L'avventura della fede

Nella terra degli Araucani

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20 giugno 2020

L’epica missione del gesuita ed esploratore Nicolò Mascardi


C’è una terra nell’estremo sud del continente americano che nessun film western ha descritto pur essendo stata per più di due secoli teatro di numerose battaglie tra indigeni e conquistatori. È la terra degli Araucani — un popolo fiero e indipendente per il quale morire in battaglia era un onore — in parte compresa nei confini dell’attuale Cile. E se Hernán Cortés conquistò l’impero azteco con appena 550 uomini e Francisco Pizarro soggiogò gli Incas con 180 soldati, qualche cavallo e molto cinismo, la conquista delle terre araucane avrebbe impegnato gli eserciti spagnoli per secoli, seminando morte e distruzione, da ambo i lati, nell’estremo lembo meridionale dell’America.

Attratto dalla facile conquista fu Pedro de Valdivia, fondatore di Santiago nel 1541 e colonizzatore dei docili indiani della valle centrale. Il condottiero spagnolo attraversò il fiume Bío-Bío per completare le sue conquiste ma non ritornò mai più sulla sponda di partenza. Dopo anni di sanguinose battaglie, di assalti e di imboscate, Valdivia fu catturato dagli indigeni e legato a un albero. Lo spagnolo venne decapitato e il suo cuore divenne cibo per il boia, a monito per chiunque avesse osato sfidare il popolo indiano dell’estremo sud. E gli araucani ebbero modo di acquisire anche ottime tecniche militari dai loro nemici europei. Riuscirono a organizzare una cavalleria di 10.000 uomini e a usare armi da fuoco e artiglieria, resistendo sulla loro terra fino al secolo XIX inoltrato.

È in questo scenario di guerra, di battaglie e di barbarie che si inserì Nicolò Mascardi nel 1650. Erano passati molti anni dalla cruenta fine di Valdivia, ma le ostilità erano ben lontane dall’assopirsi. Tra spagnoli e araucani regnava l’odio mortale e soltanto lo straordinario coraggio dei missionari riuscì ad avvicinare i feroci indiani alla civiltà europea. Nicolò nacque a Sarzana, figlio di abruzzesi emigrati da Palena, nel 1624, e all’età di quattordici anni decise di entrare nella Compagnia di Gesù. Qui conobbe il celebre scienziato gesuita Athanasius Kircher assorbendone la passione per la matematica e la cosmografia. Deciso a intraprendere la strada delle missioni, Mascardi venne assegnato alla sede di Buena Esperanza. Giunto a destinazione, dovette subito affrontare gli araucani, a quell’epoca ancora una volta in mortale attrito con gli spagnoli. L’italiano però riuscì ad apprendere le varie lingue di quel popolo fiero e iniziò la sua opera pastorale tra i villaggi vicini. Divenne un amico degli indigeni e per essi di prodigò pochi mesi dopo, durante la terribile pestilenza che aveva colpito il Sud America. Mascardi raccolse i suoi indiani e li guidò da Chillán a Maule, trasformandosi ora in sacerdote, ora in medico, ora in infermiere.

Persi tutti i suoi libri e i suoi strumenti scientifici, il missionario si dedicò alla ricostruzione della chiesa di Buena Esperanza, scampando poi miracolosamente al disastroso terremoto del 1657.

Assegnato alla direzione del collegio di Castro nelle isole Chiloé, il missionario scoprì la sua nuova terra di conquista spirituale entrando in simbiosi con le umide e fredde isole sorelle di Guaitecas e Chonos. All’italiano vennero affidate quaranta isole che puntualmente visitò ogni anno e che divennero oggetto di numerose osservazioni astronomiche, meteorologiche, naturalistiche e fisiche. Mascardi si mantenne tra l’altro sempre in contatto con Kircher e i compagni gesuiti dediti agli studi astronomici, inviando loro preziosissime testimonianze sulle isole Chonos e sulle terre della Patagonia e delle pampas.

Ma il ricordo di Mascardi, nelle terre della Patagonia, è ancora oggi vivo grazie alle numerose iniziative intraprese dall’italiano in favore delle tribù Puelche, Tigreilos, Poia e Tehuelche. Il missionario abruzzese fu inoltre attirato, come molti all’epoca, dal mito della Città dei Cesari. Frutto di una leggenda sorta nel 1539, la Città dei Cesari si diceva fosse stata fondata da naufraghi spagnoli diretti alle Molucche, naufraghi scampati alle acque dello stretto di Magellano e riparati nelle estreme terre del continente, per creare un insediamento urbano. Tutti ne parlavano e molte spedizioni si erano allestite per salvare questi naufraghi, senza mai averli trovati.

Anche Nicolò Mascardi tentò l’impresa, animato dalla sacra fiamma della fede e dalla voglia di portare la sua parola agli eredi della sciagurata spedizione. L’occasione gli fu data dal tentativo di liberare dalla prigionia due cacicchi Puelche. Adoperatosi nella delicata azione diplomatica, Mascardi si diresse verso il collegio di Mendoza ma venne invitato dagli stessi Puelche nelle loro terre in Patagonia. L’italiano si mise in cammino con la speranza di arrivare alla Città dei Cesari e scelse soltanto alcuni indigeni come guida, affidandosi alla fede per gli immensi rischi che l’impresa proponeva. Il missionario scalò il versante orientale delle Ande e innalzò la croce di Cristo sullo spartiacque dell’immensa cordigliera sudamericana. Scese poi verso la Patagonia e nel 1670 giunse al lago Nahuel Huapi. La sua spedizione assunse i toni della leggenda e ancora oggi il suo nome è ben presente nella zona: un’isola del lago Nahuel Huapi porta il suo nome e anche un lago più a sud è dedicato al gesuita italiano. In quella zona egli fondò la sua missione e iniziò la conversione di indiani Tigreilos, Puelches e Poia; introdusse alberi da frutto e sementi europee che ancora oggi prosperano, insegnando ai propri missionari l’arte della coltivazione e dell’agricoltura. Egli imparò le lingue locali e decise di conoscere anche i Tehuelche, i famosi “giganti” descritti da Pigafetta. Girando per primo nelle immense distese della Patagonia, egli battezzò più di ventimila indios e altri ottantamila li preparò alla conversione cattolica.

Sempre alla ricerca della mitica Città dei Cesari, Mascardi costeggiò il lembo orientale delle Ande per poi orientarsi verso sud-ovest raggiungendo lo sbocco dello stretto di Magellano.

Nella sua terza spedizione egli si orienta verso est e attraversò, primo europeo, le Pampas senza trovare risposte alla leggenda dei naufraghi spagnoli. Non ancora convinto decise di ripartire per una quarta spedizione, la quale si sarebbe rivelata fatale. Giunto infatti il 15 febbraio 1674 al 47° di latitudine sud egli incontrò indiani Poia ostili e nemici delle tribù convertite al cattolicesimo: circondato dagli indiani e impossibilitato a fuggire dalle micidiali bolas, il gesuita accolse con coraggio la propria condanna a morte, pregando ferventemente mentre veniva trapassato da numerose frecce. Il gesto ultimo di Nicolò Mascardi divenne una vera e propria leggenda per tutti gli indiani che lo avevano conosciuto e amato e la sua memoria non si è più spenta nelle terre nelle quali egli fu pioniere di civiltà e di coraggio.

di Generoso D’Agnese