Per l’Unesco va ripensata la fruizione del patrimonio culturale

Un museo su dieci rischia di non riaprire

A journalist takes a photo of Sandro Botticelli's 'Primavera' (Spring) at the Uffizi Gallery Museum ...
03 giugno 2020

Un giretto alla National Gallery di Londra, dove si può entrare gratis ogni qualvolta si vuole, ci dà l’impressione che quel quadro che tanto amiamo sia un po' anche nostro. Una visita ai Musei vaticani per ammirare la Cappella Sistina, ci permette l’esperienza unica di guardare le stesse meravigliose immagini su cui ha posato gli occhi Michelangelo. È questo il bello del museo, è lì per preservare l’arte e permetterci di fruirla quando ce ne viene voglia. E nel mondo non c’è che l’imbarazzo della scelta, di musei ne esistono 95 mila, tra piccoli e grandi, cresciuti del 60 per cento in soli 8 anni. Ma la pandemia da covid-19 si è abbattuta anche sulle istituzioni museali che hanno chiuso nel 90 per cento dei casi e la mancanza di turisti e visitatori, secondo il Consiglio internazionale dei musei, mette a serio rischio la riapertura di almeno il 10 per cento di queste istituzioni. Molti sono stati in grado di reagire alla chiusura organizzando visite virtuali, promuovendo conferenze online, sviluppando attività sui social network, ma questa realtà ha riguardato i musei più importanti e non certo quelli in Africa o nei piccoli stati insulari dove solo il 5 per cento è riuscito a offrire un servizio web.

Secondo uno studio Unesco appena pubblicato è dunque l’istituzione museale il settore culturale più coinvolto nella recessione economica in cui la pandemia ci ha precipitato. «Le difficoltà di adattamento alla riduzione del numero di visitatori, la distanza sociale all’interno dei musei e la garanzia della sicurezza del personale e del pubblico possono alterare profondamente l’esperienza culturale. Sono necessarie decisioni a tutti i livelli in questi tempi imprevedibili» ha dichiarato all’Unesco Sally Tallant, direttrice del Queens Museum di New York.

Dunque fino a quando non ci sarà un ritorno alla normalità, si dovranno trovare strategie diverse perché il museo possa continuare a svolgere «il suo ruolo vitale nelle nostre società per la diffusione della cultura, dell’istruzione, della coesione sociale e del sostegno all’economia creativa», ha affermato la direttrice dell’Unesco, Audrey Azoulay, insistendo «sull’importanza e urgenza di rafforzare le politiche di sostegno per questo settore».

Il rapporto Unesco sull’impatto della pandemia sui musei sottolinea come le popolazioni confinate hanno subito la perdita di elementi culturali fondamentali e della strutturazione della loro vita quotidiana sociale e individuale. Sono state 85.000 le istituzioni museali in tutto il mondo che hanno chiuso i battenti durante la crisi e l’impatto di queste chiusure non è solo economico, ma anche sociale. I musei, sottolinea l’Unesco, svolgono infatti un ruolo essenziale nelle nostre società: non solo preservano il nostro patrimonio comune, ma forniscono anche spazi che promuovono l’istruzione, l’ispirazione e il dialogo.

Certo, la loro distribuzione non è equa: il 65 per cento dei musei è in Nord America e in Europa occidentale, il 34 per cento è poi diviso tra l’Europa orientale, l’America Latina e gli Stati dell’Asia-Pacifico, ma solo lo 0,9 per cento in Africa e lo 0,5 per cento nella regione degli Stati arabi. In totale, 16 stati hanno una rete di oltre 1.000 musei, ovvero l’8 per cento del totale, mentre il 30 per cento degli Stati ha una rete da 1 a 10 musei, o nessun museo.

Dunque nonostante le sfide poste dalla crisi senza precedenti che stiamo vivendo, molte istituzioni culturali e professionisti hanno continuato a servire come fonte di resilienza e sostegno alle comunità, immaginando nuovi modi per fornire accesso alla cultura e all’istruzione nel contesto delle misure di contenimento. Ma ciò non è bastato visto che in molte zone del mondo l’accesso a internet non è possibile o particolarmente costoso, con conseguente disuguaglianza nelle risorse culturali.

Lo studio sottolinea infatti che il divario digitale è ora più evidente che mai. Sono milioni le persone, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, per le quali l’accesso alla cultura attraverso mezzi digitali rimane fuori portata, il che ha reso difficile il lancio di musei virtuali o l’accesso alle collezioni online. Questa situazione è confermata dall’Unione internazionale delle telecomunicazioni, che attesta come la metà della popolazione mondiale non ha accesso a internet.

Lo stesso vale per il divario di genere nella fruizione delle tecnologie digitali, confermato dall’Ocse secondo cui circa 327 milioni di donne in meno rispetto agli uomini possiedono uno smartphone e non possono accedere a internet. Secondo l’Unesco dunque la portata della crisi delle istituzioni culturali, compresi i musei, richiede un approccio globale che riaffermi il ruolo centrale della cultura come mezzo di resilienza e contribuisca a riattivare l’economia e l’ecosistema culturale per un futuro migliore e speciale per le generazioni che verranno.

In questo contesto il ruolo dell’Unesco è quello di sostenere i suoi Stati membri nel cercare soluzioni adeguate perché, si spiega, probabilmente non c’è una risposta unica e dato il contesto di ogni regione del mondo o anche di ogni paese, ogni museo dovrà fare la propria valutazione e identificare le lezioni che gli permetteranno di adattarsi a una nuova realtà e a nuove sfide.

di Anna Lisa Antonucci