Il presidente della Pakistan Minorities Teachers’ Association sugli ultimi passi in materia religiosa

Un pluralismo da garantire

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16 giugno 2020

Rischia di essere “vino nuovo in otri vecchi” la nuova Commissione nazionale per le minoranze religiose, istituita dal governo pakistano. E i cittadini non musulmani, in una nazione al 90 per cento di religione islamica, possono ritrovarsi, per l’ennesima volta, con un pugno di mosche in mano. Anjum James Paul, cattolico pakistano alla guida della Pakistan Minorities Teachers’ Association (Pmta), uomo e docente da sempre impegnato per i diritti e la promozione delle minoranze religiose nel paese, pur apprezzando le intenzioni dell’esecutivo, individua rischi ben precisi che potrebbero compromettere l’efficacia dell’operato della commissione, creata un mese fa a Islamabad.

In un colloquio con «L’Osservatore Romano», Paul auspica «passi avanti più sostanziosi» per beneficiare la precaria situazione delle piccole comunità di fede in Pakistan — soprattutto indù e cristiani — che da tempo aspettavano le mosse del governo guidato dal primo ministro Imran Khan. Spiega il docente: «La commissione è stata pensata e istituita come un organo governativo, all’interno del ministero degli Affari religiosi. Questo rappresenta già una scelta di campo perché la pone sotto il diretto controllo dell’esecutivo. Altri organismi esistenti, invece, come la Commissione nazionale per i diritti umani, la Commissione nazionale sulla condizione della donna o la Commissione per i diritti dell’infanzia, sono stati istituiti con apposita legge del Parlamento e sono del tutto autonome rispetto al governo in carica. Questa sembra la via più giusta ed efficace per raggiungere lo scopo prefissato, ovvero tutelare e promuovere realmente i diritti e la condizione delle minoranze». Con un atto formale del Parlamento, l’organismo avrebbe la necessaria autorevolezza e indipendenza nel suo operato, notano associazioni della società civile e i gruppi cristiani in Pakistan che condividono questa obiezione.

Va detto che il governo pakistano, istituendo la commissione, ha finalmente recepito un’indicazione della Corte suprema, emessa nel 2014, che ne imponeva la creazione per salvaguardare e promuovere gli interessi dei cittadini delle minoranze, come previsto dalla Costituzione. Del nuovo organismo fanno parte tre membri cristiani (tra i quali l’arcivescovo cattolico di Lahore, Sebastian Francis Shaw), tre indù, due sikh, due kalash e un parsi, ma anche otto membri musulmani, tra i quali il presidente del Consiglio dell’ideologia islamica, e membri ex officio del ministero degli Affari religiosi. «Manca tra l’altro un esponente della comunità baha’i», rileva Anjum James Paul, ma la questione fondamentale resta quella di garantire alla commissione la necessaria autonomia di pensiero e azione e, naturalmente, un apposito budget.

Il professor Paul è originario di Khushpur, il villaggio del Punjab pakistano denominato “il Vaticano del Pakistan” perché quasi interamente cristiano. Oggi è per lui l’occasione di ricordare il compianto Shahbaz Bhatti, ex ministro per gli Affari delle minoranze, ucciso da mano terrorista nel 2011, anch’egli nato a Khushpur: «Negli anni in cui Bhatti era al governo, molto si è fatto per migliorare le condizioni delle comunità minoritarie e per sradicare una mentalità discriminatoria verso i cittadini che non sono musulmani, ancora ben presente nella popolazione pakistana». Il suo privilegiato punto di osservazione è la scuola, dato che Paul insegna scienze sociali in un istituto superiore statale a Lahore. Nell’ambito dell’istruzione egli individua uno dei temi determinanti per sconfiggere sul nascere quella mentalità che ancora etichetta cristiani e indù come “cittadini di seconda classe”, rendendoli vittime di odio e pregiudizi. «Come associazione di insegnanti — riferisce al nostro giornale — abbiamo inviato una lettera a Shafqat Mehmood, ministro federale dell’Istruzione e della formazione professionale, chiedendogli di assicurare che i libri di testo approvati e in adozione nelle scuole pakistane siano liberi da pregiudizi religiosi. Gli studenti delle minoranze religiose devono essere messi nella condizione di essere fedeli alla loro religione, come è garantito agli allievi musulmani. Ma se i libri di testo sull’educazione religiosa parlano solo di islam, questo diritto è negato».

La Pmta ha presentato al governo un emendamento in materia di educazione religiosa per gli studenti indù, cristiani, sikh, kalash e baha’i, chiedendo che nei testi vengano menzionate e valorizzate quelle fedi, invece del tutto ignorate. Il docente, che ha raccolto numerose lamentele da insegnanti, studenti e famiglie, chiede «parità nella cittadinanza e uguali diritti per le minoranze religiose in Pakistan». Per questo l’intero sistema d’istruzione risulta decisivo: «I libri di testo a uso nelle scuole pubbliche dovrebbero promuovere la convivenza pacifica, l’armonia sociale, l’uguaglianza, la dignità umana, la diversità culturale e religiosa, la non-violenza e la parità di diritti, presentando il Pakistan come paese multireligioso e multiculturale», osserva. A tal fine, bisogna prevedere una specifica alternativa allo studio dell’islam: «La si chiami educazione religiosa per studenti cristiani, indù, sikh, baha’i, ma bisogna pensarla in tal modo, garantendo il pluralismo». Infatti, prosegue Paul, «come recita l’articolo 22 della Costituzione del Pakistan, nessuna persona che frequenta un istituto di istruzione è tenuta a ricevere istruzioni religiose, a prendere parte a cerimonie religiose o a seguire un culto religioso diverso dal proprio». Quell’articolo, spiega, «mira a garantire la libertà di religione e credo, che il governo ha il dovere di tutelare in Pakistan, per sradicare ogni forma di intolleranza, discriminazione e violenza di carattere religioso». Per il presidente della Pakistan Minorities Teachers’ Association, «fa male sapere che il cancelliere dell’Università del Punjab, uno dei maggiori atenei statali, nell’aprile scorso ha voluto dichiarare obbligatorio lo studio del Corano per tutti gli studenti, ignorando quelle disposizioni costituzionali».

Il docente stigmatizza poi un’altra pratica ingiusta, che costituisce un ostacolo per il percorso di istruzione, già di per sé faticoso, dei giovani appartenenti a comunità religiose minoritarie: esiste infatti una discriminazione nell’accesso all’università, soprattutto nelle facoltà di medicina e ingegneria: «Accade spesso che studenti cristiani o indù, diplomatisi alla scuola superiore con punteggi molto alti, non riescano a proseguire perché ai test di accesso vengono scavalcati dagli Hafiz-e-Quran, ovvero i “memorizzatori del Corano”. Ai candidati musulmani, infatti, viene attribuito per legge il massimo del punteggio a prescindere dalla loro reale preparazione, e la conoscenza del libro sacro islamico diventa un criterio di ammissione agli atenei, a scapito di chi realmente lo merita».

È lungo il cahier de doléances delle minoranze religiose pakistane che non invocano privilegi ma solo giustizia e pari opportunità nella società, specialmente nell’ambito educativo. Nella regione che costituisce il cuore del Pakistan, il Punjab, si apprezza, d’altro canto, anche un passo avanti: il governo della provincia ha approvato una specifica quota del 2 per cento riservata agli studenti delle minoranze religiose negli istituti di istruzione superiore. È noto che i cristiani pakistani sono una presenza consistente in Punjab e verranno beneficiati da tale misura. «Auspichiamo che i governi di altre province possano prendere esempio, applicando direttive simili: così potremo contribuire a costruire un futuro luminoso per la nostra nazione», conclude Paul.

di Paolo Affatato