A Santa Maria in Trastevere il cardinale Farrell presiede una veglia di preghiera per gli Stati Uniti d’America

Rispetto dei diritti e convivenza pacifica

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06 giugno 2020

Fin dalla loro nascita gli Stati Uniti d’America sono stati una nazione «multiculturale, multietnica e multireligiosa» che nel suo dna porta iscritti ideali come «l’uguaglianza di tutti gli uomini, i diritti inalienabili alla vita e alla libertà concessi dal Creatore stesso a tutti gli uomini, la tolleranza, la pacifica convivenza, le uguali possibilità di prosperità e benessere per tutti». Lo ha ricordato il cardinale Kevin Farrell, prefetto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, durante la veglia di preghiera presieduta venerdì sera, 5 giugno, nella basilica romana di Santa Maria in Trastevere.

Organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, l’incontro ha visto la presenza di persone di ogni provenienza sociale, etnica e linguistica, riunite proprio nella chiesa che a più riprese è stata teatro di incontri a favore della pace e della sua promozione, per pregare insieme «per la coesistenza pacifica» nel Paese, attraversato in questi giorni da violente tensioni sociali dopo la morte dell’afroamericano George Floyd.

I principi fondanti della nazione, ha sottolineato il porporato statunitense nella sua omelia, «non sono altro che la traduzione del cristianesimo nel linguaggio della legge civile». Per questo i cristiani americani, ogni volta che fanno presente l’insegnamento di Gesù, aiutano i loro concittadini a «tornare agli ideali autentici della nostra nazione, della sua costituzione e delle sue leggi». Il cardinale ha riproposto il comando che Gesù ha dato ai suoi discepoli di amarsi a vicenda e di non fare «distinzioni fra uomini e donne, fra giudei e samaritani, fra semplici pescatori e membri del sinedrio, fra poveri pastori e ricchi pubblicani», senza escludere nessuno dal suo messaggio di misericordia e di salvezza: questo semplice fatto, ha detto, «dovrebbe essere un forte richiamo per tutti noi che, invece, facciamo spesso distinzioni basate sulla classe sociale, sul livello economico, sulla razza, sull’appartenenza politica».

Purtroppo anche fra i credenti, ha aggiunto, può infiltrarsi «un modo di pensare distorto, che porta a identificarci solo con una parte, prendendo le distanze da chi appartiene alla parte avversa: benestanti contro classi povere, intellettuali contro persone incolte, progressisti contro conservatori, bianchi contro neri». In questo modo, ha insistito, si perde «di vista completamente la dimensione universale del messaggio di Cristo» o addirittura si finisce «per identificare la nostra fede cristiana con la visione ideologica della parte che abbiamo abbracciato». San Paolo Invece dimostra di aver accolto appieno lo spirito di Cristo quando afferma: «Quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 27-28). Il cardinale ha perciò invitato a tornare a «questa purezza del Vangelo», perché essa diventa «il modo migliore di promuovere il bene sociale, evitando visioni parziali e ideologiche».

Per i cristiani, inoltre, è «doveroso anche insistere sul fatto che il mezzo deve essere sempre in armonia con il fine». Gesù, infatti, «ha parlato della povertà vivendo poveramente, ha parlato della dignità dell’amore umano vivendo castamente, ha parlato della misericordia del Padre avendo misericordia di tutti, anche dei suoi nemici». In questo senso, non si può sperare di «promuovere la pace sociale con la violenza, non si può superare l’ingiustizia commettendo ingiustizie e crimini ancor più gravi di quelli che si vuole denunciare». I credenti, allora, devono sempre esortare «tutte le persone di buona volontà a unire i loro sforzi per costruire insieme qualcosa che rimanga come bene duraturo per tutti, fuggendo dalla tentazione di distruggere irrazionalmente ciò che esiste e di dare sfogo cieco alla propria rabbia e frustrazione». Occorre una «cultura del rispetto, un senso di fratellanza universale, condizioni di vita degne, leggi giuste», perché questi sono «beni che restano». Al contrario, «parole e gesti offensivi di disprezzo, saccheggi e violenze non portano a niente di buono per il futuro». Per questo i cristiani non devono nascondersi e avere timore; al contrario, «proprio in questi delicati momenti di tensione sociale — ha esortato il cardinale Farrell — dobbiamo essere presenti per indirizzare al bene vero e duraturo il giusto desiderio di uguaglianza, di rispetto e di giustizia che è presente nel cuore di tanti uomini e donne».

Il porporato ha poi voluto ribadire quanto detto da Papa Francesco all’udienza di mercoledì 3 giugno: «non possiamo tollerare né chiudere gli occhi su qualsiasi tipo di razzismo o di esclusione e pretendere di difendere la sacralità di ogni vita umana. Nello stesso tempo dobbiamo riconoscere che la violenza delle ultime notti è autodistruttiva e autolesionista. Nulla si guadagna con la violenza e tanto si perde». La Chiesa, ha concluso, quando «fa risuonare le parole del Vangelo, vuole essere fedele a Gesù», non vuole schierarsi «con una parte o con una categoria contro un’altra», non vuole «fare propaganda politica né fare proseliti per sé», ma vuole semplicemente «aiutare la società a promuovere il bene comune e a creare legami di autentica fratellanza fra gli uomini». In conclusione, il porporato ha chiesto al Signore di guardare «a tutte le vittime innocenti morte per le ingiustizie e le discriminazioni razziali», auspicando che «il loro sangue versato aiuti la nostra amata nazione a costruire una società veramente pacificata e fraterna».