L’accoglienza di Baobab Experience nel mezzo della pandemia

Per salvare chi è condannato da un passaporto

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27 giugno 2020

Yassine scappa dal Marocco a 22 anni. Ha imboccato una brutta strada, spaccia e fa uso di sostanze stupefacenti. Attraversa il mare e in qualche modo arriva sulle coste italiane. Da lì raggiunge Roma ma solo di passaggio, pensa di fermarsi appena qualche giorno. Si accoda a un gruppo di connazionali che dorme per strada, ma accanto a loro trova degli angeli che gli cambiano la vita. Sono i volontari dell’associazione Baobab Experience che lo visitano, lo sfamano, gli danno consigli legali, gli insegnano l’italiano e forse anche qualcosa sulla vita. Yassine, che era un ragazzo difficile, introverso e aggressivo, cambia sotto gli occhi di tutti. Oggi è in Belgio e sta lavorando a un progetto che darà vita a una associazione umanitaria per l’accoglienza degli stranieri.

Per Maslax, invece, non c’è stato lieto fine. È ancora minorenne quando scappa dalla desolazione della sua Somalia. Prima meta, i centri di raccolta libici, chiamati in lingua locale “ghetti”. Perde un occhio per le tante violenze che lì subiscono i migranti, ma non demorde. Sale su uno dei barconi che attraversano il Mediterraneo, arriva in Italia, raggiunge Roma, sempre con l’intento di proseguire. Anche lui sogna il Belgio perché lì c’è sua sorella. Baobab lo aiuta e per un anno lui è felice insieme alla sorella, un lavoro e una fidanzata. Purtroppo, però, gli Accordi di Dublino lo rispediscono in Italia, il primo luogo in cui gli sono state prese le impronte digitali. Passano tre giorni e lo trovano impiccato a un albero vicino al centro di raccolta a Pomezia, dove era stato destinato. Lascia un messaggio, pesante come un macigno: «Io non capisco cosa abbia fatto di male per cui il mio passaporto è un così grande problema per voi».

A raccontarci le loro storie è Andrea Costa, un mastro vetraio di Roma, che da gennaio 2020 è presidente di Baobab Experience. Andrea ne ha visti tanti passare dai marciapiedi delle strade della Capitale. Oggi sono circa 120 a dormire per terra nel piazzale Spadolini, dietro la stazione Tiburtina. E non c’è covid-19 che tenga. Arrivano dall’Eritrea, Sudan, Niger, Ciad, Mali, Gambia, Nigeria e Magreb. Uomini, donne, bambini, tutti insiemi e con un’unica chimera nel cuore. In quei Paesi la guerra c’è, anche se magari non indossa una divisa militare ufficiale. La fame, la violenza, la mancanza di norme igieniche basilari, le guerriglie civili e tribali non permettono loro di sopravvivere e di restare.

Durante il lockdown il flusso degli arrivi non ha rallentato ma Baobab, grazie anche all’aiuto del cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere di  Sua Santità, di Interosos, di Medici senza frontiere, per citarne solo alcuni, ha potuto sottoporli agli screening sanitari e dotarli dei presidi d’obbligo, come le mascherine e i guanti. Nessuno di loro ha portato il virus in Italia e dal piazzale Spadolini nessuno è uscito infettato. Non sono state solo le grandi associazione umanitarie a correre in loro soccorso ma anche il grande cuore degli abitanti di Roma che nelle emergenze si risveglia e permette i miracoli. Perché di miracolo si parla. Quando centinaia di persone che vivono a terra, in assenza di un riparo perché anche una tenda è occupazione di suolo pubblico, senza un solo bagno chimico, solo qualche doccia nella vicina parrocchia di San Romano Martire, scampano a una pandemia mondiale, non possiamo che parlare di un evento straordinario. Sono i pasti, il conforto, gli indumenti che Baobab raccoglie in tutta la città a restituirgli un po’ di dignità e la memoria che prima di una “razza”, una “etnia”, una “categoria” sono esseri umani. «Con una storia, un passato, un presente, un futuro, pregi e difetti, vizi e virtù», come ricorda il presidente Andrea Costa che non riesce a dimenticare la condanna morale contenuta nel gesto e nelle parole di Maslax.

di Cristina Calzecchi Onesti