saint Polycarpe. Trascorre un’infanzia felice, caratterizzata dall’affetto dei suoi e dalla profonda fede dei suoi genitori, dei fratelli e delle sorelle maggiori. Le visite al Santissimo Sacramento e l’assidua frequentazione dell’Eucaristia le permettono di coltivare l’intimità con Dio. Nell’adolescenza, attratta dai piaceri, da mondanità e lusso si allontana da Dio, ma il Signore ha in mente grandi cose per lei e tocca nuovamente il suo cuore: un sermone sulla vanità, a commento di un brano dell’Ecclesiaste, la sconvolge e genera una nuova, abbagliante conversione interiore. Siamo nel 1816. Pauline ha 17 anni e decide di dedicare la sua vita al Signore. La grazia di Dio inonda il suo cuore, illumina la sua mente e cambia per sempre la sua vita. Pauline consacra la sua vita a Dio, pur restando laica, con un solenne voto nella cappella della basilica di Notre-Dame de Fourvière a Lione.

Nel suo cammino di approfondimento della Parola di Dio comprende — antesignana di Teresina di Lisieux — che «l’amore è tutto, che abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi». E trova la sua vocazione cristiana (essenzialmente una vocazione di presenza e comunicazione di amore) nel “fare rete”, si direbbe oggi, promuovendo iniziative che uniscono i credenti nella preghiera, sperimentandone la forza trasformatrice, e che, nel contempo, aprono i cuori dei fedeli ad alleviare le miserie e le sofferenze di persone vicine e, soprattutto, lontane migliaia di chilometri, che vivono «agli estremi confini delle terra». Da questa intuizione nasceranno le Pontificie opere missionarie, organismi che tutt’oggi coniugano la dimensione universale della preghiera e della carità missionaria, operando, a servizio del Papa, per la crescita delle giovani Chiese.

Pauline Jaricot è animata da un eccezionale ardore e carisma missionario, che la porterà a dare vita al movimento del Rosario vivente e poi al Consiglio della propagazione della fede. Trae la sua linfa vitale dalla preghiera e dall’Eucaristia, per intraprendere molteplici azioni caritatevoli e universali. Donna d’azione, si spende instancabilmente per l’apostolato, attivando audaci iniziative per il servizio di evangelizzazione e per una maggiore giustizia sociale. Fra il 1819 e il 1820, con alcuni amici, tra operai o parenti, uniti da un medesimo spirito di carità missionaria, immagina una raccolta di offerte porta a porta che verrà chiamata “il penny di Pauline”, che possa servire ai missionari che vivono da pionieri dell’annuncio del Vangelo in terre lontane. L’intuizione è semplice e al tempo stesso straordinaria e la si può riassumere nell’espressione “il poco di molti”, ispirata all’obolo della vedova del Vangelo, ma oggi utilizzata, per il suo effetto moltiplicatore, nelle moderne strategie di vendita dalle grandi multinazionali d’oltre oceano. Il meccanismo “a piramide” è facile ed efficace: ogni persona crea un gruppo di dieci persone e ciascuna di queste, a sua volta, formerà un altro gruppo di dieci, e così via.

Questo lavoro, perfino scientifico, di raccolta fondi è messo a servizio della missio ad gentes, nella piena consapevolezza che ogni battezzato è un discepolo e missionario ed è chiamato, nel suo hic et nunc, a partecipare, per quanto è nelle sue possibilità, al sostentamento di piccole comunità cristiane all’altro capo del mondo.

Jaricot offre così il suo peculiare e cruciale contributo alla sensibilità e all’attività missionaria della Chiesa, ripresa agli inizi dell’Ottocento grazie all’opera di pontefici come Pio VII, Gregorio XVI e Pio IX: grazie alla giovane donna di Lione, quella sensibilità missionaria viene estesa e condivisa a tutto il popolo di Dio, con l’idea che tutti i battezzati — e non solo i religiosi che partivano per terre lontane — fossero autentici protagonisti della missione.

Data la sua semplicità ed efficienza, il sistema inventato dalla Jaricot si diffonderà rapidamente in Europa e in altre nazioni e, istituzionalizzato, diventerà l’Associazione della propagazione della fede, creata ufficialmente il 3 maggio 1822. Pauline ha ben chiaro, però, il pericolo che quel meccanismo possa inaridirsi e assumere un volto puramente finanziario; per questo, nel 1826, in risposta ai bisogni spirituali che vede come essenziali nel suo tempo, crea la catena del Rosario vivente, rimettendo costantemente le sue intuizioni spirituali, rivolte al servizio apostolico, nelle mani della Vergine Maria, regina delle missioni. Adottando un processo analogo a quello usato per la Propagazione della fede, crea e coinvolge tanti gruppi di quindici persone che si impegnano alla recita quotidiana del rosario. Viene definito “vivente” perché ogni persona rappresenta un mistero, ma soprattutto perché chi recita e medita il mistero cerca di vivere e praticare ciò che prega.

L’iniziativa riscuote il medesimo successo e si diffonde rapidamente: alla sua morte, solo in Francia si conteranno circa 2.250.000 fedeli coinvolti nella catena di preghiera mariana. Quella intuizione è andata ben oltre il tempo della vita terrena di Pauline ed è tutt’ora in voga in migliaia di comunità, ai giorni nostri.

Animata dalla stessa passione di Cristo per la salvezza dell’umanità, Pauline Jaricot dà vita a sempre nuovi progetti e, nel 1845, intende attuare un piano di evangelizzazione per la classe operaia del suo paese. La donna ha già ben chiara la differenza tra “massa” e “popolo di Dio”, tra “individuo” e “persona”. Parla di «una piaga sociale che affligge la Francia», quella di tanti uomini e donne divenuti anonima “classe operaia”, «un agglomerato di gente» in cui non vengono riconosciuti nella loro preziosità e unicità di figli e figlie di Dio. Per questo, anticipando esperimenti di imprenditori cristiani che prenderanno vita in Francia (come quello di Léon Harmel) e, nel secolo successivo, in altre nazioni europee, compra una fabbrica per renderla «modello di spirito cristiano». Promuovendo la cooperazione, la collaborazione e la comunione spirituale tra gli operai, in un edificio accanto al luogo di lavoro ospita le loro famiglie, restituendo umanità e relazionalità all’opera di ogni lavoratore. Non basta: vicino fa organizzare una scuola per l’istruzione dei bambini e una cappella per coltivare la fede e la spiritualità, che non sono scisse ma parte integrante dell’attività umana.

La visione è lungimirante ma l’esperimento non riesce: le persone alle quali Pauline affida la gestione dell’intera iniziativa tradiscono la sua fiducia e il dio denaro finisce per corrompere e inghiottire quel sogno a cui lei aveva dedicato l’ultima parte della sua vita.

Dilapidato il patrimonio che aveva investito in quell’iniziativa, Jaricot trascorrerà il resto dei suoi giorni in estrema povertà, perfino soverchiata dai debiti. Sarà questa la sua lunga via crucis, la sofferenza che l’accompagnerà fino alla morte. Nel 1861, la malattia cardiaca che l’affligge peggiora. Pauline sente avvicinarsi il momento del trapasso e compie un ultimo atto di affidamento a Dio e di perdono verso quanti l’avevano portata alla rovina. Così si definisce: «Una povera donna che ha Dio solo per amico, Dio solo come sostegno: ma Dio solo e basta». Il 9 gennaio 1862, Pauline muore nella sua casa di Lorette a Lione. Leone XIII di lei dirà: «Con la sua fede, la sua forza d’animo, la sua dolcezza e la serena accettazione di tutte le croci, Paolina si mostrò vera discepola di Cristo». Con l’intima unione a Dio, rimarcano oggi le Pontificie opere missionarie in Francia, Pauline Jaricot «ha alimentato la sua energia per il servizio di evangelizzazione. Oggi ci insegna che l’azione missionaria ha la sua sorgente nella contemplazione, nell’eucaristia, nella profonda unione con Cristo».

La sua eredità è oggi ben radicata nella Chiesa universale: l’Associazione della propagazione della fede da lei fondata sarà elevata al rango di “Pontificia opera” nel 1922. Oggi è la prima delle Pontificie opere missionarie, presenti in oltre centoquaranta paesi in tutto il mondo, e contribuisce alla vita delle diocesi più bisognose a livello pastorale, finanziando ogni anno più di cinquemila progetti di cooperazione missionaria.

La causa di beatificazione di Pauline Marie Jaricot appartiene a quelle più datate, per le quali si possono utilizzare solo prove scritte. Gli archivi pontifici attestano che la causa di Pauline Jaricot è cominciata a Lione ed è entrata poi nella sua fase romana, approvata da Papa Pio X, il 18 giugno 1930. Nel 1963 Giovanni XXIII conferma l’eroicità delle virtù di Pauline. Da allora si attendeva il miracolo avvenuto per intercessione della donna. Nel maggio 2012 la grazia di Dio scioglie l’ultimo nodo. All’età di 3 anni e mezzo, la piccola Mayline Tran, di Lione, è vittima di soffocamento: un boccone le va di traverso ostruendo la trachea. Il suo cuore si ferma. All’arrivo dei soccorsi, il massaggio cardiaco non dà esito positivo e i dottori parlano di «stato neurologico irreversibile e decesso imminente». La situazione è disperata. Nel frattempo la persona responsabile del Rosario vivente a Lione organizza, con il sostegno del cardinale arcivescovo Philippe Barbarin, una novena di preghiera, chiedendo l’intercessione della venerabile Pauline Jaricot. Date le condizioni disperate della bimba, i medici volevano interrompere le cure e l’alimentazione. Inaspettatamente, però, Mayline comincia a migliorare. All’ospedale di Nizza, dove viene trasferita, i medici dicono che le sue condizioni cerebrali le avrebbero permesso solo una vita vegetativa. Tuttavia, dopo alcune settimane, la bambina riprende definitivamente conoscenza e ora è viva e in buona salute.

La guarigione viene sottoposta al Tribunale ecclesiastico dell’arcidiocesi di Lione, che invia le sue conclusioni alla Congregazione delle cause dei santi. La commissione medica convalida la natura inspiegabile della guarigione e nel maggio scorso la pubblicazione del decreto che riconosce il miracolo apre la strada alla beatificazione.

Già nominata Patrona delle missioni da Papa Francesco nell’ottobre 2019, durante il Mese missionario straordinario, Pauline Jaricot ha ora un sito web a lei dedicato (http://paulinejaricot.opm-france.org/) promosso dalle Pontificie opere missionarie in Francia, per offrire a tutti l’opportunità di incontrare «l’ardente spiritualità di questa donna» e il carattere moderno e stimolante di una eccezionale figura di laica, che si è spesa, con creatività e fantasia apostolica, per l’evangelizzazione.

di Paolo Affatato