Lettera del presidente dell’episcopato francese a Emmanuel Macron

La lezione dell’epidemia

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08 giugno 2020

«Il carattere universale dell’epidemia e della reazione che ha suscitato rafforza la necessità di guardare la nostra umanità in quanto unità. Ogni popolo è stato in grado di lottare contro l’epidemia perché tutti gli altri popoli hanno fatto lo stesso»: è quanto afferma monsignor Éric de Moulins-Beaufort, presidente della Conferenza episcopale francese (Cef), in una lettera — il cui titolo «La mattina semina il tuo seme» è ispirato da un passo dell’Ecclesiaste — per rispondere all’invito indirizzato alcune settimane fa dal presidente della Repubblica francese ai leader religiosi di condividere le loro riflessioni sulla crisi sanitaria mondiale dovuta alla pandemia di covid-19. In quel frangente Emmanuel Macron si era rivolto ai responsabili di culto in Francia durante una conferenza svoltasi il 21 aprile tramite video, in piena fase di confinamento.

Il testo — lungo una sessantina di pagine e pubblicato anche sotto forma di libro — viene diviso in quattro capitoli, che corrispondono ad altrettante parole: memoria, corpo, libertà, ospitalità. La lettera segue un preambolo nel quale l’arcivescovo di Reims si rallegra che durante l’epidemia «le nostre società siano rimaste in pace e anche l’intera umanità. Forse si sta preparando una guerra commerciale ed economica, ma finora nessuna società è caduta nella violenza e nessun paese ha approfittato del confinamento generale per impossessarsi con la forza di una parte di territorio. Sulla scala della storia dell’uomo una tale situazione non è così frequente». Per tutti gli esseri umani «è un motivo di sollievo e di fierezza, e anche di fiducia», per i credenti «è un motivo di azione di grazie nei confronti di Dio che agisce nel cuore e nello spirito». In Francia, aggiunge il presule, il mantenimento dell’unità è «particolarmente significativo mentre la frattura sociale è ben presente e le tensioni sociali si sono rivelate con molta forza in questi ultimi anni».

Nel capitolo dedicato all’ospitalità, il più ampio, l’arcivescovo di Reims ricorda innanzitutto che per la Chiesa «tutti gli esseri umani, con la loro straordinaria diversità, attraverso il tempo e lo spazio, sono chiamati a vivere per sempre in comunione». «Traggo da questa speranza la certezza che ogni movimento sociale mirando ad una maggiore unità e comprensione tra gli esseri umani prepara ciò che avverrà per sempre mentre ciò che divide e oppone non avrà l’ultima parola della storia umana, qualunque siano i successi conseguiti».

«Sia a livello nazionale che su una scala mondiale, il modello di relazioni umane non dovrebbe essere il conflitto o la competizione, neppure il commercio, ma l’ospitalità. Per questo è necessario che ognuno abiti la propria casa e abiti se stesso», auspica il presule. «A livello individuale o collettivo — prosegue Moulins-Beaufort — il modello del progresso umano non può essere l’estensione infinita dei diritti. Dovrebbe essere invece la crescita tramite il dono di sé e il servizio all’altro, reso possibile dalla mutua ospitalità tra gli esseri umani e la casa comune. Non si tratta di un’utopia, di un sogno che non ha un luogo per avverarsi, ma di una speranza che passa lungo il cammino interiore di ciascuno».

Inoltre, nota il presidente della Cef, tutti i popoli sono stati colpiti dall’epidemia o hanno corso il rischio di esserlo «senza che sia possibile di accertare chi sia il primo colpevole». «La diffusione così veloce del virus non è stata dovuta alla cattiveria di alcuni, ma alla varietà degli scambi tra individui dell’epoca attuale. Non è questa una pista di riflessione sul tema delle migrazioni?», si interroga.

Nella lettera al presidente francese, il presule richiama anche l’attenzione «sull’esperienza inedita del tempo in queste ultime settimane». Un tempo «che ad alcuni è sembrato vuoto e angosciante, ma che è stato anche un periodo interessante, meno frenetico, con un numero minore di attività». La novità, rileva, «è stata quella di poter svolgere queste attività senza avere in mente ciò che era stato appena compiuto e ciò che rimaneva da fare ma di avere la possibilità di prolungare, di partecipare per davvero ad ogni attività». Da qui l’interrogativo: «Mentre da decenni i filosofi, i sociologi e gli esponenti religiosi pongono l’attenzione sulla costante accelerazione del tempo e ribadiscono senza gran successo la necessità per ognuno di assaporare il presente, come possiamo tenere in mente ciò che abbiamo scoperto?».

Una parte del testo di monsignor de Moulins-Beaufort — dal tono molto personale anche se il documento è stato elaborato con il supporto del Consiglio permanente della Cef — è dedicata al tema dei piani di emergenza sanitaria negli ospedali francesi. L’arcivescovo di Reims deplora che questi piani abbiano incluso i cappellani tra il personale “non indispensabile” in queste strutture. «Non solo tali provvedimenti riducono lo statuto del paziente come semplice destinatario di cure mediche — spiega — ma fanno pesare il compito dell’accompagnamento delle persone soltanto sui membri del personale ospedaliero, per definizione sommersi di lavoro in tale situazione». Chiede dunque «solennemente che questi piani di emergenza siano riesaminati». Dal canto suo, assicura il presidente della Cef, «la Chiesa è pronta a arricchire sempre più la formazione dei cappellani ospedalieri — sacerdoti e laici — perché siano più in grado di portare il loro aiuto sia alle persone malate che agli operatori sanitari». In particolare, nell’accompagnare le persone verso la morte, «va privilegiato l’affetto, più della medicina».

Infine, l’arcivescovo di Reims auspica la creazione virtuale di «un memoriale dell’epidemia che non sia né un museo né un’ulteriore giornata di memoria ma che sia progettato avviando una necessaria riflessione sull’alloggio e scegliendo gli investimenti indispensabili perché ognuno possa avere una casa degna, instaurando un vero riposo domenicale delle persone, delle città, della terra». In particolare, il presule suggerisce che, una volta al mese, una domenica sia “confinata” ovunque nel paese.

di Charles de Pechpeyrou