Spiritualità monastica e impegno missionario nella vita del vescovo di Magonza

San Bonifacio apostolo delle genti

Bonifacio muore martirizzato facendosi scudo con il libro del Vangelo
04 giugno 2020

Bonifacio di Fulda è sicuramente un santo poco conosciuto in Italia e nei paesi dell’Europa mediterranea. Nasce, infatti, in una nobile famiglia terriera originaria della Sassonia occidentale, presumibilmente nel Devonshire, a Crediton, vicino ad Exeter (Wessex), intorno al 672, nell’Inghilterra già cristianizzata dai romani, ma “rievangelizzata” da Agostino di Canterbury e i suoi compagni monaci là inviati da Papa Gregorio Magno. E sono proprio i missionari — che continuamente giungevano in quelle terre e soggiornavano per qualche giorno nella sua casa — a influenzare l’animo del piccolo Winfrido — questo era il suo nome di battesimo — che, divenuto monaco, lascia la sicurezza del monastero e gli amati studi biblici per partire missionario nella Germania dominata dai Franchi. Solo al secondo tentativo — nel 716, infatti, è costretto a ritornare in Inghilterra — Winfrido, forte dell’appoggio di Papa Gregorio ii può recarsi nella regione della Baviera per riorganizzare la Chiesa franca e poi in Assia e Turingia per liberare definitivamente quelle genti dai riti generati da un miscuglio di tradizioni pagano-cristiane, per un frettoloso processo di conversione voluto dai Franchi. Divenuto vescovo di Magonza, muore martirizzato in Frisia, attuale provincia al nord dei Paesi Bassi, mentre si appresta ad amministrare il sacramento della cresima.

Bonifacio “uomo accompagnato dal bonum fatum, o “anche colui che fa il bene o benefattore”, non smentisce questo appellativo che gli viene dato da Gregorio ii nel 719, il quale vede in lui una speciale chiamata del Signore. Bonifacio è, infatti, un rappresentante “carismatico” del monachesimo anglosassone, che ha speso la sua vita nella missione di annunciare il Vangelo, e direttamente sul campo, anche dopo che il Papa gli conferisce la carica di Legato pontificio, dignità da lui accettata solo perché convinto che in quel preciso momento storico era necessaria non solamente la visibilità del potere spirituale, ma anche di quello giuridico della Chiesa di Roma. Di Bonifacio vanno sottolineate alcune caratteristiche che ne hanno sostenuto la fama. Innanzitutto la sua fede forte e la sua vocazione missionaria di cristiano e monaco, aspetto non sempre considerato da coloro che ne hanno approfondito la figura. Uomo come tanti, Bonifacio è sempre cosciente che la sua missione evangelizzatrice non sarebbe stata facile. Alla badessa Eadburga scrive: «Battaglie all’esterno, timori al di dentro». E a una monaca sconosciuta chiede di intercedere per lui presso Dio perché: «Siamo colpiti e sbattuti da molti e vari turbini di tempeste, sia da parte dei pagani sia dei falsi cristiani». Il clero locale, quello franco, non amava molto Bonifacio e tentava in ogni modo di ostacolarlo. Uno dei motivi principali di tale atteggiamento era l’amore e la fedeltà che egli portava al Papa ed alla Chiesa romana; questa seconda caratteristica emerge costantemente ed è il segno della sua speciale consacrazione a Cristo, per il quale accetta di vivere il “martirio bianco”, quello dei monaci che decidono di vivere la dimensione contemplativa e spirituale lontano dall’humus nel quale sono cresciuti. Ma la peculiarità di questo grande missionario è l’amore per la Sacra Scrittura. Letta, meditata, interiorizzata, sia per tradizione monastica che per vocazione propria, nella sequela di Gregorio Magno — del quale conosceva bene la Regola Pastorale, e non solo — diviene la fonte dalla quale attinge forza, conforto e saggezza per portare avanti un ministero pieno di insidie. Come san Paolo, a cui si sente particolarmente legato, confida nella Parola e come lui afferma che «bisogna usare di molta libertà nella predicazione». Nell’ora della morte essa diviene il suo scudo. Un testimone oculare racconta che «al momento di ricevere il colpo mortale, Bonifacio alzò sopra la testa il libro che teneva in mano. La spada dell’assassino intaccò profondamente il volume e spaccò la testa del martire». Bonifacio si copre il capo con il Vangelo di Cristo, di cui diventa testimone verace nel martirio. Un’ultima caratteristica, last but not least, come si suol dire, è la sua splendida umanità e sensibilità di animo che ritroviamo nelle lettere inviate ai suoi amici, ma in particolare alle sue badesse, alcune delle quali lo seguiranno in Germania: Valburga, Lioba e Tecla. In queste lettere rinveniamo tutto il pathos, ovvero l’emotività, la passione, l’angoscia e la gioia, di un uomo che non ha nessun timore di confrontarsi, chiedere consigli e aiuti, nella coscienza della personale debolezza e dei limiti che ci rendono così fragili e vulnerabili, ma strumenti potenti nelle mani di Dio. «Ti prego di degnarti di pregare per me» scrive a Eadburga «perché, a causa dei miei peccati, sono molestato dalle tempeste di un mare pieno di pericoli». Per queste giovani monache, che lo seguono nella grande avventura dell’evangelizzazione, Bonifacio ha sempre parole paterne, piene di dolcezza e di affetto, ed esse lo cercheranno come amico sincero e consigliere spirituale. Queste donne l’hanno accompagnato e sostenuto nella dura missione e grazie a loro sono nate dovunque, in quei territori desolati e impervi, fondazioni monastiche con grande fioritura della vita monastica femminile e propagazione della cultura anche tra le donne che venivano là educate. Nel pensiero di Bonifacio i monasteri dovevano essere il centro propulsore dell’evangelizzazione, luoghi di preghiera e di vita spirituale e nello stesso tempo di cultura. È stato grazie a Bonifacio e alle sue badesse se i popoli germanici hanno conosciuto il Cristo, e tante donne hanno preferito il cristianesimo e i suoi valori, al posto della logica dell’imbarbarimento e del paganesimo. Questo per non dimenticare mai le nostre radici comuni e cristiane che hanno sostenuto e sempre sosterranno l’Europa.

di Caterina Ciriello