Ufficio oggetti smarriti - Il passato imprevedibile

La memoria del presunto perdente

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26 giugno 2020

Quando qualcuno si occupa di persone in difficoltà si dice che scriva storie sui “perdenti”. Non si è mai capito però cosa ci sia in palio in questa strana gara che divide il mondo fra perdenti e vincenti. Aki Kaurimaski, per esempio, finge di non averlo capito ma in realtà lo sa benissimo quale sia l’oggetto del contendere: la dignità. Ecco perché molto spesso i suoi eroi sono finti perdenti, perché in realtà nessuno di loro ha perduto la dignità. Il regista finlandese infatti si occupa spesso di coloro che noi definiremmo perdenti, ma dopo il suo sguardo sulle loro vite esse brillano di una vittoria speciale. Quasi una luccicanza. E poi i perdenti non sanno ridere, ecco perché nella grammatica segreta del cineasta finlandese non esiste un solo essere umano sconfitto. C’è uno humor inimitabile nel cinema di Kaurismaki, se per il lavoro di Carver si utilizzò (felicemente a mio avviso) la definizione di Understatement of emotions per quello del regista finlandese forse occorrerebbe parlare di Understatement of laughs. Si perde quando non si fa più ridere o quando non si sa più ridere, sia pur restando seri. Esistono poveri, diseredati, disoccupati, emarginati, dimenticati ma le loro vite non sono perdute finché qualcuno come Kaurismaki deciderà di raccontarceli. Perché l’unica vera sconfitta è vivere senza che nessuno sappia che ci sei, che nessuno possa vedere la tua faccia. Prendiamo il caso de L’uomo senza passato (2003). Ci è venuto in mente questo film perché Papa Francesco (sia pur con differenti angoli di osservazione) torna spesso sul tema della memoria, della sua importanza e anche in questo piccolo/grande gioiello di Kaurismaki la memoria ha un ruolo chiave. Prima di tutto sotto un aspetto meramente clinico, il protagonista infatti è un uomo che viene aggredito in un giardinetto di Helsinki e a seguito delle botte ricevute perde la memoria (si chiama dunque M.). Diremmo di più, l’uomo è morto a quanto indicherebbe il monitor dell’ospedale, elettroencefalogramma piatto. Cuore fermo. Però lui è vivo. Non si tratta di miracoli, ma di cinema. L’uomo esce dall’ospedale in condizione di perfetto perdente, di reietto assoluto: non ha memoria, non ha un soldo, non sa dove andare. Ecco perché per le macchine che misurano la vita lui è morto ma per chi ti guarda negli occhi no. Lo ritroviamo addormentato nei pressi di una sorta di baraccopoli sul mare. Due ragazzini passano e lo notano, una mezzora dopo lo smemorato è nella loro baracca assieme ai loro genitori. Cosa resta di te quando non solo tu non hai più nulla ma nemmeno ricordi chi sei, a chi appartieni? La risposta che questo film offre è semplice e al contempo infinita: ogni essere umano appartiene agli estranei, nel senso che ognuno di noi è responsabile di chi si trova in difficoltà. Questa cosa la vita te la insegna, nei cinema di Kaurismaki i suoi personaggi la sanno già senza che nessuno debba loro spiegarla. C’è una scena strepitosa nella quale l’uomo senza memoria ha appena finito di ripulire la sua baracca, il luogo nel quale la sua vita ripartirà, ma si trova al momento senza elettricità. Ad un certo punto, da una di quelle nuvole che appartengono al cielo ma vagano in terra (uno dei suoi film precedenti si chiamava Drifting Clouds) sbuca un elettricista che vede l’uomo alle prese con questo problema. Senza dire una sola parola l’elettricista collega (ebbene sì, abusivamente) i cavi penzolanti della baracca al palo della luce elettrica. «Come posso sdebitarmi?» domanda l’uomo senza memoria. «Se mi trovi a faccia in giù, rivoltami» risponde l’altro prima di andarsene. Eccola qua l’essenza del cinema di Kaurismaki, gli altri sono “tuoi” nel senso che ne rispondi tu. E così, la sera dopo esser stato rinvenuto, l’uomo senza memoria va “fuori a cena” con un amico della baraccopoli, ovvero si reca alla mensa dell’esercito della salvezza. Lì, con un mestolo in mano, trova Irma (quella strepitosa Kati Outinen che è il vero e proprio feticcio del cinema di Kaurismaki). Lei aiuta i diseredati, dorme in una stanza di pochi metri quadri e prima di chiudere gli occhi ascolta il rock and roll. Irma farà per lui quello che di solito fa chi ama, lo vestirà in modo adeguato, ascolterà i suoi sogni e proverà a stargli di fianco. Poco importa il suo nome, il suo passato, la sua vita di prima. La vita è domani. Anzi, di fronte a noi, con una faccia. Ma quando tutto sembra filare per il meglio, a causa di un colpo di scena che non intendiamo rivelare (questa rubrica avrebbe pure la velleità di consigliare la visione del film senza rovinare le sorprese) l’identità dell’uomo cessa di essere segreta. E con il passato magari lentamente riaffiorerà la memoria. M. era un saldatore, ma soprattutto è sposato. Che fare? Proprio quando l’uomo recupera un’identità e una storia individuale sembra sul punto di perdere tutto, perché i documenti dicono come ci chiamiamo, dove abitiamo e poco altro. Ma il resto è tutto. Quel che resta dopo che non abbiamo più niente è il motivo per sceglierci. Irma adesso ha paura. La vita precedente di M. lo porterà via da lei? Sapete come finisce un grande film? Con una donna perbene che ha avuto paura. Senza motivo.

di Cristiano Governa