La lezione de «Il vecchio e il mare»

Quando la sconfitta è una vittoria

Spencer Tracy nei panni di Santiago nell’omonimo film ispirato al librodi Ernest Hemingway (1958)
24 giugno 2020

Alla fine de Il vecchio e il mare, Ernest Hemingway fa calare il sipario su una curiosa metafora. Il protagonista, il vecchio Santiago, ha già trascorso ottantaquattro giorni di caccia vana in mare; ha già pescato, nell’ottantacinquesimo giorno, la sua preda favolosa, un marlin lungo quanto la sua barca, lo ha già perso – tranne la testa, la coda e la spina dorsale — in una lotta fiera e vana con gli squali. Ora la lisca enorme scivola nelle acque di scolo di un locale all’aperto e torna al mare. Una donna, una turista, chiede al cameriere di cosa si tratti. “Tiburon”, “Squalo”, fa il cameriere, cercando di spiegare cosa abbia ridotto la lisca in quello stato. E la donna di rimando: «Non sapevo che i pescecani avessero la coda così bella».

Alla fine della storia il vecchio Santiago subisce una doppia beffa. Cattura un prodigio che non riesce a trattenere; trova al largo, più al largo di tutti, la ricompensa del suo coraggio ma non può strapparla alla sorte, salvarla dalle insidie del mare per la stessa ragione che si è spinto troppo al largo. A questo si aggiunge che la sua impresa resta ignota ai più, fraintesa e misconosciuta da chi non sa distinguere un pescespada da uno squalo.

Eppure dalle pagine di Hemingway il vecchio Santiago emerge come un vincitore. La sua avventura solitaria gli insegna, una volta per tutte, che il coraggio è premio a se stesso, che nella sfida ai propri limiti, nella lotta strenua, nella sottomissione alla natura e perfino nella distruzione, ma senza sconfitta, sta la giustificazione della vita umana. La ricerca di una preda favolosa, fuori dai tradizionali terreni di caccia, vale di per sé, a prescindere dalla sua effettiva cattura e dal successo che questa eventualmente comporta. Non c’è più nessuna traccia del nada y pues nada y pues nada, il nichilismo del racconto Un posto pulito, illuminato bene, l’approdo disperato (e parziale) dello scrittore di fronte all’incoerenza e all’apparente inconsistenza del vivere, alla vanità dello slancio che della vita è, per Hemingway, il segno più profondo.

La tensione epica del nuovo, maturo messaggio de Il vecchio e il mare, il concetto di vittoria nella sconfitta (che affonda le radici in Don Chisciotte e, ancora più indietro, nell’Ettore dell’Iliade), l’amore per i vinti, una delle direttrici di pensiero più feconde del Novecento, sono probabilmente la cifra finale della produzione letteraria di Hemingway. Individualismo idealista, si potrebbe definire. L’attenzione all’individuo e alla sua storia personale, alla normalità “eccezionale” che diventa “esemplare”, la convinzione che l’idea plasma la realtà e in qualche modo la domina.

È in fondo questa intuizione, elementare e dirompente come l’uovo di Colombo, supportata da uno stile irripetibile, che frutta a Hemingway il premio Nobel per la letteratura esattamente sessantacinque anni fa. È questa stessa intuizione — insieme suggellata e tradita nella vita reale dal gesto tragico del suicidio — che eleva “Papa” all’onore degli altari, nell’olimpo delle figure mitiche.

L’insegnamento dell’allegoria di Hemingway è di quelli memorabili, valido per la vita come per l’arte (che non sono poi così diverse), per la società come per la letteratura; buono in ogni tempo e specialmente in tempo di crisi, quando il consueto e il normale perdono valore e bastano meno che mai. E proprio in questo nostro persistente scenario di crisi, in cui l’eco della maledizione si avverte più forte del sentore di opportunità, osare diventa indispensabile. Il messaggio dello scrittore americano riecheggia le parole di Nietzsche, che invitava le vele umane a far rotta verso isole inesplorate, in risposta a un’eterna, insaziabile sete di scoperta.

C’è un azzardo che nessuna prudenza, nessuna avvedutezza può compensare. C’è una propensione alla sfida, come un’esigenza dello spirito, che supera in efficacia qualunque piano razionale, qualsiasi calcolo ponderato e tranquillo. Vale veramente soltanto inseguire una preda eccelsa, anche a costo di non poterla cogliere o conservare per intero; poco serve mirare al solito pesce ordinario che solo l’ignoranza, la cecità, l’avventatezza e la superficialità del senso comune trasformano in squalo.

di Leonardo Guzzo