Il cardinale arcivescovo di Seoul celebra la messa a settant’anni dall’inizio della guerra coreana

Per una politica del perdono

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26 giugno 2020

Un appello ai «leader della Penisola coreana e della comunità internazionale», affinché «possano superare risolutamente interessi personali, partitici e nazionali al fine di promuovere il vero bene di ogni uomo e di tutto il popolo del Sud e del Nord, nella prospettiva del bene comune universale» e della «vera pace», è risuonato giovedì mattina, 25 giugno, nella cattedrale di Myeongdong, a Seoul. A lanciarlo è stato il cardinale Andrew Yeom Soo-jung, arcivescovo della capitale e amministratore apostolico di Pyongyang, durante la messa per la riconciliazione e l’unità in Corea, celebrata a settant’anni dall’inizio della guerra che tra il 1950 e il 1953 ha insanguinato la penisola, lasciando come «triste eredità» una perdurante «situazione di tensione dovuta alla contrapposizione tra il Sud e il Nord, che minaccia la pace».

Pur con le limitazioni imposte dalla pandemia di covid-19, la cattedrale era gremita di fedeli laici, religiosi e religiose, che hanno seguito con partecipazione il rito nel rigoroso rispetto delle misure di sicurezza e di distanziamento adottate per evitare il diffondersi del contagio. A loro si è rivolto in particolare il porporato — uno dei pochissimi vescovi ancora in attività che ha vissuto personalmente l’esperienza della guerra — invitandoli a ringraziare il Signore «per aver costantemente assistito il nostro popolo e la nostra Chiesa, guidandoci con un incessante amore alla via della verità e della vita», ed esortandoli a vivere la ricorrenza anniversaria come «un’occasione importante per rinnovare, come cittadini della Corea e come cristiani, la determinazione a compiere al meglio la nostra missione di impegno per la riconciliazione e l’unità del popolo e per la pace, cioè per l’evangelizzazione della penisola coreana».

Ricordando gli anni bui del conflitto, con il suo drammatico fardello di morte e di distruzione, il porporato ha rinnovato la richiesta di «unire tutte le forze e tutti i cuori al fine di servire in qualche modo alla costruzione nella nostra penisola coreana di una società nella quale tutto il popolo, sia del Sud che del Nord, liberato dal retaggio del passato attraverso la “purificazione della memoria”, viva una vita veramente umana nella vera pace che il Signore ci dà». Preoccupato per l’attuale situazione della penisola, l’arcivescovo di Seoul ha denunciato l’aggravarsi delle tensioni politiche e sociali, sottolineando che le iniziative politiche messe in atto negli ultimi anni per favorire la riconciliazione «non hanno avuto sinora alcun esito concreto» e, di fatto, hanno tradito le «grandi aspettative» nutrite «dal popolo coreano e dai cittadini del villaggio globale».

Ma per il cardinale lo scoraggiamento e la rassegnazione non possono avere l’ultima parola. «Vorrei dirvi — ha scandito con forza — che raggiungere la pace è un’impresa molto difficile ma non è affatto impossibile, se solo ciascuno di noi facesse le cose che deve e può fare nella vita quotidiana a favore della vera pace con la ferma determinazione a vivere il “martirio spirituale” seguendo le orme dei nostri martiri». In particolare ha insistito sulla necessità del perdono, che pur apparendo «contrario alla logica umana», rappresenta la condizione irrinunciabile «per la reciproca riconciliazione, e quindi la condizione per riconciliarsi con Dio». E se la pace «è anzitutto “opera della giustizia”», essa «dev’essere integrata da quella particolare forma dell’amore che è il perdono». Altrimenti «la giustizia sarà accompagnata dal rancore, dall’odio e persino dalla crudeltà e quindi la pace non potrà durare a lungo». E «ciò vale sia per i singoli individui sia per le nazioni».

A partire da questa consapevolezza, il porporato si è detto convinto che se in Corea si riuscirà a dar vita a una vera e propria «politica del perdono» — come la definì Giovanni Paolo II nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2002 — la giustizia stessa «assumerà un volto più umano e la pace sarà più duratura». Da qui l’invito alla preghiera, «l’arma più potente che la Chiesa possiede nella lotta per la pace», con un pensiero particolare alla Vergine di Fátima e alla «potenza grande» del Rosario che «può cambiare il corso della storia». Non è mancato un esplicito ringraziamento a Papa Francesco e a tutti i Pontefici che «hanno incessantemente incoraggiato e sostenuto il popolo e la Chiesa in Corea nel conseguimento di uno sviluppo autentico, in unione spirituale con noi e con amorevole sollecitudine per il nostro futuro». Una gratitudine estesa poi alle diocesi del Paese che hanno celebrato la giornata per la riconciliazione, alle Chiese e alle nazioni che hanno testimoniato concretamente vicinanza e solidarietà alla comunità ecclesiale e civile coreana, e ai fedeli di tutto il mondo che pregano per la pace nella penisola «secondo l’intenzione del Santo Padre».

Con il cardinale Yeom hanno concelebrato i quattro vescovi ausiliari — il vicario generale Benedict Son Hee-song, Timothy Yu Gyoung-chon, Petrus Chung Soon-taick e Job Koo Yobi — e numerosi sacerdoti di Seoul, tra i quali monsignor Matteo Hwang, vicario della diocesi di Pyongyang, e i padri Achilleo Chung e Luca Lee, rispettivamente presidente e vice presidente del Comitato della riconciliazione nazionale che ha organizzato la messa commemorativa. Tra i concelebranti anche monsignor Mario Codamo, incaricato d’affari della nunziatura apostolica a Seoul.

Prima di concludere il rito il cardinale Yeom ha annunciato la propria intenzione di dedicare la diocesi di Pyongyang alla Madonna di Fátima.