Ufficio oggetti smarriti - Il passato imprevedibile

Per un pugno di dieci dollari

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05 giugno 2020

Per motivi (ad oggi) ancora inesplicabili, la vita dei fuoriclasse è costellata di cretini intenti a danneggiarla. Come quella volta (1952) nella quale la casa di produzione voleva che Un uomo tranquillo di John Ford durasse due ore esatte. Aver deciso le regole prima di entrare in rapporto con le cose è uno dei tic più singolari cui la vicenda umana ci abbia messo di fronte. Ma la sera nella quale Ford presentava il film alla produzione accadde una cosa davvero “da film”. Il regista americano infatti, conscio di aver realizzato una pellicola che durava due ore e nove minuti, stoppa la proiezione alle due ore pattuite. Lasciando bruscamente in sospeso il finale, e con esso ciò che ogni essere umano vuol sapere dei due protagonisti coi quali ha condiviso un pomeriggio al cinema: ce la faranno? Saranno felici? Erano tempi difficili anche quelli, ma i cretini almeno rispondevano a superiori meno scemi di loro. Questa, sostanzialmente, è la differenza fra ieri e oggi. I treni verdi e quel presentimento di felicità in ogni cosa, questo non riesco a dimenticare in questo film del 1952, un lavoro nel quale Ford trasuda senza pudore la sua ostinata passione per la forza dei rapporti umani, l’amicizia, l’amore e, perché no, la giustizia. È celebre l’intervista a un quotidiano francese nella quale Ford ammise la sua passione per questi aspetti dell’animo umano che «si è presa l’abitudine di sbeffeggiare» e in Un uomo tranquillo la forza, talvolta violenta, dirompente, dell’interazione umana è al suo grado di massima purezza. Il film, che si basa su un racconto breve di Maurice Walsh pubblicato nel 1933 sul  «Saturday Evening Post», racconta una delle storie più vecchie del mondo, quella dell’uomo che fa ritorno a casa. Siamo nei primi vent’anni del Novecento e Sean Thornton (John Wayne) è un pugile che dopo aver fatto la sua carriera in America, a Pittsburgh per la precisione, torna in Irlanda (nel villaggio di Innisfree) per acquistare la fattoria in cui è nato e che era di proprietà della sua famiglia prima di emigrare. Torna con quel desiderio che fa capolino in un uomo dopo essersi imbattuto in qualcosa di doloroso. La pace. Durante la sua carriera di pugile infatti, Sean ha dovuto affrontare la peggiore delle disgrazie, quella di aver involontariamente cagionato (sul ring) la morte di un suo avversario. Decide allora di tornare nella placida Irlanda per ritrovare quella pace (e forse vincere quel suo doloroso ricordo) lontano dal caos americano e dal mondo della boxe. Sulla strada che conduce al villaggio Sean s’imbatte (e si innamora) di Mary Kate Danaher (Maureen O’Hara) una rossa dal carattere impetuoso nonché sorella del prepotente proprietario terriero Will Danaher. Anche Will ambisce all’acquisto della fattoria e quando Sean la compera soffiandogliela, Danaher va su tutte le furie. A quel punto, saputo dell’interessamento dell’americano per la sorella, il proprietario terriero farà di tutto per osteggiare il loro fidanzamento. Eccola qua, perfettamente squadernata, la cara, vecchia e invincibile ricetta del successo: due che si amano, un cattivo che prova a rovinare la festa. All’interno di questa ricetta, Ford maneggia con disinvoltura ed eleganza, i dettagli, i piccoli segreti che fanno di quella ricetta, un sapore antico e attualissimo allo stesso tempo. Per esempio lo sfondo. Ci sono location perfette per far transitare gli uomini, e ce ne sono altre altrettanto perfette per farli definitivamente fermare. Se infatti in Sentieri Selvaggi lo sfondo era la Monument Valley qua è quell’Irlanda verde e felice che sembra offrirsi come fondale perfetto per chi vuole ritrovare motivi per vivere ed inseguire la felicità. Quei treni verdi, tirati a lucido, gli spazi ampi che costringono a desideri altrettanto vasti, e la gente che non sorride per difendersi ed eludere i rapporti umani ma per spalancare la porta del proprio cuore. Forse piccolo, certamente immortale. Ogni cosa finisce con qualcuno che a modo suo ti dà una mano, e con una birra scura, densa, come il caffè. Stupendo, per semplicità e rispetto, il rapporto tra i due sacerdoti (quello cattolico e quello protestante) la cui interazione rappresenta un master di felice convivenza e rispetto. Un film nel quale l’impeto del vivere e dell’amare sa coniugarsi a quell’idea di serenità necessaria, come l’impeto di un bacio fra Sean e Mary ha bisogno della carezza della pioggia tanto da assumere un impatto visivo talmente emblematico da essere “citato” in E.T. da Spielberg. Ultimo degli ingredienti necessari è la scazzottata finale, lo showdown nel quale “buono” e “cattivo” misurano le loro ragioni e la giustizia farà capolino. Il problema qua è che la scazzottata che vedrete è quanto di più lontano dalla violenza possiate immaginare, somiglia più a quei corpo a corpo dei bambini all’asilo, le contese per un giocattolo che iniziano come guerre e finiscono, misteriosamente, a giocare insieme. Un uomo che ha un dolore sulla coscienza e vuole comprarsi la fattoria della sua infanzia, una donna che non sapeva di aspettare un amore così e il posto perfetto nel quale raccontare questa storia (l’Irlanda). Speriamo dunque, in questa nuova puntata del nostro cassetto dei ricordi, di avervi incuriositi e che siate già sulle tracce di questo piccolo/grande oggetto smarrito. Ancor due cose però, dettagli forse. O forse no. La prima. Avete visto per caso Lost in translation di Sofia Coppola? Il finale nel quale, in una strada affollata del Giappone, Bill Murray e Scarlett Johansson si bisbigliano qualcosa che lo spettatore non riesce a cogliere? Un segreto che resta fra loro due? Ecco, al termine della visione di Un uomo tranquillo scoprirete che anche al cinema «Nulla si crea, nulla si distrugge». La seconda. Quando usate la moneta, i termini economici, per dar valore alle cose mettete in conto che il danaro misura la vita in modo sciocco. Conta i giorni ma non sa pesarli. John Ford, per esempio, dopo aver letto la storia dalla quale avrebbe tratto questo film, ne acquistò i diritti per dieci dollari. Dieci dollari.

di Cristiano Governa