Storie di «traduzioni» di capolavori

Alla scoperta del mondo delle Sistine virtuali

Una scena di «Giudizio Universale. Michelangelo and the secrets of the Sistine Chapel» di Marco Balich
14 luglio 2020

Anticipiamo l’introduzione al volume in uscita «Sistina e Cenacolo. Traduzione, citazioni e diffusione» a cura di Tommaso Casini (Artemide Edizioni, 2020).

Nel 1883 Papa Leone XIII Pecci commissionò al pittore romano Domenico Torti un dipinto raffigurante l’Allegoria delle Arti quale ornamento delle volte della Galleria dei Candelabri nei Musei Vaticani. Negli anni della “questione romana” il Pontefice si dedicava ai suoi Musei e alla divulgazione della devozione cristiana attraverso le diverse forme di espressioni artistica.

Torti realizzò infatti un’allegoria figurata dove la Fede benedice, sovrintende e protegge le diverse Arti che le rendono devotamente omaggio. Pittura, scultura, architettura, considerate le arti “maggiori” -ma anche gli altri modi di esprimere l’Invisibile: l’arte tessile, quella dell’intaglio e quella fotografica, rappresentata con la prima raffigurazione della macchina fotografica, nel modello Daguerre-Giroux del 1839.

Non è un caso che a pochi anni dalla sua invenzione e grazie ad un Pontefice come Leone XIII che è il primo del quale abbiamo una ripresa filmata del 1898 nella quale fa atto di benedizione da una carrozza in movimento nei Giardini Vaticani il pittore abbia voluto immortalare fra le diverse Arti anche quella fotografica.

Queste testimonianze sono i segnali del forte interesse che il papato ha sempre riservato alla divulgazione artistica nelle sue forme più diverse, in special modo a quelle che “traducevano” icone ed emblemi universali dell’Arte e della Fede, preziosi strumenti di evangelizzazione.

Ma sono anche indizi che mostrano l’attenzione pontificia all’innovazione e all’impiego di mezzi espressivi sempre all’avanguardia; dall’utilizzo della stampa di traduzione, sviluppatasi nella Roma rinascimentale di Raffaello Sanzio, che portò poi alla formazione della Calcografia Camerale, alle campagne fotografiche di metà e fine Ottocento, alla Radio Vaticana sotto Pio XI negli anni Trenta del Novecento, fino anche l’interesse verso la “settima arte”, sfociato poi nella creazione della Filmoteca Vaticana e del Centro Televisivo Vaticano.

La letteratura scientifica e divulgativa sulla Cappella Sistina è così ampia da non riuscire ad essere codificata ma mi piace segnalare un volume di prossima uscita, Sistina e Cenacolo. Traduzione, citazioni e diffusione curato con sensibilità e intelligenza da Tommaso Casini, che analizza attraverso i diversi contributi esattamente l’attenzione, le sfaccettature e le implicazioni e declinazioni di quel fenomeno che ha visto generazioni di artisti e professionisti, dotati di una specifica sensibilità verso il Bello, il Sublime e l’Eterno, riprodurre e contribuire alla divulgazione, alla conoscenza di questi due incredibili topoi della creatività.

Icone universali dell’Arte e della Fede come la Cappella Sistina ed il Cenacolo non potevano che essere al centro dell’attenzione dei nuovi mezzi di divulgazione visiva e soprattutto esserlo a livello globale, nel mondo intero, dalle immagini fotografiche ai film, ai docufilms, ai criptofilms, ai tableaux vivants, ai remakes, ai reenactments, ai virtual tours, ai videoclips e ai socialnetworks. Un insieme di saggi che scannerizza molto bene lo stato dell’arte fino ai nostri giorni rendendo il giusto omaggio ad una figura chiave di questa analisi che è stato Leo Steimberg.

Ero appena arrivata ai Musei Vaticani in qualità di vice-direttore quando il 9 giugno del 2016 venne organizzato, per volontà di Antonio Paolucci, il convegno «Tradurre la Sistina: dalla fotografia all’immagine in movimento», curato da Tommaso Casini, Nino Criscenti e Paola Di Giammaria. Ho avuto quindi modo di ascoltare, fra i tanti, gli interventi di quest’ultima e il suo racconto per immagini della Cappella Magna pontificia attraverso le fotografie del cospicuo Fondo Moscioni (oltre 15.000 lastre) e delle altre preziose raccolte della Fototeca dei Musei Vaticani; l’interessante analisi di Maria Francesca Bonetti sull’immagine della Sistina nell’editoria scientifica e divulgativa, la presentazione di Nino Criscenti della sua “trilogia” incentrata a quel luogo universale; ma sentire anche l’acuto rapporto di Lucina Vattuone sull’impatto mediatico di quel luogo, e la raffinata e documentata testimonianza di Rosanna Di Pinto che riportava i quasi 40 anni di riprese e filmati, un incredibile censimento di decine di testimonianze videofilmate che hanno documentato il “restauro del secolo”, condotto dai Musei Vaticani fra il 1980 e il 1994 nella Cappella Sistina e che in questo volume è completato dalla splendida “confessione” di Gianluigi Colalucci nel raccontare quegli anni fantastici, esaltanti e problematici.

Alla direzione dei Musei di quel periodo meraviglioso spettò il merito non solo di aver avuto il coraggio di affrontare il restauro ma anche, grazie al consiglio del lungimirante consulente Pasquale Rotondi, l’idea di filmarlo. Filmarlo per immortalare le delicate fasi della pulitura ma anche lo storico passaggio della diversa percezione dell’opera.

Per secoli si veniva a visitare il Vaticano per le antichità classiche e per il sublime e delicato Raffaello delle Stanze e delle Logge, Michelangelo era meravigliosamente oscuro e “velato” nella sua essenza e quindi meno direttamente recepibile nella sua potenza ed universalità. Il restauro della Sistina ha radicalmente mutato la percezione di quel luogo sacro ed oggi non c’è visitatore che entri nei Musei Vaticani che non voglia visitare la Cappella Sistina.

Ma questi quasi quattro anni nei Musei del Papa hanno permesso di farmi avvicinare anche alla Cappella Sistina “messicana”, realizzata con la nostra collaborazione da due geniali ed dinamici imprenditori: Gabriele ed Antonio Berumen che sono riusciti con questo incredibile reenactment, fisico ed immersivo, a far godere quel luogo universale dell’Arte e della Fede a oltre 4 milioni di persone; visitatori e fedeli delle periferie messicane che non avrebbero mai avuto la possibilità di viaggiare in Vaticano per poter godere dell’originale.

È stato anche il periodo nel quale si perfezionava il rapporto con Marco Balich per il suo Giudizio Universale. Michelangelo and the Secrets of the Sistine Chapel uno spettacolo, un musical, che non voleva essere un sostituto alla visita del luogo ma un artainment — così come con un neologismo è stato definito — un modo diverso di avvicinamento ad un’icona dell’arte, della fede ma anche dell’immaginario collettivo.

Mi piace ricordare anche il progetto «In piena luce. Nove fotografi interpretano i Musei Vaticani» nel quale l’occhio, la luce e la visione diversa di nove fotografi ha presentato l’immagine dei Musei del ventunesimo secolo. Il catalogo della mostra ha in copertina una delle immagini che l’americano Bill Amstrong ha concepito ed elaborato per la sua visione della Cappella Sistina.

Ma veniamo anche al Cenacolo leonardesco, protagonista anch’esso di questa pregiata raccolta di saggi. Di quest’ultimo i Musei Vaticani possiedono probabilmente una delle più antiche “traduzioni” dell’opera in un raffinato arazzo: un preziosissimo panno tessuto in fili d’oro, d’argento e di seta delle stesse dimensioni dell’affresco originale milanese e realizzato per Francesco i di Francia con molta probabilità quando Leonardo era ancora vivo ed era in Francia suo ospite ad Amboise.

Le celebrazioni leonardesche del 2019 sono state l’occasione per completare il restauro del delicato manufatto ed esporlo in Vaticano, in Francia e quindi a Milano con l’intento di raccontare la “fortuna” artistica di un’opera celeberrima ma anche la storia e le implicazioni della sua committenza e l’uso che ne venne fatto, dal prezioso dono regale al Pontefice Clemente VII Medici all’utilizzo devozionale nel corso dei secoli in Vaticano in occasione delle festività liturgiche alle altre celebrazioni nelle quali venne largamente esposto tanto da richiederne addirittura una replica.

L’esposizione dell’arazzo in Vaticano è stata l’occasione del contatto con i produttori della produzione cinematografica The Last Supper: the Living Tableau di Armondo Linus Acosta insieme a Vittorio Storaro (cinematografia) a Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo (scenografia e decorazione scenica). Un vero e proprio tableau vivant, un’opera d’arte tridimensionale, che in nove minuti permette di rivivere il dipinto leonardesco. Naturale è venuta l’idea di esporli insieme in un dialogo ravvicinato anche con il Cenacolo di Santa Maria delle Grazie.

La mostra milanese a Palazzo Reale, nell’autunno del 2019, è stata quindi l’occasione di un confronto fra una delle più antiche “traduzioni” dell’affresco con quella più recente. Una nachleben significativa per chiedersi che valore le traduzioni, i remake le reinterpretazioni, le ri-meditazioni audiovisive possano avere nella percezione estetica, nello stupore e meraviglia della visione.

In questi tempi di pandemia, di chiusure ed isolamenti fisici e soprattutto di amplificazione del ruolo e della percezione virtuale dell’arte ce lo farà chiedere ancora di più.

di Barbara Jatta