All’udienza generale l’appello del Pontefice

Rispettare la libertà di coscienza sempre e ovunque

SS. Francesco - Udienza Generale 17-06-2020
17 giugno 2020

Un appello a rispettare la libertà di coscienza «sempre e dovunque» è stato lanciato da Papa Francesco al termine dell’udienza generale di mercoledì 17 giugno, svoltasi nella Biblioteca privata del Palazzo apostolico Vaticano, senza la presenza di fedeli, a causa della pandemia.

Rivolgendo i consueti saluti ai gruppi linguistici che attraverso i media hanno seguito l’incontro, il Pontefice ha ricordato la Giornata della coscienza — ispirata alla testimonianza del diplomatico portoghese Aristides de Sousa Mendes (1885-1954) che salvò la vita a migliaia di ebrei e di altri perseguitati — e ha esortato i cristiani a «dare esempio di coerenza con una coscienza retta e illuminata dalla Parola di Dio».

Il Papa ha anche invitato i fedeli a vivere la solidarietà «portando aiuto agli affamati, agli sconfitti della vita, ai poveri, ai bisognosi e soprattutto ai senzatetto». Un richiamo legato alla ricorrenza liturgica di sant’Alberto Chmielowski, il religioso polacco «protettore dei poveri» che dedicò la sua esistenza ai più indigenti sull’esempio di san Francesco d’Assisi, aiutando «i senzatetto e gli emarginati a ritrovare un posto degno nella società». Il suo motto era: «Essere buono come il pane». Da qui il riferimento all’«amore fraterno» testimoniato da Chmielowski e proposto ancora oggi ai credenti come impegno concreto di vita.

In precedenza, proseguendo nel ciclo di catechesi iniziate il 6 maggio scorso, il Papa aveva parlato della preghiera di Mosè, presentandola come la richiesta di un «uomo come noi», con i suoi «dubbi» e i suoi «timori», che tuttavia non gli impediscono di «intrattenere stretti legami di solidarietà con il suo popolo». Egli, ha rimarcato Francesco, è rimasto «sempre attaccato al popolo» e non ne ha mai «perso la memoria». E questa, ha commentato, è la «grandezza dei pastori: non dimenticare il popolo, non dimenticare le radici».

Mosè «è tanto amico di Dio da poter parlare con lui faccia a faccia»; ma, al tempo stesso, è «tanto amico degli uomini da provare misericordia per i loro peccati». È un uomo che «non rinnega Dio né il popolo», ha insistito il Pontefice ricordando che «la Scrittura lo raffigura abitualmente con le mani tese verso l’alto, verso Dio, quasi a far da ponte con la sua stessa persona tra cielo e terra».

Per Francesco, dunque, Mosè rappresenta un «bell’esempio per tutti i pastori, che devono essere “ponte”»: per questo «li si chiama pontifex, ponti». Egli «non baratta il popolo» e «non vende la sua gente per far carriera»: non è «un arrampicatore» ma «un intercessore». E così «ci sprona a pregare con il medesimo ardore di Gesù e a intercedere per il mondo». Tutti infatti, ha ribadito il Papa, «appartengono a Dio. I più brutti peccatori, la gente più malvagia, i dirigenti più corrotti, sono figli di Dio e Gesù sente questo e intercede per tutti». Da qui il consiglio spirituale rivolto ai credenti: «Quando ci viene voglia di condannare qualcuno e ci arrabbiamo dentro..., intercediamo per lui: questo ci aiuterà tanto».

L'udienza generale