Un racconto inedito di Ernest Hemingway

La ricerca è felicità

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24 giugno 2020

Non poteva essere più autobiografico il racconto inedito di Ernest Hemingway Pursue as Happiness (“La ricerca come felicità”) visto che il narratore si chiama Ernest Hemingway. Il racconto, anticipato in questi giorni dal «New Yorker», probabilmente una versione finora sconosciuta del celebre Il vecchio e il mare (1952), è tornato alla luce negli archivi della John F. Kennedy and Museum di Boston, che custodisce la più grande collezione di autografi dedicata dello scrittore statunitense. Il narratore descrive una battuta di pesca, o meglio un’agguerrita e accanita caccia al «più grande dannato marlin che abbia mai nuotato nell’oceano». Una caccia che vedrà gli squali (cui il marlin assomiglia nella forma e nella misura) come vincitori.

Il testo è stato rinvenuto dal nipote dello scrittore, Sean, mentre stava compiendo una ricerca tra le carte del nonno. Il racconto, allegato a Il vecchio e il mare, andrà a formare il volume che sarà pubblicato negli Stati Uniti entro la fine dell’anno dall’editore Scribner, con un’edizione critica a cura di Stacey Chandler. «Sinceramente non capisco il motivo per cui finora questo racconto abbia ricevuto così poca attenzione tra chi ha esaminato in passato le carte di mio nonno» ha affermato Sean, che ha quindi sottolineato come esso rappresenti «una gemma» tra il materiale inedito. Probabilmente è durante il 1933 che Hemingway ha vissuto questa esperienza autobiografica di pesca grossa, considerando che il 1933 è l’anno indicato nel racconto. Ma in merito alla data di composizione non c’è certezza perché probabilmente il premio Nobel aggiunse nel corso degli anni elementi immaginari per rendere il racconto ancor più vivace e accattivante.

Con una prosa secca, puntuale, per certi versi giornalistica — caratteristica questa propria della narrativa di Hemingway — il narratore sviluppa la cronaca della battuta di caccia. «Quando l’abbiamo visto, abbiamo capito quanto fosse grande. Non si poteva dire che fosse spaventoso. Ma è stato fantastico. Lo abbiamo visto — racconta Ernest con brividi di emozione — lento e silenzioso e quasi immobile in acqua con le sue grandi pinne pettorali come due lunghe lame di falce viola. Poi ha visto la barca e la lenza, e quindi ho cominciato a saltare sulle onde verso nord-ovest con l’acqua che sgorgava da lui ad ogni salto che faceva».

La battuta di caccia si svolge al largo delle coste di Cuba. Compagno di viaggio è Josie: entrambi sono pescatori «ambiziosi». Non si accontenterebbero di pescare un marlin di piccola o media grandezza. La pesca da principio si rivela assai fruttuosa: vengono tirati su quarantaquattro marlin, ma sono tutti molti piccoli. Quelli grandi, quelli che loro cercano con malcelata avidità, non sono stati ancora avvistati. Il narratore e Josie possono contare su una vasta clientela, desiderosa di acquistare la “merce”. Quando compare un poliziotto tra coloro che vogliono un marlin da loro pescato, Josie nei suoi riguardi è brusco: «Questo marlin te lo vendo e segno il tuo nome sul libro di bordo, ma poi va all’inferno — dice Josie — Per i miei gusti, in vita mia ho già incontrato troppi poliziotti. Prendi dunque il pesce e va via». Ma Josie, in fondo, ha un animo buono e sensibile —«Mi piacerebbe tanto — confessa al narratore che esorta a mettere sulla carta la storia che stanno vivendo — prendere il marlin più grande che ci sia per poi dividerlo a beneficio dei poveri. Sarebbe proprio una gran cosa!». Insomma Hemingway con il personaggio di Josie fa un gioco d’equilibrio: non fa in tempo a prendersela con il poliziotto, peraltro colpevole di nulla, che già il suo pensiero si rivolge ai poveri con un sentimento di sincera solidarietà.

Intanto il narratore ha cominciato a scrivere la sua storia. La sua giornata è divisa in due, nel segno di un felice intreccio: scrive e pesca, pesca e scrive. È contento di questa sorta di routine, ma dentro di sé avverte un senso di vuoto perché still the big fish had not come, «il pesce grande non è ancora venuto». Ma il fatidico giorno alla fine si palesò. Era un giorno pieno di sole e l’acqua del mare era così trasparente che si potevano vedere sul fondale branchi di pesci andare avanti e indietro. Intanto si era aggiunto un altro compagno di viaggio, Carlos. A un certo punto fa la sua apparizione un grande marlin, che si addice perfettamente al tipo di preda fervidamente bramata. Tirare su il pesce fu un’impresa. Carlos, decisivo il suo contributo, è felice dell’esito di tale impresa, ma la sua schiena, a causa dello sforzo sostenuto, è ora a pezzi. I tre, resi baldanzosi dal successo appena conseguito, tenteranno altre battute di caccia in grande stile, ma queste si riveleranno vane. Dopo una strenua battaglia, il narratore, Josie e Carlos dovranno soccombere a un marlin che è riuscito a scappare alla cattura. «Tutta la mia vita trae senso dalla pesca» dice Carlos che un pesce così grande non lo aveva mai visto prima. Poi esclama sconsolato: «Ho rovinato la vostra vita e la mia». Non produce frutti il tentativo del narratore di recargli conforto. Sebbene non figuri come protagonista, ma come “spalla”, Carlos svolge un ruolo molto significativo nell’economia del racconto: in lui, infatti, si esprime compiutamente il senso di una sfida che, a sua volta, si specchia nell’identità tra la pesca e la vita. La prima sentita come una sorta di missione, la seconda concepita come un dono da valorizzare proprio attraverso l’espletamento di tale missione. E l’elogio del mare è tessuto attraverso il ricamo che il narratore fa del viso di Josie: a face formed at sea, «un viso plasmato a contatto con il mare», in simbiosi con esso. Questo fatto rappresentava un valore aggiunto perché il viso di Josie non era stato “scolpito per un successo veloce e superficiale” (sculptured for a quick and facile success). Al contrario, le sue fattezze si erano venute via via formando e precisando attraverso le imprese e le traversie da sempre legate alla via di mare, alle quali si riesce a sopravvivere solo se si ha, oltre che un grande cuore, «un’intelligenza lucida e rigorosa». Un viso non bello, quello di Josie, a parte gli occhi, «leggermente più blu dell’acqua del Mediterraneo nei giorni più brillanti e più chiari».

di Gabriele Nicolò